Avere vent’anni: RAGE – XIII

È praticamente Pasqua e la testa rasata di Peavy Wagner, pressoché identica nella sagoma ad un grosso e costoso esemplare di Kinder Gran Sorpresa, mi impone di portare il culo al PC e scrivere al più presto qualcosa sui Rage. La coincidenza vuole che siano trascorsi vent’anni dall’uscita di XIII, un album che a suo tempo ebbe il potere di farmela prendere davvero malissimo.

Immaginate un ragazzino che nel fare il thrasher convinto è stato in qualche maniera travolto dall’altissima onda anomala del power metal di quegli anni: non gli si poteva resistere in nessun modo, e uno dei gruppi più capaci di appassionarmi furono proprio i Rage, soprattutto per la propria innata capacità di risultare in maniera perfettamente bilanciata “potenti ma melodici”, come reciterebbe la tag di metà dischi della Nuclear Blast. Il mio problema con i Rage, dei quali avevo saltato a piè pari il Lingua Mortis del 1996 semplicemente perché me l’ero in qualche modo perso, fu passare drasticamente dai miei prediletti (Perfect Man Trapped! con la vecchia formazione, The Missing LinkBlack In Mind con quella di mezzo) ad un qualcosa del genere che, in prima istanza, mi apparve del tutto indecifrabile. Oggi ammetto con piacere che XIII è un disco molto bello, piacevole da riascoltare a distanza e che rilegge – senza mai rendere invadenti le orchestrazioni – sotto un’ottica semplicemente più matura il loro sound di metà anni novanta. Il riffone di Heartblood non sfigurerebbe fra le loro composizioni più rocciose, mentre Over And Over dimostra quanto si sia tentato in qualche maniera di non trascurare del tutto la velocità di esecuzione. Perfino nei pezzi più deboli, come Just Alone, si ha un break centrale pazzesco in cui il connubio rock/orchestra trova piena giustificazione. 

La realtà è che il disco funziona meglio quando osa, come nel crescendo della atipica opener From The Cradle To The Grave o in Turn The Page. Ottima prova anche per Peavy Wagner al microfono, ed epitaffio celebrativo per una formazione leggendaria sia nei risultati che ottenne, sia per la mancanza di primedonne a turbarne il bilanciamento. Con Manni Schmidt li adorai; con Victor Smolski e Mike Terrana ho iniziato – a piccoli passi – a pretendere la loro rapida nuclearizzazione nonostante UnitySoundchaser avessero dentro delle ottime cose. La standardizzazione della band di quei tempi e l’eccesso di virtuosismo apportato dal nuovo chitarrista mi farà rimpiangere dischi come questo, e per fortuna – dopo il tremendo 21 – Peavy ha evitato di commettere altre grossolane cazzate. Gruppo più maturo e che oggi ritroviamo in buono stato, e che qui – all’ epoca appunto di XIII – veniva dalle sue migliori composizioni e si permetteva pure di tirare fuori gli attributi, noncurante dei rischi che costrinsero la band tedesca al mezzo passo falso di Ghosts (ma in ogni caso, quanto erano belle Wash My Sins Away e Love After Death?). Godetevi quindi le riuscite linee melodiche di Days Of December o della struggente In Vain, e probabilmente non vi pentirete di questo viaggio lungo tredici tracce il cui biglietto, per dovere di cronaca, include pure una accettabile riedizione della migliore canzone per distacco dei Rolling Stones, Paint It Black. Un periodo d’oro che si chiuse probabilmente qua, ma in grande. (Marco Belardi)

7 commenti

  • Ma appena a me piacque molto anche il sucessivo Ghosts? Questo invece è stato uno degli album della formazione (insieme a the Wake Of Magellan, Episod e Immagination From The Other Side).
    “Formidabili quegli anni”

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  • Personalmente tendo ad indicare come fine del periodo d’oro “Welcome to the other side”, nonostante sia sicuramente un gradino sotto “XIII”. Comunque per quasi un decennio (da “The missing link” ad appunto “Welcome…” sono stati una band favolosa ed era un piacere vederli dal vivo in quegli anni.

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  • Bell’album, ma non certo nei miei primi 50.

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  • gran disco. che periodo.

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  • ma guarda chi si rivede…..il Belardi!!! allora l’ascolti ancora sta roba da disadattati! :)
    ehhhh sono quei vizi quasi impossibili da debellare del tutto, pensa che per un periodo ho avuto anche la mezza idea di riaprire Hammerblow…….
    felice di averti ritrovato!

    Massimo

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    • Marco Belardi

      Piacere mio! Ho solo smesso di seguire le nuove uscite per tre o quattro anni ma non m’è mai riuscito di mollare… era qualche annetto che pensavo di riprovare a scrivere qualcosa, poi Illud Divinum Insanus mi ha ridato la motivazione :D :D :D :D

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  • Ho letteralmente consumato il cd. L’avevo trovato geniale e lo trovo bellissimo tutt’oggi. Ricordo di aver apprezzato anche il booklet del cd, in quel formato strano tipo “poster” (apprezzare il packaging di un album è una cosa che probabilmente non riuscirò più a provare ma era gran parte della fruizione della musica per me). Gli arrangiamenti di questo album sono assolutamente superiori, delle vere perle. Ammetto che non mi piaceva molto il suono delle chitarre, ma rimane un album spettacolare.

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