Il pollice verde dei MALEVOLENT CREATION: The 13th Beast

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“Come te la faccio?” – “Voglio una via di mezzo fra Predator, 30 giorni di buio e gli alieni de La guerra dei Mondi, e poi mettimici tubature alla H.R. Giger e un teschio sulla spalla. Pronto? PRONTO, MI SENTI?” 

I Malevolent Creation sono come le piante che hai sul terrazzo. Quando parti per le vacanze, pensi a tutti gli accorgimenti possibili per far sopravvivere la thyrsiflora variegata che possiedi da cinque o sei anni, e che siccome è cresciuta così tanto, ha già affrontato con successo almeno un paio di rinvasi e non ha quindi senso suicidarla in quel modo. Quest’estate però è una merda, il sole picchia oltre le diciannove ed è così che finirai in uno di quei giganteschi vivai, dove il personale specializzato ti venderà una specie di fialetta. In ciascun vaso, questa sorta di oggetto salvavita dovrebbe effettuare un lento rilascio di acqua, sufficiente a garantire al terriccio la giusta umidità nei successivi sette o otto giorni. Avevi tolto ogni sottovaso perché il ristagno fa malissimo perfino alle grasse, mentre le piante a bulbo preferiscono bere proprio da lì, dopodiché è nocivo pure per esse. Li rimetti tutti quanti, anneghi l’annegabile, dopodiché parti col pensiero costante che quelle goccioline in stile flebo saranno insufficienti, e che la riserva sottostante finirà per evaporare il giorno stesso. Al rientro le troverai tutte quante morte tranne quei cactus ereditati nel 1995 da qualche parente, il cui gatto andava a stuzzicarli con le zampate, ferendosi quasi a morte e finendo dal veterinario con cadenza mensile. Se un’estate torrida è stata abbastanza letale per il tuo comparto botanico, marijuana in busta esclusa, in casa Malevolent Creation la disidratazione del fogliame è un problema molto più ricorrente; e questo il bonario Phil Fasciana lo sa perfettamente. Lui è il tizio che vi ha venduto le fialette, e ha tagliato più rami secchi dell’addetto comunale che fa chiasso col tosaerba nei giardini condominiali, quindi è doveroso scriverne qualche riga.

The 13th Beast è l’ennesimo album metal intitolato così per ribadire quanti cazzo ne siano stati registrati. E’ una cosa che non sopporto, e che spesso accompagna uscite discografiche per giunta agghiaccianti. Stavolta le cose vanno molto meglio, anzi mi viene quasi da dire che sia la loro produzione più interessante da Doomsday X in poi, ovvero quello del secondo rientro di Brett Hoffmann, ed in cui Phil Fasciana aveva cominciato a tenere la conta facendo rimpiangere l’ordine alfabetico di certi Morbid Angel. Non che i Malevolent Creation siano diventati a tutti gli effetti un’altra cosa, in certi termini sappiamo di parlare di un avvenimento pressoché impossibile, e che solo ai tempi di EternalIn Cold Blood fu possibile ammirarne un qualche cenno evolutivo consistente.

Il nuovo album di Phil Fasciana suona meglio dei precedenti solamente perché questi ultimi erano troppo fiacchi per essere veri: vero che c’erano Brett Hoffmann e il bassista storico, ma è altrettanto vero che il primo dei due combatteva a fatica un tumore – il quale si sarebbe rivelato fatale – oltre al fatto che a Fasciana serviva a tutti i costi uno come Lee Wollenschlaeger, una spalla. Ho appena fatto casino col titolo del nuovo album dei Soilwork, quindi non meravigliatevi nel trovare una dozzina di lettere invertite all’interno del suo cognome. Lee non è una cima assoluta come cantante, si rifà in parte all’arcinoto George Fisher dei Cannibal Corpse e già per questo parte penalizzato in termini di personalità. D’altro canto sa scrivere i pezzi ed ha notevolmente aiutato Phil Fasciana nel farlo; è questa la sostanziale differenza fra l’attualità ed i dischi precedenti, quelli che poco fa ho chiamato fiacchi. Poi ci sono gli accenti, i piccoli dettagli, e fa piacere associare Born Of Pain e soprattutto la bellissima Mandatory Butchery a pattern slayerani della prim’ora, e con ciò intendo Show No Mercy ed Hell Awaits piuttosto che i tre colossi usciti in seguito.

Il resto è la solita cannonata di blast-beat e sporadici rallentamenti a cui ci siamo abituati dai tempi di Envenomed, su cui vi evito la profonda disquisizione relativa al fatto che, se i blast-beat stessi venissero utilizzati in maniera dosata e intelligente, e non ricoprissero il 75% della durata di un album di death metal classico, il genere intero ne potrebbe probabilmente giovare. L’hanno capito i Monstrosity, rendendo appetibile un disco altrimenti un po’ banalotto come il loro ultimo: ora vediamo se al quattordicesimo o quindicesimo capitolo lo capirà pure Phil.

A proposito di Envenomed, il nuovo The 13th Beast – grazie alla sua rinnovata line-up, che ha apportato questa sensazione di relativa freschezza compositiva – mi ha dato più la sensazione di essere un suo successore o magari quello di The Will To Kill, piuttosto che di un più attuale Dead Man’s Path. Ma è sicuramente inferiore ad entrambi, assestandosi sul livello di Warkult e simili. E soprattutto, il potatore Phil Fasciana avrebbe potuto eliminare quei due o tre filler che lo avrebbero riportato ad un minutaggio più consono ai propri punti di riferimento, nonchè ad una migliore fruibilità. Belle pure Bleed Us FreeKnife At Hand poste quasi in chiusura, ma The 13th Beast supera giusto la sufficienza, senza però riuscire a stupire. A patto che ad un gruppo così radicalmente stravolto negli anni, e che ha già sfornato circa cinque lavori di alto spessore oltre ad un certo The Ten Commandments, sia lecito chiedere di stupire ancora. (Marco Belardi)

 

 

Un commento

  • non sono del tutto d’accordo… la band ha avuto una ventata di freschezza inaspettata, tutte le canzoni secondo me sono degne di nota e francamente non ci trovo tutti questi filler. Lee Wollenvattelapesca si rivela un ottimo cantante e compositore, con un growl potente ma intellegibile… se da un lato mi sarebbe piaciuto sentire questi brani con la voce di Hoffman, dall’altro mi rendo conto che sono al 100% figli di questa formazione. Per me album più che positivo, siamo solo a gennaio ma spero di portarmelo in top ten fino a dicembre.

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