CARCASS – Torn Arteries

Torn Arteries è un album che poteva anche starci, se i Carcass non si fossero ritrovati in uno stato di costipazione che li ha portati prima a sfornare Surgical Steel e poi a confezionarne il successore dopo otto lunghi anni. Se una band caca un album ogni dodici, massimo ventiquattro mesi, è comprensibile che prima o poi farà i conti con “il disco nella media”. Dopo un’attesa così lunga, percezione e aspettative rendono “nella media” un buon disco per via della scritta Carcass in calce.

Torn Arteries vede la luce in netto ritardo anche perché Surgical Steel ci restituì la summa dell’Heartwork pensiero, scremato dall’imprinting delle melodie di Amott, del tiro irresistibile insito nella batteria di Owen e del feeling anni Novanta, abilmente riassunto nello splendido dietro le quinte a firma Colin Richardson. Tolto tutto questo, Surgical Steel rimane un album egualmente enorme, uno dei migliori di tutti gli anni Dieci se non il più rappresentativo.

Non si poteva, però, nemmeno pensare di ripeterlo, non tanto nelle canzoni quanto nella forma. Un album summa, se lo ripeti, ti farà diventare uno di quei gruppi a coraggio zero che, trovata la formula, procedono per un decennio e oltre con quella. Nel volersi discostare da Surgical Steel, un’opzione poteva essere produrre il disco più feroce possibile e si sarebbe persa per strada ulteriore “anima”; l’altra era correggere gli errori presenti, ad esempio, in Swansong, e tirarne fuori una versione socialmente moderna e accettabile.

carcass_torn_arteries

Il problema di un album di mid-tempo a nome Carcass è proprio questo, che si dovrebbe giocare tutto sulla semplicità. Senza Ken Owen, il mago della semplicità. Il loro attuale batterista è un eccellente strumentista di cui non mi rimane niente e nel quale, peraltro, i Carcass credono parecchio, concedendogli numerose intro e – a scopo promozionale – quegli inutili filmati intitolati drum playthrough certamente ispirati ai POV del settore pornografico, stavolta con più bacchette e meno cazzi. Daniel Wilding è freddo, ed esistono decine e decine di affermati turnisti che, esattamente come lui, potremmo piazzare in qualunque band di punta senza percepire grosse differenze fra gli uni e gli altri. In un album così impostato, Daniel Wilding è aggravante anziché valore aggiunto, giacché vi è concesso un maggiore spazio agli arrangiamenti e alla creatività, campi nei quali, naturalmente, a risaltare sarà il solito Bill Steer, il fuoriclasse per eccellenza. Daniel Wilding non ha niente di geniale, ed esserselo messo di fianco non esenta neppure Steer da colpe.

Torn Arteries non è a briglia sciolta come Surgical Steel e lo senti subito. Dopo dieci ascolti inizi a farci l’abitudine e ad apprezzarlo un po’ di più, ma quella cosa la senti ancora e ti pesa, parecchio. Torn Arteries è un album di pura libertà artistica, come se i Carcass avessero pensato più per sé che per noi e il nostro voracissimo hype. Più assoli, più arrangiamenti, i riff death metal sono più death metal del solito, i riff rileccati di hard rock e blues stavolta si dichiarano apertamente. Nonostante tutto, brani brevi e dalla durata media di quattro minuti e mezzo riescono non di rado ad annoiare. Il bilanciamento calcolato e ruffiano di Surgical Steel, tolto di mezzo, priva i Carcass di un ingrediente che mai avremmo sospettato fosse fondamentale.

Carcass-2021

Le canzoni che ho apprezzato maggiormente sono la suite Flesh Ripping Sonic Torment LimitedThe Scythe’s Remorseless Swing. Quest’ultima è diretta, corposa, e richiama in modo palese certi usi e passaggi di Surgical Steel, restituendo parzialmente quella sensazione di trovarsi a casa che, per tutto l’ascolto, aveva un po’ latitato nonostante l’ottima fattura delle musiche qui contenute. Ultima di dieci tracce, ha un gran tiro, il genere di tiro meritato da un disco tutto impostato sui mid-tempo.

In fila alle due metto la povera Under the Scalpel Blade, che, presa a pesci in faccia alla sua uscita quasi fosse un degenerato scarto di Surgical Steel, è in realtà gradevolissima. Ho memorizzato più facilmente questo pezzo, canonico, spedito, sempliciotto, che altri scelti perfino come singolo, come Dance of IXTAB (noiosissima, ma il muro di suono che s’innalza sul riff portante vale il prezzo del biglietto). Bella la produzione, non c’è da aggiungere altro. Non ci sono brutti riff qua dentro, o brutti suoni, ma una generale stanchezza compositiva dalla quale solo due brani fuggono quasi del tutto. Altri tre o quattro si salvano, ma non m’entusiasmano come accadde nel 2013. Non ci sono neanche veri e propri filler, ma una moltitudine di canzoni mortalmente nella media. È inoltre palese come si sia scelto di dare un’impronta stilistica più netta all’album, perché un pezzo come The Living Dead at the Manchester Morgue (dall’Ep Despicable) supera di gran lunga metà di queste composizioni, ma è stato tenuto a margine forse per far risaltare altre soluzioni.

Pur essendo più digeribile del sì lineare, ma forzato e incostante Swansong (fra me e lui c’è come un muro, da sempre), Torn Arteries non ha quelle due o tre hit pazzesche che Swansong aveva eccome. Un album che mi preoccupa, perché i Carcass del 2013 m’erano sembrati un inaffondabile incrociatore diretto verso la costa nemica a suon di cannonate. Senza spingermi all’immane errore di ridimensionarli, ne riconosco il mezzo passo falso e capisco, tutto ad un tratto, come mettere a registro due titoli consecutivi del livello di Surgical Steel fosse utopico, pretenzioso, un pensiero e un’esigenza precisamente da bischeri. Anche con quasi due lustri di pausa caffè nel mezzo. (Marco Belardi)

6 commenti

  • Personalmente non mi trovi d’accordo, a me il disco piace, le variazioni sul tema sono perfettamente contestualizzate e, per ora, la noia non ha ancora fatto capolino. Sul batterista potrei essere parzialmente d’accordo, un po’ forzato e spesso freddo, del resto di Ken Owen ce n’è uno solo. Lunga vita ai Carcass.

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  • Io mi diverto a sentire sto disco, lo trovo stimolante nella sua variabilità e non mi consente distrazioni. Senza farlo troppo consapevolmente (credo) Bill Steer si è allineato alla comune tendenza, relativa agli ultimi 15 anni, di inserire influenze esterne al metal nella propria musica. Si sentono le altre band dove suona, per esempio, ma la cosa stupefacente per me è che tutto suona comunque, inequivocabilmente, Carcass.

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  • Sui Carcass mi viene difficile parlarne e scriverne in maniera distaccata. Una cosa è certa, se non lo prendo subito , o entro qualche settimana, tra dieci anni mi ritroverò a bramarlo e a cercarne disperatamente una ristampa in vinile. Comunque, Bentornati, Carcass!!!

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  • Surgical Steel mi risuonava come se i ragazzi di Necroticism avessero riabbracciato le chitarre con la maturità guadagnata dopo Swansong. Torn Arteries invece lo percepisco come se i ragazzi di Swansong volessero riproporre qualcosa di più efficace alla Necroticism. Quattro album diversi che comunque suonano tutti CARCASS in maiuscolo! Torn Arteries lo trovo personalmente stimolante e non inferiore alla loro media: ottimi riff, ottimo groove e una bella ventata di freschezza nello stile, dai continui spunti di scale arabeggianti, dalle soluzioni più tribaleggianti di batteria sebbene meno “mitragliata”; dopotutto il bello dei Carcass è la diversità palpabile che distingue ogni loro uscita l’una dall’altra. L’ho riascoltato più volte fin da subito e mi ha fatto desiderare sempre un altro ascolto, per me è un successo!

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  • io dopo cinque ascolti ancora non ho capito se mi piace o no

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  • Sicuramente non è un ascolto semplice, molto stratificato, pieno di riff, comunque ad qogni ascolto mi convince sempre di più

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