Venerando te Kevin Heybourne: ANGEL WITCH – Angel Of Light

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Non smetterò mai di ringraziare Kevin Heybourne, dato che, ben sette anni fa, fu proprio lui a rimettermi addosso la curiosità di ascoltare musica inedita. Avevo lasciato ogni cosa in pausa per motivi che in redazione tutti ricollegano alla fica, al malvestire e ai peggiori gruppi britannici da pub artigianale, ma nel 2012 misi fine a questa sorta di vuoto temporale dentro al quale doveva trovarsi un sacco di roba buona da recuperare. La colpa, o meglio il merito di una significativa parte di tutto questo, l’avrei poi attribuita a Kevin Heybourne.

A scuotermi da questa sorta di torpore ci pensarono le voci circa la collaborazione degli Angel Witch con Bill Steer: mi bastò guardare su internet questi spezzoni di registrazioni live assieme al chitarrista dei Carcass e l’inevitabile e insospettabile hype per l’album iniziò a salire. As Above, So Below non fu un disco qualunque, ma il premio per tanta pazienza, frustrazione e batoste patite dal leader degli Angel Witch lungo il corso dei decenni. Quello che è accaduto a una delle migliori band inglesi, in concomitanza con l’uscita del suo rinomato capolavoro del 1980, è un qualcosa che mai saprò spiegarmi. M’immagino i singoli componenti di una band attaccati al successo che ne deriva, al costo di sopportare figure che convivono a fatica, semplicemente perché ogni pedina si trova nel posto giusto. Magari meditano di darsela a gambe più avanti, ma non di certo adesso che si è debuttato col botto. La scissione in direzione dei Tytan fu istantanea, avvenne nel momento migliore. E con essa Kevin Heybourne si ritrovò solo.

Ciò che ha impedito al leader di tutte le epoche e reincarnazioni seguenti degli Angel Witch di affermarsi ancora, furono con certezza quei cinque anni trascorsi fra un titolo e l’altro. Pensate a cosa è accaduto all’heavy metal, non più NWOBHM, dico heavy metal, tra il 1980 e il 1985. Si passò dai Samson con Bruce Dickinson, e dai debutti di Raven ed Holocaust, i quali seguirono a ruota l’enorme disco di debutto degli Angel Witch, ad una scena mutata in tutto e per tutto. Nella quale potevamo già trovare Morbid Tales e To Mega Therion sugli scaffali di un negozio, ed anche Seven Churches, oppure, volendo restare in tema classico, Ozzy Osbourne che rimediava a fatica una Shot in the Dark da un album controverso come The Ultimate Sin. I grandi erano tutti quanti in lotta tra di loro per restare aggrappati ad MTV, chi per mezzo dei synth, chi con capigliature estreme su cui si è sempre riflettuto troppo poco. Siamo sicuri che i big dell’heavy metal si siano sputtanati negli anni Novanta? La tendenza all’autolinciaggio in realtà era già perfettamente in voga attraverso la “generazione” che, di pochi anni, precedette il non-più-speed o thrash metal di Megadeth e Anthrax, e uno come Kevin Heybourne, quasi dimenticato dal resto del mondo nei tempi perduti a cazzeggiare con i Deep Machine, si ritrovò scaraventato in studio, e poi sul palco, spinto contro presupposti del genere. Snaturò gli Angel Witch quel poco che bastava per ucciderli.

 

Il resto è storia sepolta da dita e dita di polvere. Screamin’n’Bleedin’ un album assolutamente discreto ma con più apostrofi che pezzi forti, il successivo Frontal Assault sotto la media da metter paura. Gli Angel Witch che si trasferiscono negli States, diventando una sorta di big band con dentro gente come Tom Hunting degli Exodus. I casini legali, il destino che dice ancora una volta di no a Kevin Heybourne. Te ne torni in Inghilterra, dove ti conosceranno eternamente grazie a un solo ed unico album. A quel punto nessuna ruota si è messa a girare dalla parte della fortuna, ma semplicemente per Heybourne è arrivato quel briciolo di normalità che gli potesse garantire tempi dilatati, e la conseguente calma per lavorare tra la pubblicazione del materiale risalente agli anni Novanta, un live, e la copertina di un EP dai sospettosi colori arancio e nero. Il primo disco degli Angel Witch dopo una vita, As Above, So Below, è stato un’autentica botta di adrenalina: suonava live come se mi trovassi accanto a un palco fumoso, e grasso come se il riferimento anglosassone fossero più i Black Sabbath, oppure i Witchfinder General, piuttosto che la patinata robetta di metà Ottanta con cui si crogiolava Screamin’n’Bleedin’. As Above, So Below, con le sue già classiche Dead Sea Scrolls e Into the Dark, mi rimise addosso una voglia matta di sentire quel che stava uscendo in quel periodo. E così, per mezzo di un gruppo nato a fine Settanta, mi sarei ritrovato di lì a poco a riscoprire un mondo che avevo dato per scontato non valesse più la pena seguire.

Il disco con cui mi confronto oggi è un po’ più complicato da leggere, rispetto a As Above, So Below. Innanzitutto non ne gradisco la resa ovattata, anche se, pure stavolta, Kevin Heybourne si è ben guardato dall’affiliarsi alla plastica come è assodata consuetudine da parte del lato più disonorevole e progressista, o se preferite mentecatto, dell’intera comunità. Ricorderete poi che una parte dei brani del precedente lavoro degli Angel Witch in altro non consisteva che in un recupero e riadattamento di vecchie composizioni. La cosa mantiene una certa continuità anche qui, riguardando giusto un paio di episodi fra cui The Night Is Calling. È analizzandone la qualità che si finisce a contatto con l’elemento più rassomigliante al recente passato, poiché, anche in questo caso, abbiamo canzoni di un buon livello fatta eccezione giusto per un paio di cali di tono, registrabili nella seconda metà della scaletta esattamente come accadeva su As Above, So Below. Roba tutto sommato nella norma, poiché affermare che Window of Despair o I am Infamy siano brutte, sarebbe una autentica eresia. Angel of Light si presenta come un disco di otto tracce, il che dovrebbe esser legge da almeno quindici anni viste le problematiche insorte nel corso dei Novanta, ma soltanto oggi, con Spotify in combo col vinile, la gente sta arrivando a capirlo.

Ritornando in studio nel 2012 gli Angel Witch mi diedero la sensazione di giocare col come fossero arrivati a plasmare la band nel periodo antecedente l’esordio (il proto-heavy metal degli anni Settanta, le sonorità tramandate dai Black Sabbath e tutto quanto il contorno), mentre oggi affrontano con fierezza il lato più roccioso della NWOBHM, e in contemporanea quello legato alle melodie dei ritornelli. Dunque ancora un pizzico di omaggio ad Angel Witch del 1980, mescolato a una rivisitazione non subdola o radio friendly di tutto quello che, nell’heavy metal degli anni Ottanta di mezzo, funzionò meno dei classici usciti in precedenza. Riferimenti che qui fanno perno su un’epicità rinnovata, dilagante. È qui che casca l’asino. I ritornelli di Angel of Light, nonostante guadagnino una particolare forza in Don’t Turn Your Back e We are Damned, non saranno mai quelli di Angel Witch del 1980. Motivo per il quale Kevin Heybourne ha probabilmente scelto di lavorare su una strada più rischiosa rispetto a quanto avvenne sette anni fa, generando comunque l’album – dignitoso e tutt’altro che fondamentale – che ideologicamente avremmo potuto collocare nel 1982 o 1983. Ovvero, in quel vuoto del cazzo che annientò gli Angel Witch. Li preferisco con i suoni grassi e le atmosfere vagamente esoteriche del predecessore, ma gli Angel Witch di questo decennio, poco prolifici e condensati in sole due uscite arricchite da materiale antico, sono comunque una pacchia totale. Ottimo ritorno in formazione con i Diamond Head di The Coffin Train – veramente valido, da recuperare – con gli evoluti Tygers Of Pan Tang che da una vita non hanno più alcunché da spartire con la NWOBHM per volontà di Robb Weir, e con i Blitzkrieg, ultimo nome della lista soltanto per l’aver sparato sul mercato un EP tutt’altro che necessario. (Marco Belardi)

One comment

  • Non ho ancora ascoltato il disco, ma su un aspetto vorrei dire la mia: quando è uscito As Above, So Below era in corso il revival dell’heavy metal classico (e anche del thrash old school), quindi era naturale ascoltare con più attenzione e che anche i musicisti più anziani, galvanizzati dal rinnovato interesse per la “loro” musica, si sentissero spronati a fare del proprio meglio, per compiacere un accresciuto numero di fan attuali o potenziali e magari raggranellare un buon gruzzolo. Adesso quel revival è finito da tempo, e quindi è naturale che anche lo stimolo a creare dell’heavy classico di qualità sia minore. Tutto questo per dire che, se fosse come tu scrivi, e cioè che questo album è un passo indietro rispetto al precedente, non sarebbe da stupirsi, non tanto per l’età del nostro Kevin (che resta uno piccola icona dell’underground), quanto per il contesto in cui il disco si inserisce.
    Ah, ho visto gli Angel Witch con Bill Steer al British Steel Fest a Bologna nel 2010; davvero c’è bisogno di dire com’è stato?

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