Il report del WACKEN 2019

Ebbene, come anticipato, sono andato al Wacken, per la prima volta in vita mia. Ho già raccontato mille volte di quando nel 2005 ci andai ma rimasi bloccato col febbrone in ostello, quindi non lo ripeterò. Dopo averne sentito parlare da sempre, con tanti amici e conoscenti che ci sono andati e che mi dicevano sempre è difficile da spiegare, finalmente sono riuscito ad andarci pure io.

In calce ne parlerò più approfonditamente, ma penso sia necessario anteporre che è stato il festival di gran lunga meglio organizzato e più strutturato che abbia mai visto, in cui tutto ha funzionato alla perfezione. Una decina di palchi, duecento gruppi, un suono perfetto sempre, da qualsiasi distanza e da qualsiasi angolazione, e mai un ritardo sulla scaletta o qualcosa che sia andata semplicemente storta.

Vi risparmio viaggio, appartamento horror a 40 chilometri di distanza, odissea per orientarci etc. e vado al dunque.

GIOVEDÌ 1 AGOSTO

Quando arriviamo rimaniamo per una mezz’oretta nell’area stampa per sistemare alcune cose e fare il piano di battaglia. Stanno suonando gli SKYLINE, che guardiamo distrattamente sugli schermi all’interno della suddetta area mentre mettiamo a posto gli zaini e aspettiamo che siano pronti gli hamburger. Gli Skyline sono una specie di mascotte della manifestazione, essendo stati il primissimo gruppo a calcare il palco del Wacken nel 1990, e a quanto ho capito non hanno saltato quasi nessuna edizione. Sono fondamentalmente una cover band, e tra i 4-5 pezzi che abbiamo sentito ricordo un’ingiustificabile In The End dei Linkin Park (è proprio vero che la morte riesce a riabilitare chiunque) e All We Are degli Warlock con Doro ospite speciale sul palco. Gli Skyline sono responsabili anche degli inni del Wacken, di cui uno dal titolo This is W.O.A. ripetuto anche nel ritornello; oltre a essere una canzoncina piuttosto loffia e con una terrificante parte rappata, non si capisce perché nell’inno ufficiale il Wacken dev’essere chiamato dabliu o ei, dato che non ho mai sentito nessuno chiamarlo così. Comunque questo è. Mentre stanno per finire, usciamo dall’area stampa ed entriamo finalmente nell’area festival vera e propria.

L’impatto è psicologicamente devastante. Sono più di vent’anni che sogno di essere qui, e finalmente sono qui. È tutto esattamente come me lo avevano magnificato, e continuo a camminare imbambolato ripetendomi “Sono al Wacken. Sono al Wacken. Sono al Wacken”. Oltre ai 5-6 palchi più piccoli, ci sono tre enormi palchi principali affiancati, chiamati rispettivamente Faster, Harder e Louder – solo che quest’ultimo continuerò a chiamarlo “Scooter” a causa del collegamento con questo capolavoro immortale.

Beyond the Black

Dopo un rapido giro di perlustrazione ci piazziamo davanti all’Harder per i TESTAMENT, che rappresentano quindi ufficialmente la nostra iniziazione al festival. Ci sediamo belli comodi sul prato, sotto il piacevole sole del primo pomeriggio, e ci guardiamo Steve diGiorgio scapocciare una buona mezz’ora, tra una DNR, una Low e una Eyes of Wrath. Dopo Practice what we Preach ci spostiamo a fare un altro giro di esplorazione, ché ci sentiamo come due bambini catapultati in un luna park di zucchero filato. Da lontano sentiamo le plasticose nenie dei BEYOND THE BLACK, gruppaccio dedito alla sublime arte del gotico pipparolo di cui già vi parlai quando fecero da spalla ai Powerwolf a Budapest.

Ritorniamo verso l’Harder per gli HAMMERFALL, gruppo a me molto caro e che oggi tirerà fuori la migliore prestazione che io gli abbia mai visto fare da vent’anni a questa parte. Il bello del Wacken è che salire su quel palco rappresenta l’apice assoluto per qualsiasi gruppo metal, quantomeno europeo, quindi i musicisti sono tutti presi benissimo e danno il meglio di sé stessi. Qui la scaletta è eccezionale, con una Blood Bound da lacrime, Riders of the Storm, Renegade, Let the Hammer Fall che fa alzare decine di migliaia di pugni in aria, fino alla chiusura da manuale con Hearts on Fire. Come intermezzo c’è pure il tempo di una cover della sigla di Game of Thrones, con ospite speciale un tizio con uno strumento strano la cui denominazione è probabilmente ignota anche a Joacim Cans, che continua a chiamarlo “this piece of wood”. Tutto fantastico, quasi mi commuovo. Hammerfall, i vostri ultimi dischi sono mosci e noiosi ma dopo questo concerto sono tornato a volervi bene come se fosse di nuovo il 1998.

Airbourne

Continuiamo a girare guardando le bancarelle e mangiando enormi pezzi di maiale alla brace, affacciandoci ai vari palchetti disseminati qui e lì. A un certo punto capitiamo per un paio di minuti davanti agli VLTIMAS, il gruppo di David Vincent, Blasphemer e Flo Mournier, solo che io non li riconosco e quindi mi perdo la loro sicuramente ottima e imperdibile esibizione. Perdonatemi, ma dopo la faccenda dell’hardcore radikult non riesco più a prendere sul serio Vincent; poi magari mi sbaglio e sono un gruppo della madonna, chissà.

La mia compagna di merende, come la maggior parte delle fanciulle, è attratta dai riff stradaioli e lascivi di gruppi-cloni degli Ac/Dc al doppio della velocità, quindi ci guardiamo mezz’ora buona degli AIRBOURNE sul palco grande. Io con questo tipo di musica ho un rapporto ambivalente: non mi viene mai di ascoltarla per fatti miei, ma dal vivo mi prende abbastanza bene. Ed effettivamente il gruppo australiano si rende protagonista di una prestazione splendida, riuscendo a coinvolgere tutta quell’immensa marea di gente con tre accordi e quattro riff. Promossi a pieni voti, anche se dopo il festival, come da copione, non mi è più venuta voglia di ascoltarli.

Sabaton

Come saprete, il Wacken non ha un vero e proprio headliner, dato che i gruppi suonano tutti più o meno contemporaneamente su una decina di palchi fino a notte fonda. Però la cosa più vicina all’headliner del venerdì sono i SABATON, che prendono possesso di due (!) dei palchi principali (Harder e Faster) alle 10 di sera. A me non sono mai piaciuti, eccettuati forse i primissimi album ormai risalenti a vent’anni fa, e trovo davvero incomprensibile il fatto che riscuotano un successo così enorme e generalizzato. Capisco che la guerra è bella (anche se fa male), ma davvero il solo fascino per queste tematiche non può giustificare tanta euforia. Per il rapporto qualità/successo sono una specie di Amon Amarth, con la differenza che il primo degli Amon Amarth era molto più bello del primo dei Sabaton. Il palco è strapieno di cannoni, mitragliette, sacchi di sabbia e vario bric-a-brac bellico, con tutto un arsenale di fuochi, fiamme, esplosioni e pereppeppè; purtroppo però sono un gruppo moscio e spompo, e a nulla servono le ritmiche tunz-tunz che sorreggono buona parte dei pezzi, peraltro tendenzialmente molto simili tra loro e costantemente affossati da un tremendo tappeto di tastiere. A sto punto aridatece gli Amon Amarth.

Alla fine dei Sabaton ci catapultiamo in uno dei tendoni in tempo per gli ultimi scampoli dei DARK FUNERAL, i cui blastbeat in salsa barbecue mi rimettono in pace col mondo. Ma l’attesa vera è per gli HELLHAMMER, che suonano subito dopo.

In realtà non si può parlare di Hellhammer veri e propri, ovviamente, anche perché Martin Ain è morto e in generale riesumare quel moniker non avrebbe troppo senso. La dicitura ufficiale è infatti Tom Warrior’s Triumph of Death performs Hellhammer: una specie di tributo fatto dall’originale, o qualcosa di simile. Noi riusciamo a piazzarci a pochi metri dal palco (altra caratteristica del Wacken: se lo vuoi, puoi arrivare tranquillamente nelle prime file senza troppo penare) e ci immergiamo in quello che a tutti gli effetti è un evento storico, più che un semplice concerto. Perché poi gli “Hellhammer” torneranno in tour anche in Italia, ma come detto prima è quando un gruppo si esibisce al Wacken che dà davvero il meglio di sé. Massacra, Aggressor, Buried and Forgotten, Crucifixion, eccetera eccetera. Fischer sembra divertirsi sul serio, dando nuova linfa e potenza a quei riff che, ormai 35 anni fa, costituirono il primo bozzolo di quello che sarebbe diventato il black metal. Sul palco c’è anche un po’ di Italia, grazie alla presenza alla batteria di Algol, storico bassista dei Forgotten Tomb. La formazione è completata da André Mathieu alla chitarra (già in Punish ed Unlight) e, al basso, da Mia Wallace, vista nei Kirlian Camera e con Abbath solista.

Un’ora sospesa nel tempo, archeologia musicale pura. Probabilmente il momento più alto e sublime dell’intero festival, anche per l’intrinseca unicità del tutto. Poi certo, il pioniere svizzero con l’età pare essersi pesantemente rincitrullito, ma noi facciamo finta di niente e quando lo guardiamo non vediamo Tom Warrior, e neanche Tom Gabriel Fischer: quello davanti a noi è Satanic Slaughter, e siamo tutti nel 1984.

VENERDÌ 2 AGOSTO

Il venerdì tra la mattina e il primo pomeriggio ci sono dei gruppi che ispirano, per un motivo o per l’altro, la nostra curiosità: Queensryche, Equilibrium, Eluveitie, Gloryhammer, Evergrey, eccetera. Per istinto di sopravvivenza ci presentiamo verso le due per affrontare la giornata più intensa delle tre, che sapevamo sarebbe finita tardissimo.

Appena parcheggiamo e ci dirigiamo allo shuttle per l’area stampa ci comunicano che sta per arrivare un temporale e che il festival sarà evacuato fino a nuovo ordine. Ci spostiamo quindi al paesino adiacente per pranzare e aspettare diligentemente aggiornamenti sull’applicazione ufficiale del Wacken. Il paesino è invaso dagli avventori del festival e ci rendiamo conto della macchina perfetta dell’organizzazione: questi sono riusciti a far evacuare ordinatamente 80mila persone e, un paio d’ore dopo, a farli rientrare, sempre ordinatamente, senza che succedesse alcun problema, come se fosse la cosa più facile e normale del mondo. Questo penso sia possibile solo in Germania e, forse, in Giappone: in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe scoppiato un casino: in Italia la gente si sarebbe nascosta dietro ai padiglioni per non uscire, in Inghilterra ci sarebbe stata una megascazzottata con morti e feriti, in Spagna si sarebbero tutti ubriacati fino al coma etilico per poi essere portati via dalle ambulanze e non tornare più, in Francia boh, probabilmente si sarebbero annusati tutti a vicenda le ascelle puzzolenti per poi far partire una megarissa in ogni caso, tanto per non sbagliare. E in tutti questi casi ci sarebbero state polemiche, lagnanze, lamentazioni, insulti agli organizzatori su internet, bottiglie rotte, psicodrammi, sceneggiate napoletane, gente che alza la voce, eh ma il mio meteo dice che non piove, eccetera. In Germania no. In Germania tutti escono col sorriso sulle labbra, aspettano ordini bevendo birra, e poi tornano col sorriso sulle labbra, come se nulla fosse successo. Perché poi non è davvero successo nulla: il temporale non è neanche arrivato, ma per prevenire eventuali disagi è stato preferito comunque far mettere tutti al riparo.

E non solo: le esibizioni programmate per quelle due ore sono state recuperate, magari con qualche cambiamento di palco, ma senza che nessuno si perdesse niente. E tutti felici e contenti. Che spettacolo, amici del vero metal.

Quando rientriamo nell’area festival sentiamo suoni gutturali dal Faster, con un casino inspiegabile e parolacce casuali con pesante accento da ghetto newyorchese. La mia compagna di merende mi guarda scandalizzata. Sono i BODYCOUNT con ICE-T alla voce, che passa tutto il tempo a rivolgersi al pubblico dicendo bitch, motherfucker, fucking fuck e cose del genere: mi è sembrata la cosa più fuori contesto che potesse esserci al Wacken, quasi una blasfemia su quel palco. Quindi sgattaioliamo via molto rapidamente e finiamo al Biergarten Stage a vedere i NAILED TO OBSCURITY, gruppo tedesco che non avevamo mai sentito ma che in realtà spacca abbastanza. Suonano una roba che ci è sembrata accostabile a quello che usciva dalla Svezia a metà anni Novanta: purtroppo facciamo in tempo ad ascoltare solo due-tre pezzi, ma presto ne riparleremo qui sopra. Il Biergarten Stage peraltro è posto in una specie di vero biergarten tedesco, con tavoli e panche di legno vicino al palco, botti su cui sedersi, eccetera. Che bello il Wacken. L’ho già detto, mi pare, ma lo ripeto: che bello il Wacken.

In ordine piuttosto sparso, nel pomeriggio, capitiamo di passaggio davanti a BLACK STONE CHERRY, ECLIPSE e WITHIN TEMPTATION, di cui ascoltiamo un paio di pezzi a testa finché non ci dirigiamo verso i VENOM INC, di cui avevo sentito parlare benissimo dal vivo. Ed è tutto vero: Tony Dolan e Mantas sembrano due hooligan sessantenni con le nocche spaccate dalle mazzate, e tutto quello che fanno e che suonano è perfettamente coerente con l’apparenza. Non so come se la cava Cronos in sede live, ma cercare di rivaleggiare con questa macchina da guerra è poco meno che un suicidio.

E poi ci sono gli HAMFERD, che vengono dalle isole Far Oer e suonano un doom atmosferico un po’ in stile Swallow the Sun, e il cui cantante è da qualche tempo entrato nei Barren Earth. Si esibiscono nel più piccolo dei palchi coperti, e dentro si sta scomodi e fa caldo, ma niente paura: c’è un megaschermo appena fuori, e ci godiamo l’esibizione comodamente stesi sull’erbetta. Questa è un’altra cosa bella del Wacken: c’è una decina di palchi, quelli coperti hanno i megaschermi fuori, e se ti piazzi davanti a uno di essi non senti mai il suono proveniente da tutti gli altri palchi. Continuo a meravigliarmi, ma è l’organizzazione migliore che abbia mai visto in vita mia. Di più: non avrei mai osato sperare che potesse esistere qualcosa del genere organizzato in questa maniera.

Il sole inizia a tramontare tra i fumi dell’acciaio bollente, quindi ci spostiamo verso i megapalchi per gli headliner della giornata. Non prima però di aver guardato di sfuggita un paio di pezzi dei CRADLE OF FILTH, tra i gruppi tagliati a causa dell’acquazzone, ri-schedulati in uno dei palchi coperti. Ovviamente non sono pazzo, amici: so perfettamente che i Cradle of Filth fanno schifo da tempo immemorabile, ma questo è il tour basato su Cruelty and the Beast e mentre entriamo e sentiamo le ultime note di Beneath the Howling Stars mi viene un colpo al cuore. Riusciamo ad ascoltarci tutta Malice Through the Looking Glass, uno dei loro momenti più alti in assoluto, e noto con sorpresa e piacere che la loro esecuzione tecnica è molto meglio di quanto mi ricordassi, compresa la voce di Dani. Il suono poi è perfetto, ma che ve lo dico a fare, è stato praticamente sempre perfetto per tutto il festival. Quando annunciano un pezzo a caso dai nuovi album ce ne andiamo, perdendoci (lo scoprirò dopo) la mitologica Summer Dying Fast, tra le altre cose. Ma non posso rimanere, devo andare a vedere gli headliner.

Demons & Wizards

Gli headliner, dicevamo. Io sono in fibrillazione per i DEMONS & WIZARDS, che pensavo non avrei più avuto l’occasione di rivedere dal vivo dopo quel Gods of Metal di vent’anni fa. Come per gli Hellhammer, anche questo a modo suo è stato un evento, ma se quello era un oscuro rituale di rievocazione di antiche sensazioni perdute e dimenticate negli umidi anfratti di un sinistro sotterraneo, questa sembrava più una rimpatriata di vecchi amici alla sagra del peperone arrosto. Sul maestoso palco del Faster salgono i protagonisti, Hansi Kursch e Jon Schaffer, seguiti a ruota dai turnisti d’eccezione: alla chitarra Jake Dreyer (da qualche anno negli Iced Earth ma da sempre nei Witherfall), e poi due Blind Guardian: al basso, incredibilmente, Marcus Siepen e alla batteria, ovviamente, Fredrik Ehmke.

L’inizio è da pelle d’oca, con la doppietta iniziale del debutto Heaven Denies/Poor Man Crusade. Hansi è in buona forma, e al primo vocalizzo si sente distintamente il sospiro di sollievo delle decine di migliaia di persone presenti, abituate a lanciare la monetina prima di ogni concerto dei Blind Guardian per scommettere sulla sua salute vocale. Loro sono presi benissimo, sorridono sinceramente tutto il tempo e non hanno neanche bisogno di sforzarsi per coinvolgere il pubblico, che è davvero rapito. Jon Schaffer sembra un bambino all’apertura dei regali di Natale, e guarda in continuazione davanti a sé, nella massa infinita di persone che si estende a perdita d’occhio. Suonano due pezzi da ciascuna delle band principali: Burning Times e I Died For You da una parte, Welcome to Dying e Valhalla dall’altra. Non un’ottima scelta per i pezzi degli Iced Earth, mentre davvero non si poteva chiedere di meglio per i pezzi dei Blind Guardian.

Demons & Wizards

Fuoco, fiamme, esplosioni, fischioni e bombe a mano. È il Wacken. Ripenso a quando ero ragazzino, consumavo Tales from the Twilight World nel mio walkman e sognavo di trovarmi al Wacken, in mezzo a miliardi di persone, a lanciare il pugno in aria nel ritornello. E siamo tutti qui, per davvero: ci sono io, c’è Hansi, e c’è pure Jon Schaffer. Tutti invecchiati piuttosto bene, bisogna riconoscere, soprattutto Schaffer che oggi ha l’aria così tranquilla e simpatica ma che dà sempre l’idea di avere il suo fucile a canne mozze da qualche parte sul palco, così da poter sparare ad eventuali spettatori che salgono sul palco al grido di FUORI DALLA MIA FOTTUTA PROPRIETÀ. Hansi è perfettamente a proprio agio e si muove come un vero padrone di casa che parla col suo pubblico con confidenza e complicità. Io sono in brodo di giuggiole. Comprendo perfettamente che pochi potranno empatizzare con questa mia sensazione nei confronti dei cazzo di Demons & Wizards, ma mi è venuta spesso la pelle d’oca, e durante la chiusura con The Fiddler on the Green mi è quasi scesa una lacrimuccia. Un’ora e mezza che porterò per sempre nel cuore finché campo. Grazie Hansi, davvero, per tutto quanto, e perdonami se già dal prossimo abominio orchestrale ricomincerò ad insultarti.

A questo punto la mia strada e quella della mia compagna di merende si separano. Lei vuole vedere ZURIAAKE, un cinese che suona black metal burzumiano su uno dei palchi più piccoli. Io mi sentirei un povero stronzo se non rimanessi ai palchi grandi per l’ultimo concerto degli SLAYER, che snobbai anni fa all’Hellfest a causa della mancanza di Hanneman e che, per lo stesso motivo, mi sono volutamente perso durante gli ultimi tour. Il mio rifiuto verso gli Slayer post-Hanneman è così forte da avermi fatto rifiutare perfino di ascoltare Repentless, di cui effettivamente non conosco neanche un riff.

Dunque, sarò breve. La lacrimuccia stavolta mi è scesa davvero. Penso che quasi chiunque di voi abbia visto gli Slayer negli ultimi anni, quindi non c’è bisogno di descrivere niente. Aggiungete che li ho visti al Wacken, con i quattro che davano fondo a tutto quello che avevano, davanti a ottantamila persone, e con un commovente saluto finale di Tom Araya che è rimasto qualche minuto a guardare il pubblico, da solo, in silenzio, con gli occhi lucidi. Tutto qui, nient’altro da dire che voi non possiate già immaginare da soli.

Mi ricongiungo con l’altra metà del mio cielo e la giornata si conclude con un perfetto momento chillout: gli OPETH, sul Faster, da mezzanotte all’una e mezza. Ci mettiamo abbastanza vicini al palco e lasciamo scaricare l’adrenalina. Non sono un fan degli Opeth – a parte i primi due album – ma li trovo molto rilassanti come sottofondo, quindi è perfetto, anche perché Mikael Akerfeldt è un cabarettista mancato e tra un pezzo e l’altro intrattiene il pubblico come uno standing comedian dei programmi americani di seconda serata. A parte The Drapery Falls non riconosco neanche uno dei pezzi che suonano – scontato, dato che di solito ascolto gli Opeth mentre leggo a letto prima di addormentarmi – ma è stato davvero il modo migliore per finire questo così intenso venerdì.

SABATO 3 AGOSTO

Quando finalmente arriviamo c’è qualche minuto prima che ci sia qualcosa che ci interessi, quindi ci mettiamo a guardare qualche maglietta, prelevare al bancomat (sì, ci sono i bancomat) e prendere da bere e mangiare. Nel frattempo suonano i BATTLE BEAST, che abbiamo dovuto subire per una mezz’ora buona mentre facevamo tutte queste cose. Dire che fanno schifo al cazzo è un eufemismo. Ancora disgustati, capitiamo per caso davanti al palco degli OPERUS, di cui non ricordo una sola nota, e poi dai VINTAGE CARAVAN, simpatico gruppo islandese in stile settantiano che però è pesantemente fuori contesto al Wacken. È dunque il turno degli O’REILLYS AND THE PADDYHATS, tedesconi in cosplay irlandese che sarebbero carucci se fossero irlandesi ma, ahimè, sono tedeschi; e quindi tutta la mascherata perde un po’ di senso.

Prophets of Rage

Mentre cazzeggiamo gioiosamente per l’enorme area del festival la mia dolce metà si gira di nuovo verso di me scandalizzata. Ha ragione: da qualche parte c’è uno che rappa. Aguzzo le orecchie e lo riconosco: è B-Real, dei Cypress Hill, al microfono dei PROPHETS OF RAGE. E non è solo: insieme a lui c’è Chuck D dei Public Enemy, accompagnando i tre quarti di ciò che furono i Rage Against the Machine nella riproposizione del repertorio. Io sono stato un grande fan dei RATM, ma il rap al Wacken stona, e non voglio averci nulla a che fare. Piuttosto che rimanere nei dintorni facciamo quindi vari giri tra le centinaia di bancarelle e finisco anche per tirare con la balestra, finché non arriva il momento dei PRIMORDIAL, con cui ho sempre avuto un rapporto ambivalente. Non solo io, in realtà: parlando con gli altri tizi di Metal Skunk è uscito fuori che è un sentimento comune: a più o meno tutti piacciono, in linea di principio, ma a nessuno poi viene mai voglia di metterli nello stereo. Bene, con questo concerto penso di aver definitivamente capito i Primordial: una prestazione intensissima, epica, battagliera, da rimanere senza fiato, con un cantante che da solo regge il palco e un repertorio che, sentito dal vivo, soprattutto in questo contesto, acquista finalmente senso. Un’illuminazione, più di ogni altra cosa. E anche a me, come a Ciccio, è venuta voglia di riascoltare l’intera discografia.

Bullet For My Valentine

Una cosa tira l’altra e ci ritroviamo a vedere i MYRATH, immersi tra tappeti e scenografia islamica. Non ho molto da dire se non che starebbero bene giusto come sottofondo in un kebabbaro. La mia compagna di merende comunque concorda con Edoardo Giardina: pare che un loro disco sia bellissimo, gli altri insomma. Il problema è che ne hanno fatti cinque.

Dopo qualche canzone ce ne andiamo e ci spostiamo verso il terzo palco principale, il Louder (che io continuo a chiamare “Scooter” con quella canzone che mi ritorna in testa ogni volta) perché ci sono gli URIAH HEEP, che incuriosiscono molto la mia gentile signora. Purtroppo però una enorme massa di persone ha avuto la stessa idea, quindi gli inservienti hanno chiuso le transenne per accedere all’area vicina al palco e ci tocca accontentarci di qualche minuto da molto lontano, per poi andare via sconsolati. Mentre andiamo via passiamo davanti ai BULLET FOR MY VALENTINE, un mio vecchio scheletro nell’armadio. Amici, il primo disco dei Bullet for my Valentine è bellissimo e il secondo è molto carino. Gli altri non li ho ascoltati, ma quei due meritano parecchio. Riesco a sentire giusto Scream Aim Fire e ritorniamo nella zona dei palchi piccoli per i SAOR, di cui abbiamo parlato in varie occasioni e che avevamo già visto al Black Winter Fest. Stavolta non rendono bene come l’altra volta, ma forse sono troppo malinconici per esibirsi all’aperto in mezzo a migliaia di crucchi ubriachi. Ci rivediamo presto, spero in un posto al chiuso.

Saor

Sono passate le otto di sera e, tra uno spiedino di maiale arrosto e la decima birra della giornata, è tempo di tornare al Faster, dove si sta preparando il palco per i POWERWOLF, che un tempo avrei definito mio personale gruppo-feticcio ma che ormai riscuote un successo tale che sarei persino in minoranza, se non mi piacessero. L’esibizione del gruppo di Saarbrücken purtroppo soffre di alcuni problemi tecnici nella resa sonora, cosa successa peraltro solo a loro in tre giorni di sonorità cristalline. Mentre il tecnico al mixer aggiusta i volumi e le imperfezioni i cinque suonano gran parte dei loro cavalli di battaglia: Amen & Attack, Resurrection by Erection, Sanctified with Dynamite, Blessed & Possessed, Demons are a Girl’s Best Friends, e così via. I lupi mannari pompano come se non ci fosse un domani, forti di canzoni semplici e dirette, di un’estetica sinceramente divertente e di un cantante incredibile. Quando tutto si conclude con We Drink Your Blood siamo felici, spensierati e vorremmo che tutto ricominciasse daccapo. Che bello il Wacken.

Powerwolf

Ci andiamo a sedere un po’ nell’area stampa e guardiamo l’inizio del concerto dei PARKWAY DRIVE dagli schermi. Loro non mi piacciono, non mi piace il genere che suonano e soprattutto li trovo fuori contesto, specie a quell’ora sul palco grande. Simpatica però la loro entrata, seguita dapprima dalle telecamere nel backstage come si usava anni fa nella WWE per Goldberg, e poi conclusa con un passaggio nella folla con torce in mano. Però di loro non ce ne frega niente e quindi ce ne andiamo verso la zona dei palchi piccoli, incrociando una fila enorme all’entrata di uno dei tendoni, talmente pieno che gli addetti hanno dovuto bloccare gli ingressi. Lì dentro suonano i CREMATORY, idoli indiscussi dei panzoni crucchi con velleità gotiche, al punto da identificarsi loro stessi nel proprio pubblico: come ha giustamente fatto notare Carlotta guardandoli sullo schermo, “non potrebbero prendere un ascensore da soli”. Però qualche canzoncina dei Crematory non era male. Vabbè, andiamo via, tanto abbiamo l’imbarazzo della scelta.

 

Ci spostiamo verso i DIAMOND HEAD, che non ho mai visto e per cui nutro sincera curiosità. Carlotta mi chiede chi sono, io le rispondo nell’unico modo possibile: “Il gruppo-feticcio di Lars Ulrich”. Rimaniamo per un pugno di pezzi, durante i quali continuiamo a scambiarci sguardi perplessi. D’accordo che della formazione originale è rimasto il solo Brian Tatler, ma mi sembra tutto amatoriale, come un gruppo di dopolavoristi in un pub di provincia il giovedì sera. Lei continua a chiedermi con aria perplessa: “Ma veramente questi sono considerati importanti? Ma a te piacciono?” e poi ha L’ILLUMINAZIONE DEFINITIVA: “Secondo me un giorno un intervistatore ha chiesto a Lars Ulrich quale fosse il suo gruppo preferito; lui voleva rispondere King Diamond, ma per un lapsus ha detto Diamond Head e, dato che è un imbecille, per non ammettere di aver sbagliato ha continuato a ripetere ‘sta cosa dei Diamond Head per quarant’anni”. Semplicemente geniale: in un colpo solo abbiamo risolto l’arcano del perché il tennista danese continui tuttora a ripetere quanto siano grandissimi e stupendi i Diamond Head. Voi, in vita vostra, avete mai conosciuto un fan dei Diamond Head? Avete mai visto in giro una toppa, una maglietta, un qualcosa dei Diamond Head? Penso non ci sia nient’altro da dire.

Skyclad

Dopo una ventina di minuti di latte alle ginocchia prendo la mia metà sottobraccio e le dico: “Vieni, ti porto a vedere un gruppo bello”. Usciamo di là, camminiamo cento metri e ci mettiamo in prima fila a vedere gli SKYCLAD, per il cui concerto l’aggettivo più calzante che mi viene in mente è delizioso. Loro sembrano esattamente quello che sono, e cioè una banda di inglesi provinciali di mezza età che passano le serate tra la birra al pub e la lettura di raccolte di fiabe popolari locali. Kevin Ridley è un campione della categoria frontman col profilo basso, tipo Mikael Akerfeldt ieri ma con un piglio ovviamente molto diverso. È tutto talmente piacevole che quando finisce sembra sia appena cominciato. Come passa veloce il tempo quando ci si diverte.

È mezzanotte, e il Wacken sta per finire. Devo andare a recuperare un po’ di roba nell’armadietto che avevamo noleggiato (sì, al Wacken puoi noleggiare gli armadietti per non portarti sempre tutto appresso) e lascio Carlotta a guardare gli EISBRECHER, tamarroni tedeschi in quattro quarti, l’ideale punto d’incontro tra i primi Rammstein e gli Scooter. Ironicamente, si esibiscono proprio sul palco Louder/Scooter. Torno dopo una ventina di minuti e la trovo stravolta, dove eri finito, ti prego andiamo via, non ce la faccio più con questi, andiamo via di qua. Non preoccuparti, amore, ti porto a concludere degnamente il Wacken.

Cento metri più in là i SAXON chiudono idealmente la manifestazione (che sarebbe continuata anche dopo, ma i Rage con l’orchestra dall’1.45 alle 3 di notte erano sinceramente improponibili), e ci godiamo gli ultimi riffoni del festival, con Biff Byford a fare da padrone di casa. “Saxon e Motorhead sono i gruppi che in assoluto hanno suonato più volte al Wacken”, dice. “E questa canzone è per Lemmy!”. Parte They Played Rock’n’Roll, dall’ultimo Thunderbolt, con tanto di lyrics video sul megaschermo: “Living fast and free, the only way to be / The world was on the street, they were the boys to beat / And they played rock’n’roll”.

Degna conclusione. È tempo di tornare.

POST SCRIPTUM

Il Wacken è il festival più bello di sempre. Lo è concettualmente, lo è praticamente, lo è idealmente. Non è un festival basato tanto sulla musica quanto sul vivere la musica. È una celebrazione di noi stessi. E perché un festival possa essere il migliore del mondo pur permettendosi il lusso di mettere, diciamo così, in secondo piano il bill, bisogna che ci siano un milione di cose, piccole e grandi, e tutte queste cose funzionino ad orologeria.

L’organizzazione è una macchina perfetta. Come ha giustamente detto la mia compagna di merende, gli organizzatori del Wacken sono gli unici che potrebbero riuscire a mettere a posto Roma. Tutto si svolge su un appezzamento di terreno gigantesco, 240 ettari, dove ogni cosa succede esattamente nel momento in cui è programmato che succeda, e dove tutto è stato già, in qualche modo, previsto.

Il supermercato

Nell’area festival ci sono una decina di palchi (il numero è vago perché 2-3 di questi ospitano, oltre ai gruppi, anche spettacoli e performance di vario genere), di cui tre giganteschi. Ci sono decine e decine di stand per mangiare e bere, ovunque, in modo tale che tu non debba mai fare fila. La varietà di cibo è impressionante, dalle classiche salsicce bavaresi al cibo cinese, dai dolcetti ungheresi alle insalatone, dalla fonduta alla pasta. La birra costa 4 euro più 1 euro per il bicchiere: se lo riporti indietro ti ridanno i soldi, altrimenti te lo puoi tenere – i bicchieri sono da collezione, ce ne sono decine e tutti diversi. Altre decine e decine di stand vendono magliette e merchandising. Vengono organizzate tra le più svariate attività, dalle parate in costume cyberpunk alla corsa nei sacchi, dalle gare di lancio dell’accetta al karaoke, dai tornei di calcetto alle rassegne di film a tema musicale, dalle lezioni di yoga alle conferenze stampa dei vari gruppi. Il paragone che mi viene in mente non è un qualche altro festival, ma il Lucca Comics.

Siamo nel sancta sanctorum dell’heavy metal, tanto che l’area del festival viene chiamata Holy Ground. Questa cosa è percepita da tutti, tanto che la gente tende a tornarci ogni anno, come in pellegrinaggio: e allora statue e gigantografie ovunque, soprattutto di Lemmy, ma anche di Dio, Angus Young, Ozzy, Udo, Steve Harris, Scorpions, Judas Priest eccetera.

 

La resa sonora dei gruppi è perfetta. Sempre. A duecento metri o sotto al palco, di fronte o di lato, sempre. Ma non arriva mai al pubblico degli altri palchi. È un’opera di ingegneria sonora che andrebbe premiata a livello accademico.

Una cosa importantissima: non c’è mai – dico MAI – ressa. Ci sono ottantamila persone, ma non ti ritrovi mai a calpestare i piedi di nessuno, e se vuoi avanzare alle prime file lo puoi fare tranquillamente. Tutti sono felici, rilassati, paciosi, e l’atmosfera è splendida. La gente durante i concerti grida WACKEN!, come una cosa identitaria: sinceramente non l’ho visto mai fare da nessun’altra parte.

All’interno dell’area troverete dunque: bancomat, armadietti personali, un supermercato (non sto scherzando), bagni chimici a centinaia, posti per sedersi, posti per stendersi, acqua potabile gratis, venditori di sigarette e tabacco, e così via. Non si possono portare zaini all’interno, ma loro te ne danno uno gratis. Stessa cosa per le bottigliette: sono vietate, ma loro ti danno una borraccia da un litro, gratis. Le navette gratuite per i parcheggi arrivano ogni 5 minuti. C’è parcheggio per tutti, gratis. L’applicazione ufficiale è aggiornatissima, funzionale e viene usata per ogni tipo di comunicazione: cambi di orario o di palco, aggiornamenti meteo, eccetera. Ci sono controlli ovunque, ma sono sempre velocissimi e non si perde mai tempo. Così come per le file: la fila più lunga in tre giorni l’ho fatta al bancomat, neanche 10 minuti. Per il resto calcolate massimo un minuto per prendere da mangiare o da bere. Non è finita qui: se siete sotto al palco e vi viene voglia di una birra, ma non vi va di allontanarvi per raggiungere gli stand, ci si può rifornire dagli omini che si muovono in mezzo alla gente con un enorme zaino pieno di birra, dotati di spillatore e bicchieri; e questi zaini hanno delle alte bandierine, così da poterle vedere anche da lontano.

Non so cos’altro dire, e sicuramente dimentico qualcosa. Il Wacken merita tutta la fama che ha guadagnato in questi trent’anni, e anche molto di più. Non posso chiudere altrimenti che dicendo è difficile da spiegare. (barg)

8 commenti

  • Comunque la tua compagna di merende è un genio

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  • Report di cuore. Bellissimo. Non ci andrò, non mi interessa, ma chapeau.

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  • Prophets of Rage e body count sono per veri intenditori e a questo Wacken c’era molta più merda!

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  • Sono un paio di giorni che saltello qua e là tutto contento perchè finalmente ho letto bene dei Primordial da queste parti; credevo ormai di avere le allucinazioni.
    Secondo me l’errore che viene fatto nel giudicarli sta nell’ approcciarsi a loro come ad un gruppo folk/black metal tout court: entrambi gli elementi sono presenti e parte importante della loro musica, ma il modo in cui affrontano la materia è da Epic Metal, con le sue ripetizioni, i riff ossessivi, le cavalcate portate allo strenuo.
    E poi c’è la voce di Nemtheanga, capace di trasformare in oro qualunque cosa.

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  • Cazzo Trainspotting, ho sempre considerato il Wacken il festival metal per i fighetti e non me lo sono mai filato, ma dopo questo report mi è venuta una voglia pazzesca di andarci. Sembra davvero un altro mondo. Un anno che c’è una line up che mi stuzzica e che ho cash, ci andrò sicuro. Anche solo per il gusto di provare l’esperienza. Lieto di sentirti così contento.

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    • Non puoi aspettare la lineup… volevo prendere i biglietti per l’ anno prossimo ma e andato sold out in poche ore. consideralo una vacanza campeggio metal, con la lineup di sottofondo. Dopo 15 anni di festivals, a wacken si va ancora solo per l’atmosfera, e la musica dopo.

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  • Sergente Kabukiman

    “ti piacciono gli scooter?”
    “ne avevo uno ma l’ho venduto per comprarmi la moto”. Se la cogliete, in questo momento vi sta scendendo la lacrimuccia come sta succedendo a me.

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  • Solo una parola: grazie. Dai tempi di Metal Shock.

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