Dieci dischi per gli anni Dieci: Marco Belardi

Oltre un anno fa si è concluso il decennio che mi ha riavvicinato al metal. Perciò, nel far mente locale su quali dischi siano stati più attesi, rappresentativi o dolorosi, non solo lo rileggo come un ottimo decennio, ma lo trovo indiscutibilmente superiore al precedente. Nella scelta dei dieci album ho scelto di non concentrarmi sull’underground, per non fare confusione o allucinanti rimescoloni, e per un motivo specifico che spiegherò adesso: a parer mio la musica continua a muoversi anche dopo l’anno zero che è stato il 2000. Abbiamo visto il blackgaze ed era impensabile anche solo razionalizzare un concetto simile fino a pochi anni prima, eppure i suoi ingredienti già se ne stavano in giro in attesa d’essere accoppiati. Abbiamo visto il djent, e il doom rinascere ed essere abbinato un po’ a qualsiasi cosa. Abbiamo visto il death metal riprendere vigore e forme parallele a quelle con cui era esploso, il boom dello stoner rock su un piano differente dai Kyuss e tanto altro ancora. La musica che però sento mia è questa, cazzo. Ormai sono un quarantenne ed è fisiologico che in me, e per me, faccia maggior rumore questa, piuttosto che movimenti, band ed album che di diritto appartengono a un’altra generazione. Per quanto i Power Trip e i Vektor siano roba recente, mi riportano la memoria a una reinterpretazione di qualcosa che più si lega alla musica che sento mia, quella figlia degli anni Ottanta e Novanta. E infatti loro due li ho tenuti dentro, assieme a tanti nomi storici che, nonostante le barbe stinte dal grigiore, profili social ai margini del concetto stesso d’imbarazzo e quegli orribili documentari che è usanza propinarci prima d’un album, negli ultimi dieci anni hanno saputo assestare colpi di coda ai quali non poteva certo seguire l’indifferenza. Complimenti a loro, dal primo all’ultimo.
BURZUM – Belus (2010)
L’ho ascoltato perché il Conte ritornava a suonare black metal, era ufficiale, era nell’aria, e quando uscì fui al suo cospetto il giorno stesso un po’ come lo sarei stato ai vecchi tempi: non s’ascolta il giorno seguente una roba così, si corre da lei. Due anni prima avevo provato una simile curiosità all’annuncio di Death Magnetic, un album che ho discretamente memorizzato pur ritenendolo stracolmo di difetti. Ma era un’altra materia, qui non si giocava sul terreno delle origini metallare e dei sentimenti, ma del punto al quale arrivi nel tuo percorso da metallaro. Rimasi deluso dalla voce, che già in Filosofem era profondamente mutata e che ancora mutava – ma non nella direzione sperata. Gli anni passavano e non si poteva concretamente sperare che le urla fossero le medesime, così strazianti, degli anni e dei fatti che precedettero e seguirono un Aske non a caso. Il black metal del Conte denudato dei fatti sanguinolenti e di fuoco dei primi Novanta, a riprova della sua assoluta efficacia anche sotto la semplice forma di musica estrema.
PARADISE LOST– Tragic Idol (2012)
Preferisco dar priorità a questo e non a Worship Music, di poco più vecchio, laddove fu infilato a forza un cantante che non meritava di togliere il posto a chi quel posto l’aveva strameritato, fatto suo. Preferisco virare su tutt’altro genere, perché, affezionatissimo come sono ai Paradise Lost, tre anni prima m’avevano deliziato con l’incredibile title-track di Faith Divides Us sebbene all’interno del puzzle mancassero molti pezzi. Quel qualcosa di mancante si manifestò qui, come un fiume in piena. Tragic Idol è uno dei miei album preferiti dell’intera carriera della band inglese, un ipotetico successore di Draconian Times che mai vide la luce e che mi ha concesso di vivere il gruppo di Halifax come non avevo potuto fare, nella prima metà dei Novanta, per motivi strettamente anagrafici. Semplicemente adorai questa uscita, senza girarci attorno: vivere con entusiasmo l’uscita di un album metal a trent’anni. Ipotizzabile, possibile, fatto grazie a loro.
OVERKILL – The Electric Age (2012)
Inizialmente avevo optato per Dark Roots of Earth, l’ultimo significativo dei Testament e il loro ultimo per il quale valesse sollevare un po’ di clamore. Ma fra me e i Testament c’è come una barriera da un po’ di tempo, e umanamente si va un po’ tutti a simpatie quando è il momento dell’indecisione. Dico The Electric Age e lo dico con convinzione perché lo preferisco perfino ad Ironbound, il più significativo forse, e perché ritengo gli Overkill del 2012 al culmine della loro rinascita artistica. Da eternamente discussi a nuova certezza del panorama, gli Overkill, senza più dover bussare, entrarono fissi nel mio lettore. E stavolta avevo una voglia matta d’ascoltare i loro inediti. Non i classici, quelli già li conoscevo a memoria. Paradossalmente una situazione opposta ai Testament, che quasi bissarono il chiacchierato lavoro del 1999 con un infinito vuoto temporale a dividere i due, e semplicemente il vuoto a seguirli. Fra i Overkill e Testament, per il sottoscritto, non ci sarebbe stata più storia.
ANGEL WITCH – As Above, So Below (2012)
Rivincita. Non mi viene in mente un’altra parola per descrivere il ritorno sulle scene da parte degli Angel Witch, quelli del primo e omonimo Angel Witch e di nient’altro. Quelli della NWOBHM oscura, dei dischi brutti in serie (che poi il secondo mica lo era), e ripeto: di nient’altro. Quelli della sfiga totale, Max Pezzali è in debito per non avere mai scritto un testo su questo elemento qua, Kevin Heybourne. L’album è una mescolanza di cose già scritte all’epoca, ma che non vennero incluse in Screamin’ and Bleedin’ perché facevano a pugni col suo stile, e d’inediti genuini dalla prima all’ultima nota. Uno dei più bei suoni che ho ascoltato in un disco degli anni Dieci insieme a Last Patrol del 2013, con le prime due canzoni semplicemente da urlo, da annali, da ricordare per la vita. Immenso Kevin Heybourne, te lo sei meritato e l’unica lezione che hai avuto da imparare è: se hai qualcosa di buono da pubblicare, cazzo, pubblicalo.
CARCASS– Surgical Steel (2013)
Un fardello assai opprimente: i Carcass che ritornano a fare musica e che ritornano a fare death metal (melodico) senza girarci minimamente attorno. Dall’altro lato della barricata noi tutti in attesa d’un qualcosa che non suonerà certamente come Swansong, e che si porrà come il moderno successore di Heartwork pur non reggendo in partenza ogni paragone. Premesse di merda appiccicate a un nome che in teoria non fallisce mai, perché volenti o nolenti gli si è perdonato perfino Swansong o si è arrivati ad adorarlo senza compromessi. L’ho digerito molto lentamente: sulle prime un compitino ben svolto con un suono di batteria pure bruttarello; oggi lo conosco pressoché a mente e considero almeno quattro delle sue canzoni altrettanti classici della band anglosassone. Immenso, forse l’album del decennio trascorso che ho ascoltato di più.
TRIPTYKON – Melana Chasmata (2014)
Dopo il 2013, incredibile anno del rock con i trionfali Earth Rocker (Clutch), Infestissumam (Ghost) e Last Patrol (Monster Magnet), fu inevitabile pretendere sensazioni più oscure e corrotte, e ciò avvenne. Melana Chasmata è il secondo capolavoro di Tom Gabriel Warrior nel nuovo millennio, e segue, nella lista di tali titoli degni di tale menzione, il disco di non-longeva reunion a nome Celtic Frost, Monotheist. Il primo dei Triptykon mi era piaciuto, ma, dal canto suo, fu il suo successore a farmi esultare. Nello stesso anno ricevemmo anche At War with Reality, sempre per restare in tema di reunion album: fui ingeneroso con quest’ultimo, ma oggigiorno lo rimetto su di frequente ed è impossibile resistere alla sua pazzesca coppia d’apertura. La tavola era apparecchiata per un decennio da ricordare, o quasi, e il fenomeno durò per un paio d’annetti ancora per poi avviarsi verso un’inevitabile fase calante.
VEKTOR – Terminal Redux (2016)
Il disco per eccellenza del 2016, una grandissima annata che, esattamente come ogni altra annata, incluse le migliori, detiene comunque un suo apice. Questo fu l’apice del 2016, già sufficientemente chiacchierato a causa dei Meshuggah e di quei Metallica che a conti fatti avevano pubblicato un disco logorroico ma zeppo di canzoni che ancora oggi ricordo. Eternamente e ripetutamente leggevo dei Vektor come d’un gruppo che aveva ereditato le ambientazioni, le idee e i titoli ora ai Voivod, ora ai Nocturnus. Per me in altro non consistevano che nella rinascita del techno-thrash, una rarità autentica eretta in mezzo a una colata lavica inarrestabile di gruppi e gruppetti che rifacevano il verso agli anni Ottanta, più volgendo lo sguardo ai S.O.D. che ai tecnicismi e alle raffinatezze di fine decennio. I Vektor erano questo, non m’interessava come suonasse agli orecchi di molti un album che includeva il termine “Outer” nel titolo: e il nuovo era pure meglio, nemmeno di poco.
POWER TRIP – Nightmare Logic (2017)
Sempre in tema di thrash metal e di formazioni giovani, i Power Trip mi diedero una sensazione estremamente positiva: quella d’ascoltare un gruppo thrash metal, negli ormai pieni anni Duemila, che suonasse il suddetto genere musicale senza assomigliare a due temute cose: un surrogato per ragazzetti o un’imitazione spompata di Anthrax e soci con i testi ironici e una spinta caratteriale e attitudinale pari a zero o poco più. I Power Trip erano una autentica legnata, non mi andò particolarmente giù la voce sporca di Riley Gale, già venuto a mancare, ma esaltai ed apprezzai tutto quanto il resto. Leggendaria in quest’album del 2017 la canzone Executioner’s Tax, apice d’un grande album in cui segnalo la copertina a firma di Paolo Girardi. Ma ancora il capolavoro thrash metal dei nostri tempi non era uscito, e ci avrebbero pensato i Grandi Antichi.
VOIVOD – The Wake (2018)
Nell’anno del terzo album consecutivo di livello a firma Alice in Chains, Rainier Fog, da me eletto album dell’anno circa a metà estate, mi toccò cambiare idea di colpo. Target Earth e Post Society un mezzo miracolo, considerata l’eredità ricevuta dal signor Mongrain e il livello altissimo delle nuove composizioni della band canadese. The Wake un miracolo vero e proprio. Canzoni che, se ci ripenso, partono nella mia testa come in una sorta di lettore multimediale, riff dopo riff, fino alla chiusura e con la voglia di procedere con la successiva. In ordine, così come sono. Metto The Wake fra i cinque o sei migliori album dei Voivod, subito dopo o al fianco di titoli ingombranti come Killing Technology, Dimension Hatross, Nothingface, The Outer Limits e direi Phobos, il mio feticcio. The Wake merita di spartire la stessa aria respirata da quella ristretta cerchia di monumentali opere: e abbiamo vissuto la sua uscita giusto un attimo fa.
JUDAS PRIEST – Firepower (2018)
Chiudo con i Judas Priest, perché Firepower fu un qualcosa di capace d’andare oltre ogni parametro di immaginazione, aspettativa e fiducia. Nessuno si aspettava Firepower, e io stesso all’ascolto delle primissime anteprime lo bollai come un trionfo di quel genere di banalità tipiche del gruppo storico che ha scritto un album per accontentare i fan, a pallottole esaurite. Non mi convinceva niente, né la sua produzione pulita ma un po’ priva di carattere, né Halford, e nemmeno tutto quanto il resto. Una canzone minore di Firepower è certamente Flame Thrower: ebbene, io quella canzone la conosco a memoria. Ricordo benissimo il giorno in cui Firepower cessò d’essere un album banale, e nella mia testa divenne un che di pazzesco: non riuscivo più a toglierlo e lo rimetterei oggi stesso, forse lo rimetterò oggi stesso. Per ritrovare altrettanta qualità nei Judas Priest occorre andare a ritroso dritti almeno a Jugulator, ma confrontarlo con esso non sarebbe corretto. Inno all’heavy metal. (Marco Belardi)
condivido con te judas priest e carcass.
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Hey, dove sono i tau cross? Oltre questa domanda del secolo ti dirò che ho le tue stesse identiche sensazioni per tragic idol, che è un disco paraculata quasi da idea platonica di disco paraculata, ma che disco…
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Di tutti questi dischi, personalmente penso che l’unico da tramandare ai posteri sia Belus; un capolavoro senza tempo come un pò tutta la musica del Conte. Chissà che cosa sarebbe stato in grado di fare, se avesse buttato tutte le sue energie nella musica invece che perdersi dietro cazzate inesistenti. The Wake e Firepower sono due ottimi dischi ma non aggiungono una virgola a quanto già fatto in passato. A dimostrazione del mio scarsissimo entusiasmo verso reunion e revival vari ammetto di non aver mai ascoltato una nota di Surgical Steel e di trovare Tragic Idol un inutile esercizio di stile, eseguito da una band che non ha più nulla da dire dal 2005. Quelli dopo poi saranno pure peggio, del resto per me è un mistero l’entusiasmo unanime verso gli ultimi quindici anni di carriera del Paradise Lost. Amen
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Lista molto molto interessante, Belà.
Per il 2011 (mancante) metterei Paragon of dissonance degli Esoteric
Integro con una serie di cose che ancora ascolto molto molto volentieri.
Lunar Aurora – Hoagascht (2012)
Ne Obliviscaris, Portal of I (2012)
Mgla – Exercises in futility (2015)
The Ruins of Beverast – Exuvia (2017)
Forteresse – Thèmes pour la rébellion (2016)
Shape of Despair – Monotony Fields (2015)
Blood Incantation – Hidden History of the Human Race (2019)
Pallbearer – Foundations of burden (2014)
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Meno male che hai ricordato i Power Trip. Quel disco ha la potenzialità per restare come classico del thrash negli anni.
Buona lista, comunque, molto equilibrata
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Sembra la mia storia, la mia parabola, o la mia iperbole.
Vektor visti (gratis) ad un motoraduno in provincia di Bergamo, dove gli presi il vinile e la maglietta.
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Incuriosito dall’idea, ho provato a stilare una mia possibile lista. Di 10 anni di musica metal restano meno di 20 dischi papabili, meno di 10 se conto quelli indelebilmente impressi, e di metallo ne ho ascoltato e apprezzato parecchio. S’è un po’ persa la capacità di scrivere dischi che incidano dall’inizio alla fine, che non durino per forza oltre l’ora. Le canzoni ci sono ancora, solo in ordine sparso, senza la coesione che dava l’album.
Insieme alla riflessione, è partito anche un riascolto, e allora vi consiglio 3 titoli che non saranno forse dischi del decennio, ma che mi sono proprio garbati: Cormorant – Dwellings; Dawnbringer – Into the Lair of the Sun God; Holy Martyr – Darkness Shall Prevail
ps. Terminal Redux, The Wake, Surgical Steel son disconi
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