Scatenare risse nei bar di Newcastle: VENOM INC. – Avé
Trovo decisamente positivo il fatto che Cronos e Mantas abbiano ricominciato a scannarsi, alla stregua di bambini che si lanciano caccole a due banchi di distanza perché uno dei due ha lo zaino originale, e l’altro è di conseguenza un pezzente. La verità è che il chitarrista storico dei Venom ci andava benissimo con gli M-Pire Of Evil, insieme all’altro ex di lusso Tony Dolan e ad Anthony Lant, parente di Nornagest degli Enthroned oltre che del fratello Conrad (appunto Cronos). Ma la cosa suonava più dispettosa con il batterista storico Abaddon dietro alle pelli, ed ecco dunque la ricostituzione della line-up che pubblicò alcuni dei dischi più sottovalutati della intera discografia dei Venom, su tutti Prime Evil, con alla voce appunto Tony Dolan – o Demolition Man che dir si voglia – ovvero una sorta di arbitro Collina incazzato come una bestia, e assetato di metallo almeno quanto il suo diretto concorrente. Essendo un logorroico allo stato terminale, non mi limiterò a recensire il debutto dei Venom Inc. ma accennerò anche all’ultima fatica di Cronos – detentore del moniker originale – di cui due anni fa non ho potuto parlare poiché all’epoca ero ancora criogenizzato, e pronto a venire scongelato da un incauto Trainspotting.
Qual è la principale differenza, oggi, fra le due formazioni quasi omonime? Il fatto che depone in favore dei Venom è che dei due cantanti solamente Cronos è una personalità in tutto e per tutto iconica, e che ti fa ingranare marcia anche quando hai per le mani del materiale mediocre. Se nell’ultimo singolo degli Helloween avete letto un testo infarcito di titoli delle loro più famose canzoni, il cantante dei Venom ripete l’atto in un disco intero citando ora Witching Hour, poi il classico maideniano Hallowed Be Thy Name e tant’altro. La sua operazione di omaggiare il metallo nero in più stadi era iniziata nel 2006 quando diede alle stampe Metal Black anziché starsene buono e seduto a bere una Newcastle Brown; ma è una cosa sincera, a differenza di come appare ai miei occhi il volpone Weikath, e le uniche due volte che il malcrinito vocalist ha provato ad accodarsi a qualche tormentone – Calm Before The Storm e il moderno Resurrection – era finita decisamente in tragedia, cioè con la pubblicazione di due dei più brutti dischi della storia dei Venom. Diciamoci la verità: li avevamo visti tutti e tre insieme nel 1997 all’epoca di Cast In Stone, e fu probabilmente colpa del pubblico nel non riuscire a metabolizzare uno dei loro lavori più sottovalutati, altrimenti avrebbero probabilmente proseguito su quella falsariga nella quale, oggi e in parte, ambiscono un po’ a tutti a rispecchiarsi.
L’ultimo disco dei Venom non è brutto: si chiama From The Very Depths – un titolo che sembra scritto da un ragazzino di dieci anni che ha trovato per sbaglio della cocaina in camera dei genitori, mentre cercava il loro portafoglio – e il suo più grosso difetto è la lunghezza, cosa che affligge Cronos da una vita, perché se Cast In Stone era bello e malvagio, e vantava un’apripista semplicemente da urlo, il suo principale problema era il solito: non finiva mai. Il trittico centrale composto da Temptation, Long Haired Punks e Stigmata Satanas ci mostra i Venom in grande spolvero, altroché. E rispetto a Metal Black, ma soprattutto agli sciagurati Hell e Fallen Angels, le cose risultano più al suo posto tranne l’indecorosa capigliatura del signor Lant. Ma sono – carisma a parte – i Venom Inc. a fare di meglio. Mantas si dimostra un chitarrista che, a fronte di una tecnica musicale piuttosto standard per il 2017, sta vivendo un momento di forte ispirazione compositiva, oltre a proporre un qualcosa che passa senza problemi da varie fasi della carriera dei Venom, facendo uso di thrash metal, vaghi cenni industrial e una base stilistica che talvolta richiama perfino il power metal americano – quello a cavallo fra la fine degli ’80 e l’inizio della decade successiva. Perfino Abaddon non sfigura, pur non sprecandosi in pattern memorabili. Senza perder troppo tempo a citare le canzoni migliori, lo stile passa per i Motorhead di Black ‘n’ Roll, per un singolo dal videoclip rammsteiniano come Dein Fleisch e le potenti ma standardizzate Blood Stained – niente Judas! – e The Evil Dead senza mostrare particolari cali di tono. Undici canzoni di qualità medio-alta e un altro pugno in faccia a Cronos che, nonostante stavolta avesse ampiamente superato la sufficienza, ha perso di nuovo. (Marco Belardi)
lontani i tempi quando i dischi dei venom puzzavano di ascelle bestemmie e vomito rappreso,comunque dein fleisch non e’ male bel riff e video eccitante,spero cosi’su tutto il disco.
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No quella canzone è un episodio molto a sè stante nel disco, il resto suona molto in maniera diversa ma mi piace
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