Nel ridere di loghi incomprensibili, le copertine erano finite in caciara
Ho scherzato a lungo sui loghi fatti coi legnetti, raccolti nel bosco dietro casa e poi gettati per terra col fine unico di ottenere un’immagine che avrebbe rappresentato La Band sulle copertine. Passa il tempo, passano i meme e tutte le stronzate del caso, e si arriva alla mia recensione del nuovo Blood Incantation. La questione fatta di corteccia e incomprensibili ramificazioni è già preistoria, non mi fa più effetto neanche se me la ritrovo spiattellata in faccia sul mio album preferito del 2019, e neppure se i flyer di un qualunque festival brutal death presentano molti più sottotitoli di una puntata di Gomorra. Qualcos’altro mi molesta.
A codesti gruppi perdonerei ogni trabocchetto da esame oculistico per la patente di guida, e con tutta probabilità lo farei perché in ambito death metal, o più generalmente estremo, la qualità delle copertine si è mediamente fatta altissima. Oggi nascono, si formano ed esplodono autori grafici le cui creazioni sono poi richieste dalle band d’ogni angolo del globo, affinché una firma riconoscibile sia accostata alle luciferine composizioni di cui i committenti si faranno vanto. Negli anni Novanta rimasi ammaliato dalle notevoli opere di Dave Patchett sugli artwork dei Cathedral, mentre una parte di me s’obbligava a sopportare le complicanze che la computer grafica, adoperata alla cazzo di cane, avrebbe portato alla luce senza covare alcun rimorso. Millennium dei Monstrosity, per capirci.
Alla contrapposizione di cotanta magnificenza e diseducazione artistica, il metal contemporaneo ha dato risposta attraverso una magistrale selezione di coloro che avrebbero potuto elevare, ad Arte, una delle mansioni che mai i suoi fruitori riconobbero come tale: quella del grafico. La quale si diramava in mille tipologie un po’ come inspiegabilmente accadde al black metal di fine secolo. Da sempre remunerato con il consueto cinquantino a nero, o nel peggiore dei casi con un paio di magliette ufficiali o ufficiose (Fruit of the Loom, vestibilità media), il grafico ha per anni osservato le band nel perfido atto di creare il proprio logo lanciando sottile legname sul pavimento, di risparmiare, o magari di chieder consiglio di sotterfugio per poi fuggire rapidamente nella bruma. Ma i tempi sono ora maturi per la sua rivincita! E non occorre andare a razzolare nella storia per riabbracciare chi potè permettersi H.R. Giger, o chi cacciò fuori uno dei disegni più inquietanti che io abbia mai osservato, e lo piazzò in fronte a Release From Agony. Oggi accade con sorprendente regolarità, poiché computer grafica – Netflix escluso – e disegno sono finalmente un qualcosa in cui è riposta la meritata importanza. E questo ha a che fare con la musica che amiamo. E quel qualcosa deve probabilmente trovarsi alla portata di molte tasche: sancendo, di fatto, il mancato tramonto dei famelici cinquantini a nero.
Come in quasi ogni articolo di cui mi occupo, arriverò dunque al fattaccio. Le band hanno instaurato un’estrema confidenza coi mastri della tavoletta, e i grafici, una volta conosciuti i propri polli a sufficienza per capire cosa dovessero iniziare a disegnare in sequenza, si sono messi all’opera come macchinari in inesauribile movimento nelle medesime viscere incendiate che plasmarono gli inarrestabili Uruk-hai. Il problema delle copertine death metal degli anni recenti non è che facciano schifo, è che sono tutte uguali. Inoltre cozzano con quella regola generale della fotografia che si traduce in less = more, disturbando i pilastri della composizione mediante il riempimento di ogni millimetro della paginata per mezzo di ottocentomila dettagli o personaggi. Tradotto: generalmente non si capisce una sega di quello che osserviamo. Immagino imbarazzanti dialoghi tra il grafico, che sull’hard disk di casa custodisce gelosamente una cinquantina di disegni stereotipati e già pronti per i suoi compratori, e il tizio inviato dalla band per stabilire le coordinate di una prima bozza. Dalla quale partire, definitivamente, verso un disegno di sicuro successo. Su che stile ci buttiamo?
Innanzitutto benvenuto nel mio Atelier. Per il vostro lavoro ho immaginato uno stile marinaro, niente di particolarmente Mastodon ma piuttosto una concezione prettamente lovecraftiana. Un Rimini Rimini all’Inferno, se mi concedete.
Ma è magnifico! Un delizioso contrastare di toni freddi e caldi, figure divine e polpi, e onde gigantesche che sovrastano il cielo. Sfortunatamente il nostro bassista ha vomitato anche l’anima all’ultimo Megacruise. Avresti qualcos’altro da mostrarci?
Il grafico reprime una bestemmia e cambia cartella, sì, adesso è davvero quella giusta. E prosegue: Non chiedetemi perché, ma è piuttosto di moda raffigurare qualcosa che trasporta qualcosa. Ritengo che possiate farne tesoro, ammirate e meravigliatevi! I Cattle Decapitation hanno fatto grossi passi in avanti da quella volta che scelsero una mucca che cacava parti umane: ora è il vostro turno, l’ora di avanzare.
Neanche stavolta sembra andar bene. Come nella scelta di un abito da sposa, ma senza facinorose damigelle che ne disturbino il risultato finale, grafico e chitarrista ritmico insistono nell’individuare un compromesso che pare assai distante. Tuttavia il professionista non è più il ragazzetto avido di cinquantini a nero di dieci anni fa – adesso prende settanta – e, frutto di una preparazione radicata nell’ingegno e nella creatività proprie, mostra lui il repertorio cartella dopo cartella, bozza dopo bozza, disegno dopo disegno. Niente, tuttavia, è stato creato appositamente per la sua band, ma ciò non ha alcuna importanza: il chitarrista ritmico attende le idee dell’altro come in una logorante partita a scacchi, o magari, si sente sotto esame come se in testa non ne avesse una mezza da suggerire. E il grafico gli dice: Molti anni orsono i Fleshcrawl mi diedero idea di quest’immagine contenente un buco che inghiotte tutto quanto, esprimendo con ciò il concetto di vuoto inteso come inevitabilità, o fine delle cose senza alcun seguito, e non come conservazione degli alimenti. Oggi esce un sacco di roba su questo filone, guardi un po’.
Il cliente non sa assolutamente come reagire a un qualcosa che, ai suoi occhi, non rappresenterà, nelle immagini e nemmeno nei concetti, le volontà espressive del suo gruppo su quel determinato disco. Il silenzio è tutt’altro che assenso, ma è anche sfida. Il grafico a quel punto decide di giocarsi le carte migliori, che poi sono anche le più inflazionate fra tutte. Prende per la gola il chitarrista ritmico, lo tenta. Utilizziamo molto spesso un palazzo gigantesco che rappresenta la discesa agli inferi o qualcosa del genere. Immagini una facciata raffigurante un’entità potente e oscura, un ingresso da cui non si uscirà mai più, e dinanzi, questo scenario di assoluta desolazione. Si perde a vista d’occhio, ma niente sgrandangolata altrimenti ci metto troppo con i dettagli piccoli. Spopolerete su Bandcamp, questo è poco ma sicuro.
Le immagini sono molto belle, e in particolar modo lo è quella di destra, incomprensibile già a dieci centimetri di distanza ma ben curata nei dettagli. C’è un attimo d’indecisione e imbarazzo, e le paffute guance del ritmico sembrano colorarsi di un improvviso rossore. Sta per scoccare il momento del magico sì, “è quello giusto”, suppone il grafico.
MA NOI SUONIAMO DEATH METAL TECNICO.
Viene proposta un’alternativa che dovrebbe accontentare un po’ tutti. Quella a tema cosmico. Che poi incarna elementi vicini al marinaro e a quello dei buchi neri, ma, a rigor di logica, è per certi versi (meno acqua, più cielo) inedito. Chi come lui ha ascoltato i Nocturnus o gli Atheist di Unquestionable Presence non avrà dubbi, opterà per il tema cosmico. Lo farà e basta. Generalmente si tratta del tema più debole di tutti gli altri: un crocevia di piramidi, dritte oppure ribaltate alla cazzo di cane, di stelline come ne vedreste sulla peggior carta da parati con cui avete occultato della muffa in una camera da letto degli anni Settanta, e pianeti obbligatoriamente muniti di minimo cinque o sei satelliti. Le leggi dell’astronomia ficcate tutte dentro a un culo, ma anche la minima spesa per una massima resa. Come dire di no a una simile robaccia?
È CHE IL DISCO SI INTITOLA WORLDWIDE EXTERMINATION.
Bene, pensa il grafico. Questo stronzo specialista dei coni sfondati mi ha appena servito l’assist degli assist. Worldwide Extermination. Okay, hai vinto tu, e cioè ho vinto io. Perfetto caro, posso darti del tu? Ti mostro adesso lo stile apocalittico, e cioè, la raffigurazione di uno scenario desolato nel quale l’umanità o è scomparsa, o è del tutto resa schiava dal cazzo che vi è parso a voi artisti. Un po’ più complesso rispetto al precedente, richiederà alcune lavorazioni aggiuntive ma niente che non si possa fare. Che mi dici, ci siamo? O ci siamo quasi?
Finalmente un barlume di speranza: Mi garba la prima, ma mettici il mostrone. Se ci metti il mostrone abbiamo scelto. Lo voglio più definito e imponente che nell’immagine a sinistra, e lo voglio boombastico come nel primo testo di Plaguewielder. Il grafico a quel punto riesce a mantenere una freddezza non umana, non di questo pianeta: si capisce perché disegni quella robaccia anziché guardare la Serie A presentata da Diletta Leotta. Per il suo cliente ha in serbo qualsiasi cosa, forse per il timore di riguadagnare, un giorno, la reputazione da fake artist che liquiderai con tre banconote da venti domandandone indietro dieci di resto. Nell’abbondanza dei cliché delle copertine death metal contemporanee, al grafico non manca di certo il mostrone. Egli ha tutto per le sue esigenze, e tira fuori il mostrone. Al costo di fargli vedere quello che avrebbero scelto i Morbid Angel.
La comparsa del mostrone rischia di mettere a repentaglio la diplomazia che aveva perservato l’incontro di lavoro, appesa ad un filo sin da principio. Concettualmente ispirato allo storico The Ten Commandments dei Malevolent Creation, qualunque mostrone del Duemila sposta l’abissale ascesa dalle scopiazzature di Cthulhu a una location terrena, pianeggiante o collinare che essa sia, e che tuttavia non coinciderà con le vicissitudini narrate in Tremors. Piace, viene utilizzato con frequenza e i Morbid Angel ne hanno fatto un vero e proprio manifesto sulla copertina più sbagliata di tutto l’ultimo decennio. Il mostrone, naturalmente, non convince del tutto il compositore di Worldwide Extermination, che non sarà mai World Downfall, ma lui pare tenerci un botto lo stesso e pretende che le cose siano fatte perbene. Altrimenti dovrà pagare tutto lui, oppure, sostituire il terzo batterista di fila per rissa furibonda. Il grafico lo ha ben capito, e senza dargli mezza chance d’aprir bocca gioca d’anticipo: Senti, ora finisco con te e porto la tu’mamma a sverminare dal veterinario. Io non sono Travis Smith, e te non sei gli abituali clienti di Travis Smith; e Travis Smith sarà anche parecchio bravo, ma è vent’anni che usa i soliti effetti spugna e clone per fare quelle cazzo di dissolvenze e poi se ne esce con le stesse minchiate che ti ho fatto vedere finora. Deciditi.

Travis Smith: stile cosmico, buco nero e apocalittico in un tutt’uno per la collezione autunno/inverno 2020
Io farei una via di mezzo fra il mostrone e l’apocalittico.

Worldwide Extermination dei Cryogenic Defilement: l’attuale batterista si fa chiamare Mou Anal
C’è pure chi ha una copertina di Giger ma non ha mai scucito una lira per averla (Danzig III How the gods kill)… anche meglio?
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