Avere vent’anni: febbraio 2003

POISONBLACK – Escapexstacy
Barg: Nel 2003 eravamo tutti innamorati dei Sentenced. Ora molti fanno finta di niente, ma inutile che fate gli gnorri. La notizia che Ville Laihiala stesse debuttando col suo gruppo personale accese le speranze di parecchi, e il fatto che lui neanche cantasse aggiungeva ancora più curiosità. Invece Escapexstacy arrivò, passò, e più o meno nessuno se ne rese conto. Anche a riascoltarlo adesso lascia poco o niente. È un disco come ne uscivano tanti in quegli anni, uno di quei prodotti in serie del goticume all’acqua di rose di cui la Finlandia e la Svezia erano grandi esportatori, un’ennesima versione bubblegum dei Sisters of Mercy a uso e consumo delle ragazzine col piercing al labbro in età scolare. Non ha nulla della sincera rassegnazione sardonica dei Sentenced, e perde il confronto anche con i dischi migliori dei nomi minori perché è assai moscio, senza nerbo, e tendenzialmente non ha neanche pezzi che funzionano. La scelta del monotono Juha-Pekka Leppaluoto dei Charon come cantante è un’ulteriore svolta verso la mediocrità: dal successivo Lust Stained Despair sarebbe stato sostituito dallo stesso Laihiala, ma Escapexstacy ormai era andato così.
LUCIFUGUM – Back to Chopped Down Roots
Griffar: Il titolo in cirillico è Назад к порубанным корням, casomai non si trovasse in giro in caratteri latini per qualsivoglia motivo. Back to Chopped Down Roots è il sesto album dei Lucifugum, e tenendo fede al suo titolo torna indietro nel tempo proponendo una manciata di pezzi – otto in tutto, circa 42 minuti di musica – scarni, essenziali, ridotti all’osso come si usava fare agli albori del black metal. Igor Naumchuk, a quei tempi rimasto unico componente effettivo del progetto, si occupa della stesura di musica e testi, ma a suonare sono tre session: il chitarrista/bassista/cantante dei Lutomysl, il batterista dei Drudkh Yury Sinitsky (in seguito diventato membro stabile dei Lucifugum ma mai in servizio permanente) e un tastierista che successivamente ha suonato anche con Astrofaes e Drudkh. Scrivere un disco senza poi suonarlo è un caso abbastanza curioso, non oso immaginare il casino in sala prove. I pezzi sono tutti lanciati ad alta velocità, con arrangiamenti tendenti all’inesistente, e sembrano suonati in presa diretta, una botta e via, con l’unica eccezione della linea di basso (che in effetti nel mixaggio risulta altissimo). Se questo è sinonimo di genuinità e tutto il disco ha un feeling spontaneo come pochi altri, non si può dire che Back to Chopped Down Roots sia un capolavoro: i pezzi si somigliano un po’ tutti, grossi picchi o riff memorabili non ce ne sono e si fa pure fatica a rammentarne anche solo uno. Le tastiere, rade e tenute abbastanza in sottofondo, donano un minimo di grazia alle composizioni che al loro netto risultano ruvide e sguaiate, raw black metal radicale punto e basta. Da un gruppo che aveva già pubblicato cinque album in precedenza, oltre ad altri titoli per una carriera che oramai sforava alla larga i dieci anni, ci si sarebbe dovuto aspettare di più. Una curiosità: questo è uno dei pochi dischi dei Lucifugum non prodotto dalle etichetta di Naumchuk (Propaganda records); uscì difatti per Blackmetal.com, che penso ne ebbe abbastanza di collaborare con loro dopo un album appena.
DEFECATION – Intention Surpassed
Ciccio Russo: Il cognome era lo stesso, il nome era pressoché identico e molti di voi da ragazzini li avranno confusi. Mitch Harris e Mick Harris suonarono insieme su un solo disco dei Napalm Death: Armony Corruption del 1990. Il primo è tuttora chitarrista della leggenda inglese, il secondo lasciò subito dopo per dare vita agli Scorn. I quasi omonimi avevano però già collaborato l’anno precedente su Purity Dilution, debutto dei Defecation, un cruento mix di grind di scuola britannica e death metal all’americana (Mitch é newyorchese) che riuscì a conquistarsi il rango di classico minore. Un secondo album fu scritto ma non uscì mai a causa degli scazzi tra la Nuclear Blast, che aveva prodotto l’esordio, e la Earache, che aveva i Napalm sotto contratto. Finì che Mitch se lo incise in totale solitudine nel 2003. Ma era passato troppo tempo. I pezzi, pur apprezzabili, suonano inevitabilmente datati e la produzione è troppo moderna per non far apparire il risultato fuori tempo massimo. Pubblico e critica reagirono con freddezza. Del resto, all’epoca, i Napalm Death erano nel pieno di una seconda giovinezza artistica.
DISGORGE – Necrholocaust
Griffar: Senza alcuna ombra di dubbio il loro disco migliore. Quello che era molto probabilmente un gruppo messo su per scherzo, per passare le serate ad ubriacarsi di tequila a basso costo, magari andare ai concerti gratis e baccagliare qualche tipa sbronza marcia da portarsi in branda con la scusa di farla assistere alle prove della band, a un certo punto diventa grande, impara a suonare gli strumenti e sforna un gioiellino di gore/death/grind che non ha niente da invidiare ai ben più noti Exhumed, Impaled, Haemorrhage, Pathologist, Dead Infection, senza arrivare a scomodare i Carcass che sono sempre stati di un altro pianeta. Titoli e testi delle canzoni continuano ad essere sconsigliatissimi ai deboli di stomaco ma non uno degli otto pezzi di Necrholocaust è al di sotto dell’eccellenza nel suo genere: il miglioramento rispetto a quell’accozzaglia di suoni marci, putridi, decomposti e confusionari rispondenti agli album Chronic Corpora Infest e Forensick è sba-lor-di-ti-vo! Certo, la violenza sonora rimane elevatissima e ci mancherebbe altro, ma i pezzi sono scritti alla grande, i riff sono intellegibili e persino la voce, che prima era solo un unico noioso gorgogliare, ora ha un senso compiuto. Basso e batteria si prendono in braccio i pezzi e le chitarre li seguono alla perfezione, confezionando un disco divertentissimo da ascoltare anche a distanza di vent’anni. Oltretutto è lungo il giusto (34 minuti), ci sono cambi di tempo quasi inaspettati, un songwriting vario e assai personale, finalmente pochissimi samples e nessuna scemenza (cose che abbondavano nei primi due dischi). Davvero non si poteva chiedere di più, la menata è che dopo questo album hanno fatto solo un full nel 2006 (Gore Blessed to the Worms, carino ma questo è molto meglio) e uno split con gli Haemorrhage nel 2011, poi nulla di significativo. Mi sa che è già passato troppo tempo…
TIERRA SANTA – Indomable
Barg: Mi sono appena accorto di una cosa imperdonabile: non abbiamo recensito Sangre de Reyes che compiva vent’anni nel 2021. Non so come abbiamo fatto a perdercelo e non ci sono giustificazioni, perché quel disco, insieme al presente Indomable, rappresenta il picco artistico dei Tierra Santa, gruppone dagli esordi promettenti che a un certo punto esplose e ci regalò questi due bellissimi album. Che in qualche modo si differenziano l’un l’altro: quello più ragionato e più vicino agli Iron Maiden (specie quelli di Somewhere in Time, di cui riprende tipo di suono e pure i guitar synth), questo più diretto e con pezzi più scarni. Riconosco che probabilmente io tendo a essere fazioso quando si parla dei Tierra Santa, perché mi piace proprio il loro stile, il tono enfatico di Angel San Juan, il modo in cui riescono a rendere epica qualsiasi tematica di cui trattino, la passione da esordienti che hanno mantenuto anche quando non erano decisamente più esordienti, eccetera. Ma, nonostante ciò, non posso sbagliarmi così tanto.
GODLESS NORTH/CHEMIN DE HAINE – Split
Griffar: Il titolo completo del disco sarebbe Only Human Ashes are Real; questo è lo split tra i canadesi Godless North e i francesi Chemin de Haine, progetto di gente di, tra gli altri, Osculum Infame e S.V.E.S.T., con la peculiarità di aver fatto uscire dal 1995 solo 6 split nient’altro. Del resto nessuna delle due band è mai stata particolarmente prolifica, ma i Godless North almeno due full li hanno fatti: il grandioso Summon the Age of Supremacy nel 2000 e Wampiric Coffinspirit nel 2019, curiosamente uscito solo in digitale. Poi ci sono anche tre split (uno è questo), un live album ed un EP, tutto tra il 1996 ed oggi. Il black metal dei Godless North è sempre stato grezzissimo, una tempesta di note non distanti da quanto proposto dai primi Immortal, DarkThrone, Dødheimsgard, Trelldom e compagnia glaciale. Non sono mai stati particolarmente originali, ma la ferocia dei loro pezzi iperbrutali è pane per i denti di ogni blackster che si rispetti e che troverà nella musica dei Godless North quanto gli serve per appagare la sua fame di continua, inusitata e annichilente violenza. Anche i Chemin de Haine suonano prevalentemente ad alte velocità ma, scrivendo composizioni mediamente più lunghe (sugli 8/9 minuti), diversificano di più le partiture nel classico stile francese, in cui gran parte della sensazione di ferocia viene trasmessa grazie all’impostazione demoniaca delle voci e al riffing più melodico sebbene ammantato di costernazione, scoramento, tristezza e malvagia oscurità. La registrazione è molto low-fi, proprio come si conviene ad un gruppo i cui membri sono stati comunque esponenti di spicco nelle Legions Noires. Per gli amanti del black metal underground, quello genuino e grezzo come una pietra preziosa non ancora rifinita, questo split è una chicca da non perdere.
FORLORN – Hybernation
Michele Romani: I Forlorn da Stavanger erano una sorta di progetto creato da membri di Gehenna, 122 Stab Wounds e altra gentaglia, che ricordo ancora con nostalgia per via del meraviglioso esordio del 1997 intitolato The Crystal Palalce, ovvero come creare un connubio quasi perfetto tra il northern black metal di matrice melodica e il tipico suono viking che andava per la maggiore ai tempi. Disco che purtroppo non fu mai più emulato, né dal successivo Opus III – Ad Caelestis Res né soprattutto da questo Hybernation, che scimmiotta palesemente gli ultimi Dimmu Borgir in maniera a dir poco scadente. Il disco infatti scorre senza particolari sussulti per tutta la sua durata, il modern black metal in questione è assai derivativo e in più appaiono qua e là divagazioni elettroniche che sembrano inserite totalmente a casaccio all’interno dei brani. I Forlorn avranno pensato: ma se ci sono riusciti i Dimmu Borgir perché non potremo farlo anche noi? Mai previsione fu così sbagliata, purtroppo: la band infatti si sciolse di lì a poco nell’indifferenza generale.
UNTIL DEATH OVERTAKES ME – Prelude to Monolith
Griffar: Mi sono innamorato degli Until Death Overtakes Me e per estensione anche del funeral doom con questo disco, in una fredda notte di febbraio, durante uno dei ritrovi della Torino Black Metal (che solitamente si svolgevano a casa di Riccardo, che per chi mi conosce da più tempo era l’amico Ossario nei forum di tanto tempo fa), nei quali si ascoltava musica, si bevevano vini e liquori di pregio (quanto Lagavulin, quanto Cragganmore ci siamo degustati), si guardavano film noir italiani anni ’70 e si facevano epiche partite a scopone scientifico. In una di queste occasioni venne messo nello stereo Prelude to Monolith. Era un nuovo acquisto di Ricky, poteva egli non comprare un prodotto dell’etichetta (Firefox records) nota per pubblicare eccellenze nel genere funeral doom? Impossibile, ovviamente. Nessuno li conosceva, nessuno li aveva mai nemmeno sentiti nominare e tutti ammutolimmo. Quella sera non si ascoltò altro, il disco girò fino a notte tardissima e l’indomani ne avevamo già tutti ordinata una copia a Pagan Moon. Ogni volta, ogni stramaledetta volta che lo riascolto sono un’ora e 8 minuti di brividi continui, incessanti; per me è uno dei più alti livelli mai raggiunti dal gruppo e dall’intero genere tout court. Dopo la intro di organo distorto, assai breve, parte Missing e sono oltre ventuno minuti di pura agonia, sorretta dalle tastiere più catastroficamente infelici che siano mai state incise su un disco. A questo martirio seguono altri due brani non meno angoscianti, sempre più oscuri, sempre più afflitti, fino all’apoteosi finale, che non poteva altro che intitolarsi Marche Funebre, strumentale di nuovo basata su un organo e su linee di pianoforte che farebbero piangere il più allegro degli uomini sulla Terra. Da allora ho sempre seguito l’opera di Stijn Van Cauter, comprandogli tutte le edizioni fisiche dei dischi che lui stampa a richiesta, del quale trovate comunque tutte le sue creazioni su Bandcamp in free download. Ma se avete un minimo di onestà intellettuale ed apprezzate la sua musica, la sua arte, sarebbe doveroso che qualche euro per ricompensarlo glielo elargiste.
GUN BARREL – Battle-Tested
Barg: Mettete insieme Motorhead, Accept, AC/DC, Kiss e Saxon, modernizzate il tutto e fatelo produrre da due numi tutelari dell’heavy/power tedesco (Piet Sielck degli Iron Savior e Uwe Lulis di Grave Digger/Rebellion): quello che verrà fuori saranno i Gun Barrel, il cui Battle-Tested mi aveva colpito vent’anni fa e mi ha colpito nuovamente adesso, al risentirlo dopo secoli. Le influenze sono molto poco tedesche, anche se tedesco è il modo di reinterpretarle, fonderle insieme e confezionarle in un disco solido, quadrato e senza sbavature. È complicato classificare in due parole un album del genere, per la suddetta mescolanza di stili e per il fatto che, grazie alla produzione dei due numi tutelari sopracitati, nei momenti più concitati suona come dovrebbe suonare un disco power metal, pur non essendolo. È che ogni disco prodotto da Piet Sielck ricorda la sua band: il suono di chitarre e batteria (specie la cassa), i cori fatti in quel modo, la voce del noto pelatone che prorompe qui e lì, eccetera. Qui si passa dall’omonima in apertura che sembra un incrocio tra Motorhead e Iron Savior a pezzi più stradaioli coi ritornelli da far fischiare le orecchie ai Poison, passando per vari scopertissimi plagi degli AC/DC. Di solito i dischi fatti con queste premesse rischiano di essere confusi e di non riuscire ad accontentare nessuno, ma non è questo il caso. Perfetto da ascoltare in macchina.
SATANIC WARMASTER – Opferblut
Griffar: È grazie a dischi come Opferblut che i Satanic Warmaster sono diventati il gruppo celebratissimo che sono tuttora. Meritatamente. Non che la musica suonata da Tyrant Werewolf e War Torch (in questo episodio con l’aiuto di Lord Sarcofagian degli Horna alle pelli, un batterista della madonna senza né se né ma) sia rivoluzionaria, originale, innovativa o cos’altro. No, è solo puro, semplice, efficace e straight-in-your-face black metal malvagio, demoniaco, freddo come il più terribile degli inverni, composto e suonato con una convinzione ed una consapevolezza dei propri mezzi fuori dal normale. Poi, certo, c’è tutto il discorso della misantropia e delle simpatie di estrema destra di Werewolf, che ne hanno accresciuto col tempo fama e ammirazione da parte di una solida e consistente fanbase, in contemporanea con tutto il biasimo e il profondo disprezzo dei vari buonisti troppo poco impegnati a risolvere i problemi che hanno con sé stessi. Ma questo non ci deve distogliere dal nostro scopo principale, parlare di musica. E allora i sei brani (più Rain Falls, una strumentale) sono grandiosi esempi di fast black metal nordico, quello con i riff in tremolo picking stile bufera di vento, il basso ben presente, i blast beat sparatutto, le melodie nascoste in parte dalla maestosa brutalità; ma soprattutto non mollano mai, hanno un tiro che sfiancherebbe una statua di ghiaccio, anche le parti cadenzate fanno scapocciare e costringono all’air guitar senza che ci si possa sottrarre all’obbligo. Opferblut è un gran disco di genuino black metal, lo si ama o lo si odia, non credo sia il caso di aggiungere altro.
NICK CAVE & THE BAD SEEDS – Nocturama
L’Azzeccagarbugli: Nocturama è un album importante, non tanto per i suoi meriti artistici ma perché mette fine alla “seconda parte” della carriera di Nick Cave, facendo da ponte alla successiva collaborazione con Warren Ellis (sì, lo so, c’era anche su Let Love In, ma l’apporto sarà molto diverso) e ad album ancor più distanti dal passato. Inoltre è l’ultimo disco con la colonna portante dei primi Bad Seeds, Blixa Bargeld, e anche il primo, dopo molti anni, ad avere un approccio più “da band” e meno cantautorale, che rimarrà negli anni a venire. Il problema è che, pur non esistendo brutti dischi dell’australiano, Nocturama è senza dubbio il lavoro meno ispirato e più di mestiere a firma Bad Seeds. Se la buona apertura di Wonderful Life guarda direttamente a The Boatman’s Call, le altre composizioni si risolvono in una rimasticatura in versione “corale” di idee figlie dell’ultimo periodo di Cave, ma molto meno convincenti. Nulla di sgradevole, ma se già nel buon No More Shall We Part (che conteneva un paio di gemme assolute) la sensazione di mestiere era evidente, con Nocturama c’è anche un certo piattume e si ricordano (oltre alla menzionata traccia di apertura) solo la discreta Bring It On, la buona There is a Town e la torrenziale, indemoniata, Babe I’m on Fire, unico vero e proprio sussulto nel corso di un album decisamente poco esaltante, che anticipa alcune sonorità che arriveranno negli anni successivi.
CRYOGENIC / DIES ATER – Split
Griffar: Questo disco altro non è che la ristampa, a cura della microscopica label tedesca Fog of the Apocalypse e uscita solo in vinile limitato a trecento copie, delle demo d’esordio di questi due gruppi tedeschi collocabili in un’ipotetica seconda fascia per quanto riguarda la notorietà. Dei due i migliori erano i Cryogenic, che grazie alla pregevole demo Ignis Occultus In… qui riproposta in versione rimasterizzata (come quella dei Dies Ater, certamente) si guadagnarono un contratto con la Solistitium records, etichetta che ha promosso un’impressionante quantità di capolavori: gente come Horna, Helheim, Isvind, Nocternity, i primi Behemoth… Il calibro delle uscite era quello. Per loro i Cryogenic fecero uscire nel 1998 Celephais, sottovalutatissimo disco di black sinfonico che suona tedesco che di più non si può: loro le orchestrazioni e la passione per le grandi melodie senza rinunciare alla grinta ce l’hanno nel DNA, e meno male che è così. Cinque anni dopo uscì Parsifal 21, altro piccolo capolavoro che se uscisse oggi si urlerebbe al miracolo come al cospetto di un’eclissi anulare di luna e invece fu immeritatamente trascurato dai più (se non mi credete andate a controllare, è uno dei pochi dischi recensiti in Metal Archives con un 100%, anche se non penso gli abbia giovato più di tanto). Symphonic black metal da manuale, composto da gente che sapeva il fatto suo (vi basti sapere che Unhold, il cantante, era anche nei Luror, nei Wolfsmond e negli Absurd, ed è il titolare dell’etichetta di culto World Terror Comittee) e che, vista la mancanza di recettività da parte del pubblico, sciolse il gruppo poco tempo dopo. I Dies Ater erano un gradino al di sotto degli eccellenti colleghi, con i quali comunque condividevano il batterista. Tutti i pezzi di Rabenflug (la demo qui rappresentata) sono apparsi anche nel debutto Reign of Tempests, uscito per Mordgrimm recs – sottoetichetta della Cacophonous – nel 1999. Siamo sempre nel black sinfonico, un po’ più cattivo e meno tecnico dei loro soci anche se non mancano alcune influenze Summoning/Abigor, una sorta di primi Enid più violenti. Ve ne parlerò più diffusamente in aprile, quando ricorrerà il ventennale del loro terzo album Chanting Evil.
OMNIUM GATHERUM – Spirits and August Light
Barg: Con Spirits and August Light gli Omnium Gatherum arrivano al debutto effettivo dopo un primo EP di qualche mese prima di cui abbiamo parlato qui. C’è poco da dire, perché quest’album è davvero troppo acerbo e poco rappresentativo di ciò che il gruppo finlandese sarebbe diventato in futuro. Questa quarantina di minuti abbondanti è grossomodo definibile come banale death melodico senza grossi colpi di testa: qua e là fanno capolino quegli arpeggi vagamente psichedelici che successivamente diventeranno la loro cifra stilistica, ma poca roba. Negli anni ho provato varie volte ad ascoltare Spirits and August Light per capire se mi stessi perdendo qualcosa e il risultato è stato sempre negativo; ci ho riprovato anche adesso, ma direi che posso mettermi l’anima in pace.
FUNERAL FOG – Under the Black Veil
Griffar: Trio canadese di gente assai scafata (il batterista è classe ’63, il chitarrista/bassista del ’73) i Funeral Fog potremmo considerarli una tribute band che scrive pezzi propri. Non ci credete? A parte il nome del gruppo (derivante da un brano di voi-sapete-chi) date un’occhiata ai titoli delle canzoni: Forest of Shadows, Transylvanian Bloodlust, Immortal Summonings, Grave Land, Under the Black Veil… Vi ricordano niente? Il disco suona come un patchwork di influenze di tutta la scena norvegese dei primi anni ‘90, non c’è un solo milligrammo di originalità eppure, la miseriaccia, è divertentissimo, è una manciata di canzoni bellissime che, del tutto intenzionalmente, vogliono essere un tributo, una commemorazione, un elogio, un incensamento di un genere che ha sconvolto la storia della musica portando l’heavy metal in mondi nuovi mai prima d’allora esplorati. Qui dentro ci trovate tutti, ma proprio tutti: Mayhem, Satyricon, DarkThrone, Burzum, Immortal, Gorgoroth, Carpathian Forest, Tulus… tutta la combriccola. Metteteci dentro anche i Morbid va’, anche se non erano norvegesi. Saper scrivere anche ottimi riff ed ottime canzoni li ha aiutati a sfornare un piccolo capolavoro credo unico nel genere, perché è ovvio che i Funeral Fog suonano in questo modo per incensare i loro idoli e non per scopiazzarli sic st simpliciter. Un album-tributo composto non da cover ma da pezzi propri è assai raro, a me non ne vengono altri in mente. Hanno pubblicato un altro full sulla falsariga di questo esordio nel 2007 (Channelling Ancient Shadows, notevole anche questo, forse un pochino meno di Under the Black Veil ma son dettagli) prima di sparire nel nulla, per poi ritornare a lustri di distanza con il terzo Lp 13th Moon, che non ho ancora ascoltato.
Juha-Pekka Leppaluoto è IL MIGLIORE. “monotono”, ma senti questo! Barg hai toppatooooooooo ;)
cmq disco bellissimo, davvero la tua stroncatura non la inquadro… chiaro, i Sentenced erano altro (e pure i Charon di Downhearted)
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il disco 13TH moon è dei funeral fog italiani, quelli citati sono invece i canadesi
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No, dai 🍻
https://www.metal-archives.com/bands/Funeral_Fog/7351
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I Goddless North!!! Minchia è una vita che non li sentivo nominare. Vado a cercarmi l’album e me lo riascolto.
Opferblut tantissima roba, mentre i Funeral Fog non li conoscevo assolutamente ci do un ascoltata.
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