PARADISE LOST – Tragic Idol (Century Media)
Dire qualcosa di nuovo riguardo ai Paradise Lost è impresa pressoché impossibile poiché il loro percorso musicale li ha portati ad essere trasversali rispetto a diversi generi, tanto che tutti ne hanno già parlato e straparlato, in un senso o nell’altro. Dunque mi limiterò a dire qualcosa di molto personale, come del resto chi legge già si aspetta. Se fossi un lettore (e in effetti lo sono perché consumo voracemente tutto quello che esce dalla penna dei miei esimi colleghi di Metal Skunk) preferirei fare mia, o anche criticare, un’opinione soggettiva piuttosto che leggere la solita lista della spesa. A volte, ma sempre più raramente, nell’altro da noi trovo recensioni così vicine al mio punto di vista da non sentirmi più in dovere di scrivere il pezzo, perché qualcun altro ha già detto fondamentalmente ciò che penso e, per l’appunto, sarebbe questo il caso. Nonostante ciò darò i miei consueti e non richiesti due spiccioli sulla faccenda perché qualcosa mi sento di poterla aggiungere. Comincio col dire che Tragic Idol si posiziona di diritto tra le migliori uscite del 2012, prescindendo dall’ossequio e dalla stima che si deve riconoscere ai Paradise Lost. Un rispetto nonostante i cambi di stile verso l’elettronica e lidi più easy listening, alcune uscite discografiche di conseguenza non sempre emozionanti e nonostante quella che a tutt’oggi potrebbe apparire come una scelta di comodo, ovvero di clonarsi. So già che chi ha ascoltato il nuovo album ha Draconian Times sulla punta della lingua. È così in effetti e su questo non vi è molto da aggiungere. Fare lo stesso disco per tutta la vita quando quel disco suona come Draconian Times (ma anche un po’ Icon) non è una scelta che mi scandalizza più di tanto e sebbene il non fare nulla altro di nuovo, ma il ripetersi allo stesso altissimo livello qualitativo, possa sembrare in apparenza una implicita ammissione di decadenza (non di decadentismo) vorrei solo ricordare che sono pochi i gruppi nella storia dell’HM che abbiano dato l’apporto di innovazione dei PL. Provare a sostenere il contrario sarebbe come voler rimproverare ad Alexandre Fleming di aver scoperto solo la penicillina piuttosto che la panacea a tutti i mali del mondo.
Qualcos’altro di nuovo ancora i Paradise Lost lo fecero pure, a partire da One Second in poi e con risultati più o meno convincenti a seconda del disco e/o del pubblico di riferimento. In quel modo divennero trasversali e da quel momento tutti iniziarono a sentirsi in dovere di parlare dei loro dischi, di quanto fosse azzeccato o inutile il cambiamento, del perché e del percome. Per quanto mi riguarda -e molto più semplicemente- ascoltando quanto Tragic Idol sia ispirato, diretto, piacevole ed enormemente condivisibile (con picchi assoluti come la opener, come Fear Of Impending Hell, In This We Dwell e la title track), preferisco questo netto salto temporale all’indietro -più strettamente heavy metal della prova precedente- perché mi riporta alla mia adolescenza di quattordicenne che si affacciava all’invitante crepaccio del gothic doom. Il 2012 come il 1995 quando i Paradise Lost ti cambiavano la giornata e quelle successive con Draconian Times (Tragic Idol), gli Anathema con The Silent Enigma (Weather Systems) e i My Dying Bride con The Angel and the Dark River (A Map of All Our Failures). Dopo 17 anni (con tutti i se, i ma e i distinguo che vi pare e piace) rivivere le stesse sensazioni non ha prezzo. Quest’anno è veramente la fine del mondo. (Charles)
La penso anche io così, finchè scrivono pezzi così dell’evoluzione ce ne fotte poco. Senza contare che hanno già dato in tal senso, prendendosi pure numerose pernacchie.
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In effetti i Paradise Lost hanno dato il via ad una pratica che ha fatto adepti illustri: il cambiamento inteso nella sua forma più pura, senza costrizioni, timori o condizionamenti di sorta. Finchè la qualità del songwriting rimane a livelli di eccellenza assoluta, qualsiasi cambiamento è, fondamentalmente, accettabile e, praticamente, accettato. Così, giustamente, Anathema, Opeth, My Dying Bride, Amorphis.. gruppi che hanno fatto del cambiamento una loro caratteristica musicale peculiare. C’è chi preferisce le virate verso il prog, chi quelle verso il goth, chi, ancora, quelle verso l’ambient. Personalmente preferisco la buona musica. Quella coinvolgente, emozionante, indimenticabile. In barba a tutte le, tanto amate dai giornalisti, erichette..
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