BURZUM – Belus (Byelobog Productions)
È inutile negarlo: qualsiasi cosa riguardi Varg Vikernes aka Count Grishnackh da Bergen ha sempre creato infinite discussioni e prese di posizione, un personaggio senza dubbio scomodo, sbeffeggiato da molti, idolatrato da altrettanti, forse l’unico che incarna alla perfezione il famoso detto “o lo si ama o lo si odia”. Immaginatevi quindi l’uscita di un disco nuovo di zecca dopo una quindicina d’anni passati a marcire in cella quante reazioni avrebbe potuto scatenare, cosa che ovviamente si è verificata. Questa recensione probabilmente la leggerete quando già vi sarete imbattuti in una miriade di giudizi e commenti sul attesissimo nuovo parto del Conte, per cui non mi dilungherò più di tanto e comincerò col dire la cosa che mi è subito saltata all’orecchio durante l’ascolto: questo è un disco Burzum 100%, lo capisci dopo due note, quell’atmosfera così indefinibile ed estraniante che riesce a ricreare e che fortunatamente non trova riscontri da altre parti, nonostante la miriade di epigoni che nel corso degli anni hanno cercato in qualche modo di imitarne le gesta, fallendo (a parte rarissimi casi isolati) miseramente. Ascoltando questo disco sembra quasi che il tempo si sia fermato, è incredibile come quest’uomo con i soliti quattro riff in croce possa ricreare certe sensazioni che oramai sembravano perse per sempre, cosa che solo le menti geniali possono fare. Musicalmente Belus rappresenta un sorta di punto d’incontro tra il grezzume del debut e quei malinconici muri sonori che avevano fatto la fortuna di Filosofem, spiazzando tutti coloro (me compreso) che si aspettavano un lavoro totalmente differente. Le autocitazioni sono frequenti e si palesano senza indugi (l’opener non è altro che Daudi Baldrs dal disco omonimo riproposta in chiave metal), ma ci mancherebbe che non fosse così, poi ti vai a sentire i quattro minuti finali di Glemselens Elv (uno dei brani più belli mai scritti da Burzum) e ti viene voglia di buttare nel cesso tutto il materiale black metal uscito nell’ultima decina d’anni. Ma si sa che quando ci si imbatte nelle creazioni di menti superiori una reazione simile è roba da mettere necessariamente in conto. Vi risparmio tutta la solfa sul concept lirico visto che probabilmente l’avrete già letta da altre parti, onde per cui consiglio a tutti di mettersi comodi, tracannarsi due birre, isolarsi da tutto e da tutti, ed immergersi nell’ennesimo insperato capolavoro del Conte. Grazie di esistere. (Michele Romani)
Il Conte é uscito dal carcere ed ha scritto il suo capolavoro!
lo devo avere!
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Michele Romani uno di noi.
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Capolavoro, però suona come se il nuovo libro di Umberto Eco fosse stato scritto dopo che Eco si è fatto 30 anni di carcere dall’uscita del Nome della Rosa!
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