Come nasce una copertina. Intervista a PAOLO GIRARDI

Ritorniamo sull”argomento copertine in seguito all’articolo pubblicato a gennaio. Parlo al plurale, avendo, oggi, l’onore di ospitare su Metal Skunk una firma illustre come quella di Paolo Girardi, con cui ho condiviso il piacere di una lunga chiacchierata. Quindici anni di copertine nell’heavy metal e in particolar modo nel metal estremo, uno stile personale e perfettamente riconoscibile che iniziammo a intravedere quasi subito, e che oggi lo ha reso un affermato e autentico creatore di visioni, mondi, meravigliosi dipinti che vorrei poter apprezzare da vicino lungo un’intera parete, piuttosto che compressi sulla minuta copertina di un compact disc. Eppure Paolo, come gli ho accennato telefonicamente, non è semplicemente un pittore, ma il pittore di un qualcosa di ben preciso: le immagini che ci introducono a un album. E non c’è miglior cosa che specializzarsi ed essere associati istantaneamente a un qualcosa, nel mondo concorrenziale e un po’ avaro di specialisti in cui viviamo oggi. Torneremo poi sull’argomento con una rassegna, spalmata su tre decenni, di stili e artisti ai quali mi sento maggiormente affezionato.

Paolo, mi ha sempre incuriosito un aspetto del lavoro di grafici e pittori: in che proporzioni, parlando naturalmente del tuo caso, una copertina nasce da un lavoro già svolto e che qualcuno nota e prenota, o da una precisa richiesta da parte delle band per cui l’artista lavora?

Paolo: I miei lavori nascono soprattutto (al 98%, direi) da una commissione più o meno “imposta” dal committente. Raramente succede che un mio precedente lavoro, magari invenduto, possa poi essere voluto da una band come artwork per un album. Dico questo perché amo più lavorare sotto commissione, in quanto credo che la differenza tra richieste faccia bene alla mia apertura mentale e alla mia capacità di adattamento. Poi è chiaro che le sinergie tra cliente e pittore varieranno a seconda di ciò che la band specifica ha in mente, di quanto si fidano di me e vogliono “abbandonarsi” alla mia fantasia/empatia. Alcune band vogliono il totale controllo della copertina, altre mi danno un concept e una composizione da sviluppare in seguito, altre ancora mi lasciano abbastanza libero di interpretare la loro musica rendendola immagine. Tutto varia a seconda del carattere del cliente, del livello di cultura visiva che ha e del grado di ammirazione che nutre per me, dall’apertura mentale, dal grado di fiducia, dal grado di controllo che la loro razionalità vuole avere nei miei confronti . Io ovviamente preferisco sempre essere lasciato il più libero possibile, magari con un certo livello di rispetto/ammirazione da parte del committente verso le mie capacità, seppur interpretando dei testi e/o un concept per poi decollare verso nuove inesplorate visioni…

LYCUS TEMPEST

LycusTempest (2013) – Paolo Girardi

Da appassionato di fotografia mi ha sempre attratto la regola di inserire pochi elementi in un’immagine, in modo da farli risaltare meglio agli occhi di chi osserva. Guardando molte opere in ambito death metal, o guardando quel che faceva Dave Patchett con i Cathedral negli anni Novanta, la regola sembra il contrario, eppure il risultato può essere magnifico. Come nasce la gestione di scenari così complessi nella tua testa? 

Paolo: Secondo me la riuscita di una copertina, o di un’immagine in generale, deriva dalla naturalità che emana, e questo vale soprattutto per i dipinti. Quando il pittore ha un rapporto felice e appunto naturale col committente e la commissione, spera, sogna, decolla, lavora, “vomita”, vola senza neanche accorgersene. Poi se gli elementi sono pochi o tanti è qualcosa di secondario. Molti artisti sono più scarni, “poveri”, essenziali, minimali nelle loro visioni. Altri vivono dentro di se’ in un vero e proprio mondo parallelo e lo comunicano al fruitore tramite complesse, meticolose immagini in cui tuffarsi, immergersi. Dipende dalla personalità, dal periodo, dalle impressioni o esigenze del momento. Spesso ho un’idea di base (o mi viene imposta) a cui aggiungo più o meno particolari e dettagli. Diciamo che un progetto scarno ce l’ho già in testa. Poi da quello può partire un viaggio fatto di tante vite, colori, sfaccettature e personaggi, e quindi, di riflesso, l’immagine può essere sviluppata venendo fuori più dettagliata e complessa. E comunque io credo nell’improvvisazione, da buon italiano. Credo nel volo, nella libertà di scelta, negli spazi mentali. Tutto ciò mi fa felice, entusiasta.

DIOCLETIAN GESUNDRIAN

DiocletianGesundrian (2014) – Paolo Girardi

Se non sbaglio sei un grande appassionato di metal tradizionale e in particolar modo epic metal. Ci sono album, disegnatori storici e copertine storiche che ti hanno portato a fare quello che fai, o la tua crescita è in un certo senso indipendente dalla passione per l’heavy metal?

Paolo: Sí, amo il metal, con cui sono cresciuto e che mi fece sognare da adolescente. La mia capacità emotiva di comprendere un nuovo album si fermò nel 1992/94 e la mia capacità razionale nel 1998. Poi diciamo che mi sono fermato, non ho più partecipato in maniera accorata alle nuove uscite. Certamente ci sono album postumi da me considerati senza tempo, più o meno validi, che ho amato e che tutt’ora amo. Detto ciò puoi immaginare quanto le copertine degli anni ’80 e primi ’90 possano aver segnato la mia mente. Frazetta, Whelan, Kelly e Boris Vallejo sono i primi. Inevitabile citare le copertine dei Maiden anche se Derek Riggs, col senno di poi, lo prendo un po’ “con le pinze”. Grazie a loro, unitamente alla pittura europea dal 1400 a fine 1800, sono nato io, evolvendomi poi come persona indipendente nonostante un legame con queste influenze ci sarà sempre. La base non muore mai. È sempre lì a farti sognare come quando eri adolescente o bambino. Hanno avuto impatto su di me molte copertine degli Uriah Heep, Molly Hatchet, Kiss, Motörhead, Iron Maiden, Judas Priest, Manowar, Virgin Steele, Saxon, Cirith Ungol, Manilla Road, eccetera. Poi, negli anni ’90 anche quelle di Seagrave mi fecero riflettere molto sui confini tra illustrazione e “arte”. Un posto nel mio cuore ce l’hanno moltissime copertine “dipinte male” o malissimo. Esempio: i primi due dei Virgin Steele. Sono copertine tecnicamente povere ma che simboleggiano i tempi, quel sentire, quelle visioni, quelle speranze, quei colori legati alla nuova romanticissima concezione dell’epoca. Questo è un discorso comune per molti appassionati che amano “copertine culto” indipendentemente dalla tecnica e dalla resa. I sentimenti guidano ed infiammano il nostro cuore.

LION DAUGHTER

The Lion’s DaughterExistence is Horror (2016) – Paolo Girardi

Lascio a te un aneddoto a piacimento, sul lavoro che hai svolto per una band, su un preciso dipinto o una situazione particolare in cui ti sei ritrovato per lavorare. Qualsiasi cosa di cui tu voglia parlare è la benvenuta, e ti ringrazio. Complimenti ancora.

Paolo: Gli aneddoti base potrebbero essere due. Uno è più il ricordo di anni a cui sono affezionato, e mi lega alle copertine dei Blasphemophagher; quelli sono stati i pazzoidi tempi nonché gli “ufficiali” inizi di questo viaggio, che poi, attraverso Yosuke della Nuclear War Now, Patrick della Iron Bonehead, Brendan dei Diocletian, mi hanno portato lontano. Basilarmente grazie all’amicizia VERA di Rinaldo, cantante/bassista dei Blasphemophagher. Un’amicizia che non è mai finita, neanche dopo molti anni. Ma l’aneddoto vero e proprio è la totale adorazione che nutro per i Manilla Road da fine anni ’80/primi ’90, quando erano del tutto sconosciuti ai più. Grazie al mio compagno di classe ed amico Matteo Isopi e “supervisionati” da Vincenzo Botticelli (R.I.P.). Quella passione adolescenziale fatta di soli sogni: pochissimi album registrati malissimo su cassetta, qualche raro mini ritaglio di giornale (foto e recensioni), leggende (si dice che, una volta ho letto che…) e tanta, tanta fantasia. Quella passione per Mark Shelton direi mitica/mitologica, poi rafforzata in maniera esponenziale da qualche altro album ristampato negli anni ’90, verso la fine di quel decennio. Poi di botto: anno 2000, la prima volta dei Manilla Road in Europa, in Germania al Bang Your Head. Facendola breve, andammo e su a Balingen nacque un’ amicizia profonda con loro, amicizia che li portò a venire a trovarci e suonare ad Ascoli Piceno nel 2002 (seconda volta in Europa, per loro) e 2004. Prima della data del 2002, Mark mi regalò i primi 5 dollari che aveva guadagnato con la musica negli anni ’70. Fu inaspettato ed incredibile. Nel 2014 Mark Shelton mi scrisse: “Paolo, abbiamo avuto problemi col nostro copertinista… vuoi diventare il nostro unico pittore fino alla mia morte?” – Così mi disse – Non ci credevo, ebbi un forte ed emotivo attacco di diarrea per la notizia, e andai subito al bagno per liberarmi senza rispondergli al computer. Tornai dal bagno qualche minuto dopo e capii che mentre stavo al bagno lui aveva interpretato la mia assenza/silenzio come un dubbio o come un no. Aveva scritto cose tipo “se non vuoi non fa nulla” o “scusami, non volevo metterti in difficoltà”. Ma io ero stato al cesso perché ero troppo felice della notizia! Ero sospeso tra realtà e sogno perché era la cosa più bella, onorevole che avrei potuto udire. Da lì gli feci due album dei Manilla e uno degli Hellwell, il suo progetto personale. Poi la sua improvvisa e prematura morte nel 2018, che personalmente mi ha segnato, profondamente e per sempre. Ecco, questo è un aneddoto lungo come metà vita, e che voglio ricordare qui. Mi ha insegnato che i sogni più puri esistono solo per essere inseguiti e realizzati ad ogni costo. Grazie a voi! Ciao!

shelton

MR

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