Gente che ha un machete e non lo usa: SAVAGE OATH – Divine Battle 

Non so se avete presente l’inizio di The Raid 2. No, tranquilli, non voglio recensire un film. Sia mai. Voglio fare un parallelo. Insomma, c’è quel poco raccomandabile di Yayan Ruhian che fa il sicario. Non so se avete presente la faccia che ha. Ci sono tre o quattro scagnozzi che fanno da guardie del corpo al tizio cui deve tirare il collo proprio il nostro sicario indonesiano preferito. Gli scagnozzi sono tutti grossi e armati, ma Yayan Ruhian li fronteggia con un machete nella mano destra E NON LO USA. Li mette fuori gioco tutti e tre o quattro senza armi, con la mano sinistra nuda e coi calci. Li schiaccia come fossero gusci di noccioline. E poi col machete ancora pulito finisce il lavoro, col tizio rimasto senza protezione. Voi a questo punto, se state vedendo la scena, di fronte a siffatta dimostrazione di potenza e superiorità dovreste già essere in piedi sul divano a urlare al soffitto. I vicini magari stanno bussando alla parete e manca poco così che scivoliate, spaccandovi la testa su qualche mobile. Bene. Qualche giorno fa il lettore Ameelus, vero Defender, mi segnala che è arrivata finalmente l’ora fatidica della pubblicazione dell’album d’esordio dei Savage Oath e io ho ancora il fiatone per l’Ep BOMBA dell’anno scorso: due canzoni, due mazzate assurde. Leggo la scaletta dei brani che comporranno l’album. I titoli, in idioma nostro, così, giusto per solennità:

  • Guerriero della notte
  • Le ali della vendetta
  • Sangue per il re
  • Fumo all’alba
  • Follia della mischia
  • Giuramento selvaggio
  • La battaglia divina

Comincio a foderare di gommapiuma gli spigoli di casa, perché ci rimetto una gamba, se non il collo. Anzi, vedo di procurarmi un casco, una corazza da football americano, qualcosa, perché sono sicuro che c’è da farsi male per davvero. Rileggo la lista dei brani. Mancano le due cannonate dell’Ep, Warlock’s Trance e On We March. Ora: avessero preso quelle due cose assurde, pazzesche, e ci avessero messo insieme, con una copertina nuova, sei basi midi da karaoke delle Babymetal, io non mi sarei fatto problemi a spacciarvelo per un capolavoro. Il nuovo Painkiller. Non avrei avuto dubbi a scrivere in un pezzo che “i Savage Oath sono la più grande band NWOTHM”. Ma che dico: heavy metal tutto. Nessuno scrupolo (e forse lo sono, non chiedete a me, non sono obiettivo). Quindi rifletto: se questi non hanno incluso QUEI DUE BRANI nella scaletta del disco d’esordio vuol dire solo che il resto deve essere ancora meglio. Un macello. Un massacro. Un disco di superiorità manifesta. Tipo quando hai un machete e non lo usi. Nella mischia. Allora mi segno la data di uscita sul calendario. Studio le differenze di fuso orario con l’America e mi metto la sveglia per essere sicuro di ascoltarlo al momento esatto dell’uscita. Intanto ascolto la prima anticipazione, Guerriero della notte (Knight of the Night) e confermo tutto. Saldo bene la gommapiuma sui muri e cerco un notaio sulle pagine gialle per fare testamento. Knight of the Night è un massacro. Fa male. Corre a mille con un riff durissimo. C’è Brendan Radigan che fa malissimo. Sul ritornello fomenta e va in cielo di acuto, ma sulla strofa ti prende per il collo e ti trascina nel casino. Incazzato. Pare assatanato, mena e bastona. Il pezzo, insomma, è un macello vero. Stupendo. Sentitelo cento volte di seguito e aumenta il fomento ogni volta. Ogni volta è peggio. Assurdo. Bene, mi dico, Divine Battle è sicuro il disco che farà Giustizia nel mondo e farà dominare il Metallo sui popoli e le Nazioni. A questo punto non vado più a lavoro, non interagisco con nessuno. Mia moglie prima si rivolge ad un dottore, poi ad un avvocato. Io mi preparo in contemplazione all’uscita. A questo punto però è necessario uno spiegone per contestualizzare e per rispondere a qualche vostra legittima domanda. Tipo: ma chi cazzo sono i Savage Oath?

Brendan Radigan convince con le buone un fan a gettarsi nella mischia.

Per i più distratti: come dicevo prima, questo nome è circolato, poco e solo l’anno scorso, de botto, per un demo su Bandcamp. Due canzoni. Quelle che dicevo all’inizio. Il machete, insomma. Per i più pigri: riporto qui quelle informazioni essenziali che avevo già scritto un annetto fa. In sostanza, i Savage Oath sono il side project di gente che la notorietà non l’ha ancora vista manco di striscio. Il microfono, dicevo, è nelle mani di Brandon Radigan, quello pelato e senza baffi. Attivo nel sottobosco e apparso pare come supplente in qualche data dal vivo dei Pagan Altar, si fece notare un paio di anni fa nel secondo album dei Sumerlands, in pratica a loro volta side project di tutti i membri degli Eternal Champion tranne uno o due. Più celebre, si fa per dire, il chitarrista Leeland Campana, che coi Visigoth ha bello che fomentato il nostro inviato oltre cortina, ma che, visto il letargo della band madre fino a poco tempo fa, del tempo a disposizione dovrebbe averlo avuto. Chi sembra sempre indaffarato è Phil Ross, il bassista, dei tre quello ancora più sconosciuto (diciamo magari underground), ma che, dopo essere stato l’ultimo a suonare il basso nei Manilla Road, ora suona in tutti i relativi derivati (Sentry, Ironsword). Non sembrerebbe davvero il caso di definirlo un supergruppo, mi rendo conto. Non fosse che per il risultato. Comunque, i tre hanno portato avanti per cinque anni composizione e registrazione di questo disco qui. Supportati da altri musicisti, non ufficialmente in organico. Traballante il sedile della batteria, anche se il risultato non ne risente per niente. Anzi: mazzate e fantasia. Alcune chitarre sono suonate da un transfugo vero degli Ethernal Champion, tale Carlos Llanas, mentre alcuni cori sono lavoro di Paris Thibault dei Concilium, di cui aspettiamo un esordio in grande dopo un Ep di promettente epic doom, ormai datato (2019). Insomma, gestazione lunga ma, immagino, non proprio quella condizione ideale di una band che ha modo di dedicare soldi, tempo e mente solo al proprio album di esordio. Semmai un lavoro lungo, ma a singhiozzo, per incollare insieme parti ed idee e farle diventare un discorso unico. Cosa che alla fine Divine Battle è, anche se in qualche dettaglio si intuisce che la gestazione non è stata omogenea. Comunque contate che di fatto questa qui è un’autoproduzione, la Postmortem Apocalypse che produce è la minuscola etichetta di Phil Ross, per ora dedita principalmente a ristampe su cassetta di classici metal underground minori.

Nonostante questo, Divine Battle è una grandissima figata, amici miei. Ma proprio grandissima. Un disco, come speravo, che rende giustizia al Metallo nella sua forma migliore. Heavy metal classico, power (americano) ed epico. Senza citazionismi sfacciati, con grande rispetto dei maestri ma una consapevolezza di quello che si sa ottenere che no, non è quella di un side project underground. Innanzi tutto, come avrete intuito dall’inizio del pezzo, la cosa che risalta subito è la FOGA PAZZESCA della prima canzone, un secondo biglietto da visita ancora più cazzuto e superbo del primo (l’Ep dell’anno scorso). Insomma, l’impressione è quella di avere a che fare con gente che ha voglia di fare più e meglio ancora, stavolta, per conto proprio. Così lo senti Radigan che urla e varia su registri che le melodie ariose dei Sumerlands non gli permettevano di conquistare. E tira fuori una cattiveria e una foga assurde. Campana pure, ha voglia di fare di più: più veloce, più violento, più melodico, più tecnico. E occhio, non sto più parlando, ora, solo della prima canzone. La seconda, Le Ali della Vendetta (Wings of Vengeance) è un altro spettacolo, anche se all’inizio non sembra. Meno parossistica, ma tesissima e con melodie ottime e ottime linee vocali. Quel tipo di canzone, l’unico che possa reggere dopo un inizio col botto (che botto). Se ci pensate, tipo Hell Patrol. Riferimento troppo alto? Sì. Forse. Inizia, è vero, con un’intro dolente e malinconica. La cosa un po’ spezza il fiato, poi però lo si recupera in bellezza, anche per un Campana, solista e non, che è una delizia. Sotto senti che pure Ross ci sta parecchio. Un basso teso, galoppante. Io tiro in ballo la buonanima di Jimmy Bain, bassista concreto, incalzante, dinamico. Che pezzo, signori. E la terza, poi. Sangue per il Re (Blood for the King). Se la terza canzone non vi conquista definitivamente vuol dire che siete delle bruttissime persone. Per quanto mi riguarda, una delle canzoni più belle che ascolterò quest’anno. Leggiadra e malinconica. Quella malinconia epica che, in forme diverse, era propria tanto dei Manilla Road che dei Warlord. Sembra una canzone veramente bella. Solo che poi diventa assolutamente, puramente fantastica, dopo il calo, oltre la metà. Quando l’enfasi diventa insostenibile, pure se sostenuta da un blast beat devastante, da chitarre velocissime e cori cinematrografici. Tutti gli strumenti sugli scudi, ma la batteria: che spettacolo, che fantasia rozza. Una batteria selvaggia al servizio di un pezzo che invece è, in forma canzone, la rappresentazione magniloquente di una Civiltà fantastica. Un climax talmente sorprendente che io lo avrei visto quasi meglio a concludere il disco intero.

Insomma, Divine Battle è un disco con cui fare i conti. Ma ricordate quanto vi dicevo: gestazione lunga, registrazioni sparse negli anni, file scambiati e lavorati in casa in tempi diversi (immagino). Un po’ questa cosa si sente nella seconda parte del disco e Follia della Mischia (Madness of the Crowd) quell’impressione un po’ te la dà, a saperlo, a volere cercare minuscoli dettagli. La cosa che speravo era che tutto il disco fosse masterizzato da Dan Swanö, come l’Ep, ma comunque coi suoni siamo lì. Dove si mena, il suono è crudo e selvaggio per davvero. Dove invece si narra, gentilmente, si rimane su una schiettezza rock non plasticosa. Già, comunque, perché la seconda parte del disco è meno un macello rispetto alla prima. Più melodica, più narrativa, incline al lento. Lasciate perdere che a me l’inizio della canzone che dà il nome al gruppo ricorda Michael Jackson, il resto è un gran pezzo metal, ma una quasi-ballata. Mentre l’ultimissima, quella che invece dà il nome al disco, è davvero una ballata, nel senso di epico. Tipo i nomi che sapete benissimo da soli. I ballatoni drammatici, intendo. Con qualcosa di rinascimentale. Di classe, di gran classe. Insomma, anche l’altra anima dei Savage Oath è di classe genuina. E Divine Battle mi dimostra che non sono solo un gruppo di puro massacro e pugna e armature schiacciate sotto i colpi delle mazze. Se ci pensate, un po’ come Raid 2, che ti aspetti sia come Raid, tanto più dopo quell’inizio (vedi sopra), ma che in fondo ha di più. C’è di più anche in Divine Battle, rispetto alle mie aspettative (pure esageratamente alte). Tutto un mondo magnifico, il Mondo che cerchiamo nei dischi di metallo epico. Genere che oggi ha un disco ed una band in più da elencare tra le fila dei suoi paladini difensori. Che disco, signori. Un disco che ti fa innamorare del Metallo, casomai non ne foste già invaghiti. Forse effettivamente del machete non c’era bisogno. (Lorenzo Centini)

P.S.: lo so, non si fa, però il il machete ce l’ho messo lo stesso. Mi sono fatto una playlist che include pure i brani dell’Ep. Ho spostato Blood for the King in chiusura, On We March come seconda a tenere il ritmo di Knight of the Night e Warlock’s Trance quinta, tipo inizio del lato B. Asticella del disco spostata verso il massacro. Lo so, non si fa, chiedo scusa agli autori. Voi però provate e poi venitemi a dire.

7 commenti

  • Ancora non è possibile comprarlo in uno store europeo, uffa.

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  • Standing ovation and thunderous applause of steel!
    lascio qui un’extra chicca: pare che nel booklet del cd ci siano illustrazioni create appositamente dal Signor Deathmaster: ve lo confermerò tra 10 giorni esatti.
    I SWEAR THE OATH!

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  • Disco dell’anno, per ora. Ho contattato il gruppo per il cd visto che da bandcamp i fuori di testa vogliono 28 dollari di spese di spedizione per una copia, e mi hanno detto che in Europa verrà pubblicato da No Remorse. Speriamo non ci mettano un anno, e magari aggiungano anche l’EP

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  • Sto disco è da paura….

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  • Interesse adesso a livelli veramente alti.

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  • Per adesso ho ascoltato solo il primo pezzo, Knight Of The Night, davvero inutile e dozzinale come pochi. M’invoglia poco ad ascoltare il resto. Tutto approssimativo, buttato lì un po’ a caso, ingenuotto. Cantato oltre il limite del ridicolo.

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  • Album magnifico.
    Radigan, che già mi era piaciuto tantissimo con i Sumerlands, strepitoso. Personalità a palate e una voce riconoscibilissima che lo fa emergere dalla miriade di cantanti venuti fuori con l’ondata NWOTHM.
    E poi c’è cuore e passione, si sente benissimo, ben oltre quanto emerso dai vari Visigoth, Gatekeeper, Eternal Champion…
    Lo metto lassù in altissimo insieme ad Electric Elite dei Riot City.

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