DARKTHRONE – It Beckons Us All

Negli ultimi vent’anni i Darkthrone hanno pubblicato quattro bei dischi. Di due di questi sono letteralmente innamorato, e si intitolano The Cult is Alive e Old Star. Gli altri sono F.O.A.D. e The Underground Resistance. Poi ci sono canzoni sparse che sul momento mi hanno fatto scapocciare, ma che, in solitaria, non ho ritenuto sufficienti a farmi ritornare su taluni LP. Il problema è che negli ultimi vent’anni i Darkthrone non hanno pubblicato solo quei quattro, ma un’infinità di dischi. Il metallaro cinquantenne medio è più probabile che debba attendere cinque anni per godere dell’ispirazione necessaria a tirarne fuori uno decente, complici le tournée che tolgono molto spazio fisico e creativo. Saprete che i Darkthrone in quanto tali (leggasi Nocturno Culto al Wacken Open Air, era il 2004) non calcano un palco da moltissimo tempo.

È statisticamente impossibile mantenere la qualità di Old Star se ogni anno hai la pretesa di uscire col disco nuovo, e infatti di Eternal Hails e Astral Fortress si è chiacchierato più che altro per i puntini nel titolo – che ho volutamente omesso – e per le rispettive copertine. Inclusa quella totalmente inverosimile col pattinaggio sul ghiaccio. Sfido chiunque di voi a dirmi che ciclicamente vi riascoltate Astral Fortress, o, andando più a ritroso nel tempo, Arctic Thunder, Circle the Wagons, Dark Thrones and Black Flags.

I Darkthrone hanno un bel problema: sono un gruppo black metal fra i più celebri che la storia ci abbia mai consegnato, e suonano da vent’anni un revival anni Ottanta che ha toccato il crust punk prima e l’heavy metal classico poi, in varie sue sfaccettature. In contemporanea, i ventenni metallari di mezzo mondo portano sul palmo della mano la New Wave of Traditional Heavy Metal, e i dischi che ne scaturiscono sono più interessanti e ispirati di quelli di Fenriz e Nocturno Culto. Non fosse per la vena social del loro batterista e per le copiose gif animate a lui dedicate, credo fermamente che nel 2024 nessuno parlerebbe dei Darkthrone. Perché il loro senso di esistere si è temporaneamente esaurito e così sarà fino a che non rialzeranno la testa per un’altra volta, come avvenuto all’epoca di Old Star.

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Sapete cosa mi piace tuttora nei dischi dei Darkthrone? Arrivi alla metà esatta di una canzone e le pallosissime strofe, e gli inesistenti ritornelli, si interrompono e cedono lo spazio al riffone alla Celtic Frost. C’è in quasi tutte le canzoni ed è quasi sempre bello. Black Dawn Affiliation, primo singolo di It Beckons us All, fa ancora di meglio: riff mid-tempo thrash anni Ottanta, bellissimo, seguito da scopiazzatura di un passaggio di Orion dei Metallica. Poi si torna a triturare le palle con Nocturno Culto che fa delle robe baritonali a caso. L’assolo minimale di The Bird People of Nordland è uno di quei momenti che i Darkthrone recentemente adoperano per ricollegarci al loro glorioso passato: MA FATE DIRETTAMENTE UN DISCO BLACK METAL E NON ROMPETE I COGLIONI.

The Lone Pines of the Lost Planet ha un titolo alla Iron Maiden e un inizio alla Iron Maiden sul quale volevo morire, non aggiungo altro. Fortuna sua, a otto minuti di scorrimento c’è un riff heavy metal che vale il disco e sul medesimo si stagliano le tanto chiacchierate clean vocals con cui i Darkthrone ci avevano incuriositi nei riguardi dell’imminente uscita. Niente male, ma cazzo: otto minuti di robaccia per arrivarci.

Non comprendo l’entusiasmo attuale dei metallari verso i Darkthrone, se esso sia un’onda lunga legata a Old Star o una sorta di Sindrome di Stoccolma per la quale non ce la sentiamo di smentire l’essenza di dischi palesemente noiosi, che ci torturano annata dopo annata, quasi nascondendoci dietro al loro essere integralisti e in un certo senso unici per difenderli e osannarli. La caricatura dei Darkthrone ci ha dimostrato pochi anni orsono che reinserendo il glorioso passato col contagocce, e non confrontandosi penosamente con esso, tutti erano all’improvvisamente contenti se non addirittura a cazzo duro. Astral FortressIt Beckons us All sono nuovamente i Darkthrone che giochicchiano con la storia del metallo al cento per cento, e non mi accontentano neanche un po’.

Mi spiace tanto perché a questo gruppo voglio tanto bene, da Soulside Journey ai classici black metal, passando per un disco “recente” che ho amato alla follia come Plaguewielder. Ma It Beckons Us All è una roba ancor più pallosa di Astral Fortress e allora io vi sfido: fra cinque anni ditemi che lo state ascoltando ancora. (Marco Belardi)

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