The discouraged ones: i blackgazers
Determinati ascolti danno più soddisfazione se associati al giusto stato d’animo soprattutto quando riescono ad influenzarlo a loro volta. Se la metereopatia è un male diffuso che ne sarebbe di noi se cominciassimo a soffrire anche di sonopatia? Se dessimo ascolto a quegli sciroccati perdigiorno che affermano che l’heavy metal favorisce la depressione dove saremmo costretti a collocare i Manowar nella nostra vita?
Noi sappiamo invece, grazie ad accurati studi scientifici condotti sui membri della redazione di MS, che l’ascolto di 20 minuti di Louder Than Hell la mattina presto sortisce lo stesso effetto di due Cialis assunti a stomaco vuoto e che l’ascolto prolungato degli At The Gates rende più intelligente anche il tuo cane. Prima di fare esperimenti sui nostri figli (non posso escludere di non voler tentare un giorno col metal estremo piuttosto che lobotomizzarlo coi Teletubbies) chiediamoci: siamo tutti dei geni depressi? Le generalizzazioni, quindi, sono sempre un vuoto a perdere ma siamo veramente concordi nel dare completamente torto alla dottoressa Katrina McFerran dell’Università di Melbourne? La signora, che ha teorizzato l’equazione HM=disprezzo di sé, con molta probabilità avrà un figlio appassionato di blackgaze e soffrirà nel vederlo struggersi oltremodo dunque, non sapendo distinguere gli Helloween dai Kanashimi, fa di tutta l’erba un fascio.
Con l’avvicinarsi dell’inverno viene naturale dedicarsi ad ascolti che nel caldo torrido estivo della vostra stanzetta non avrebbero senso, al di fuori della ricerca spasmodica di qualche momento di refrigerio psicologico nel figurarsi su un ghiacciaio islandese, e novembre è il mese ideale per vedere cosa di buono è uscito fino ad ora in quell’area di confine tra post rock e black metal sperimentale di ispirazione un po’ doomy e un po’ shoegaze che -con qualche approssimazione- si può definire blackgaze e che sembra preordinato a dare fondamento al postulato australiano.
Lantlôs
A prescindere dalla voglia e dal gusto di incasellare ogni nuova tendenza o mistura di generi musicali in un contenitore ben preciso, atteggiamento spesso limitante ma comunque tutto sommato non inutile a mio modo di vedere, nel tentativo di accomunare realtà diverse ma che presentino caratteristiche comuni comincerei proprio dai Lantlôs. Trattasi di una band abbastanza fresca il cui primo lavoro, inteso come album di lunga durata, è l’omonimo del 2008. Da quel black sparato e canonico ammantato di Katatonici effluvi ne sviluppano, dimostrando una crescita progressiva, una sfumatura che dal nero pece lentamente tende ad un grigio di sonorità sludge/doom, che ricordano certe ossessioni alla Pelican, con un uso cospicuo di patterns jazz, soprattutto alle pelli, e un disordine distorsivo del più tipico post rock. Dopo un inizio incoraggiante assumono nelle loro fila Neige, il francese del Linguadoca-Rossiglione Stéphane Paut, creatore ed ideatore degli Alcest -tribute band al concetto di divino e paradigma fondamentale di tutto ciò di cui stiamo per parlare- che avrà a ben donde colto le potenzialità dei tedeschi dopo aver chiuso, per divergenze artistiche, la molto promettente iniziativa con gli impronunciabili connazionali Amesoeurs autori, nel 2009, del self-titled capolavoro. Coll’ultimo nato Agape, terzo full-length, i Lantlôs mi sembrano spostatisi più sull’ordine concettuale e disarmonico alla Strapping Young Lad a cui si affiancano melodie e tratteggi neoromantici. Lo stacco tra l’urlo BM, l’atmosfera malinconica e la pesantezza del rigore post industriale è netta e alternata a dovere, tanto da farti dimenticare di essere all’ascolto di uno solo e non di tre gruppi diversi. A sua volta, pur apparendo scritto dalla mano di quel pelatone di Devin Townsend, .Neon, il secondo album, presentava qualche vago accenno shoegaze e fantasmi di voci pulite easy jazz. Beh, che ne pensate? Minestrone indigeribile o contraddizione costruttiva? Propenderei per la seconda e sono curioso di sentire la prossima. Intanto pongo i Lantlôs tra i gruppi non convenzionali in ascesa.
An Autumn for Crippled Children
La Frisia da oggi non sarà più famosa solo per l’altezza dei suoi abitanti, per i monumentali e nerboruti cavalli dai folti crini o ancora per lo strambo sport regionale, il Fierljeppen, che consiste in una specie di salto coll’asta di un canale (ricordate: farsi i tromboni fa male) ma anche e soprattutto per gli An Autumn for Crippled Children. Il nome particolare di questa formazione di scoppiati maniaco-depressi dei Paesi Bassi è tratto da un brano degli Ebonylake, sebbene nulla abbiano a che fare nello stile con le urticanti dissonanze del black avant-garde degli stessi, spiazzanti e stordenti quanto un matrimonio di schiaffi. Gli An Autumn for… prendendo a piene mani dallo shoegaze (violenza sonora distorta alla My Bloody Valentine ed arpeggi soft dei più recenti e zuccherini Mira) mi stupiscono sia per l’ispirazione -e quindi per le buone idee- sia per essere riusciti nell’impresa di armonizzare queste forti contraddizioni grazie ad un cantato black filtratissimo e un blast beat dal volume bassissimo. Un sordo muro di suono che riporta alla mente le “peggiori” registrazioni da galera del Varg dei tempi bui, quindi deprimente, ripetitivo ed ossessivo ma più vicino ad una idea di BM atmosferico. Davvero un progetto interessante che spero non si esaurisca nella estrema particolarità e tipicità dell’idea ma che comunque, grazie al recente Everything (prodotto dalla italiana Aeternitas Tenebrarum Musicae Fundamentum che nel suo roster può vantare numerosi esempi di ex voto al demonio e alle sue più cupe manifestazioni musicali), li butta in quel pozzo dei Giganti dannati da Dio di cui parlava Dante nel XXXI Canto dell’Inferno. Pape Satàn, pape Satàn aleppe.
Sun Devoured Earth
Manco fossero i Dead Can Dance o i Black Tape For A Blue Girl questi qui se ne escono nel 2011 con 2 full-length, uno split e una sequela infinita di Ep che non sto qui a riportare. Non ho capito se si tratta di registrazioni nuove o pubblicazioni di roba vecchia lasciata in un cassetto ad ammuffire o se più semplicemente avessero una serie di proiettili in canna pronti da sparare non appena si fosse realmente avvicinato il momento della fine del mondo che, come tutti sanno sarà l’anno prossimo, e quindi volendo lasciare un segno tangibile, per quanto caduco ed effimero, su questa Terra hanno pensato bene di vomitarci addosso tutta la depressione, la solitudine e l’abbattimento delimortacciloro. I Sun Devoured Earth -con un nome così che te lo dico a fare, comincio anche seriamente ad avere paura- sono il parto di una mente malata, genialoide, ma malata. Una perché effettivamente il signor Vadim Vasilyev dalla Lituania naviga in solitaria. Tutta questa roba me la sono tirata giù di un fiato e stiamo parlando di ben cinque ore e mezza spalmate in una decina di cd. Ora, è più pazzo il signor Vadim, che evidentemente soffre di una dissenteria di creatività, o il sottoscritto che se la sorbisce tutta? Dentro c’è parecchio The Cure ma BM solo a sprazzi. Per ritorsione non aggiungo altro ma, se vi dovesse interessare, l’articolo è vivamente consigliato. Rischiate però di non uscire più dal tunnel. Io, per esempio, non ho parlato con nessuno per due giorni. Una botta di vita.
Dopamine
La vera sorpresa viene dalla Cina con furore. Sì, dalla Cina. E perché no? Che i cinesi ce l’hanno troppo piccolo per mettersi a fare il black metal? In effetti qui di BM ce n’è pochino dunque dovrei arguire che sia in effetti tutta una questione di pene. Mah, divagazioni a parte, i cinesi del signor Deng -una mente illuminata, un mandarino de noantri- proprietario della Pest Production, ha messo su proprio un bel gruppettino. Dying Away in the Deep Fall si inscrive perfettamente in quel sotto-genere che stiamo tracciando con la sua base strumentale raffinata, molto pulita, minimalista ed acustica che improvvisamente esplode in uno screaming stracazzuto dall’alto rilascio di dopamina, che disinibisce anche il cinese meno dotato e si sa che la dopamina regala grandi soddisfazioni a chi ne fa uso. Ad ogni modo è grazie a questi ragazzi con gli occhi a mandorla che il Made in China non sarà più sinonimo di cianfrusaglia e ciarpame.
Heretoir
Ancora Germania con gli Heretoir di tale Eklatanz, altro one man band ma di importazione francese. Abbiamo citato nomi illustri ed altisonanti come Alcest e Katatonia a cui aggiungerei in questo caso gli Agalloch. Ben inteso, i succitati appartengono ad un altro livello e per quanto Marrow of the Spirit possa non essere piaciuto rimane qualitativamente una spanna al di sopra di questa roba qui. Ma tant’è. Cantato sporchissimo e produzione, volutamente o no, turpe, come si conviene ad un blackster d’annata. Nulla di particolarmente memorabile ma riesce a causare l’effetto voluto in modo molto efficace. I franciosi ancora una volta governano il blackgaze. Li capisco, dopo l’apparizione della Première dame nell’ultimo film di Woody Allen c’è da esserne veramente depressi.
Les Discrets
Non ne potete più dei “cugini d’oltralpe”? Nemmeno io in generale ma musicalmente parlando, in questo campo, non se ne può proprio fare a meno. Li citiamo solo perché nel 2009 hanno partecipato ad uno split coi supremi Alcest che ogni cosa che toccano diventa oro e che li hanno traghettati nel mondo dei grandi con un bel contrattino con la Prophecy (sempre sia lodata). Attenzione però, non voglio dire che Les Discrets siano male, tutt’altro, ma stanno al metal come la trippa al sugo sta alla dieta. Ciononostante la band dark romantic di Fursy Teyssier, ex Amesoeurs (vediamo se avete studiato), e dell’attuale drummer degli Alcest se n’è recentemente uscita con un altro split con gli italiani Arctic Plateau dal piacevole ascolto ma ovviamente lontano dalla qualità espressa in Septembre et Ses Dernières Pensées. Restiamo in attesa di qualcosa più originale, magari un bel souvenir dall’altro mondo, che avvalori la presenza di questo gruppo nella stessa label di Falkenbach, Empyrium, Antimatter e altra bella gente. A proposito, visto che li ho nominati a strafottere, gli Alcest hanno da non molto ri-registrato/ri-pubblicato l’Ep di esordio, Le Secret, nel senso che contiene sia la versione nuova che quella vecchia. E niente, mi sembrava giusto dirlo.
Mi piacerebbe parlarvi anche di Wistful, Soliness, Old Silver Key, Lifelover, Shroud Of Distress, Airs, Hypomanie. Magari un giorno lo farò. Nel frattempo se ancora non vi basta e cercate qualcosa collegata comunque a questo mondo malato ma di più sparata e tradizionale impostazione, e non per forza di recentissima produzione, consiglio Austere, Silence Of The Old Man, Woods of Desolation (soprattutto questi ultimi che meriterebbero una trattazione a parte) o in alternativa per un condensato di blackgaze vi fate la raccolta The World Comes To An End In The End Of A Journey che riassume un po’ le puntate precedenti e comunque l’altra roba della Pest Production, così state a posto fino a Natale. A Vostra disposizio’. (Charles)
Grazie Charles. In questo periodo ascolto proprio questo genere. Aggiungo anche i Deafheaven, Rinoa e The Black Heart Rebellion.
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bell’articolo, davvero interessante, ultimamente ho un po’ abbandonato le haunted shores del “blackgaze” (dovrebbe essere indetto un concorso per trovare un nome migliore però, perchè questo fa un po’ schifo!) ma qualcosa ascolto ancora
Heretoir caruccio ma niente di speciale, Lantlôs molto buono ma .neon era davvero fantastico, mentre gli Old Silver Sky sono stati una mezza delusione, davvero tanta maniera!
aggiungo che a gennaio 2012 è programmata l’uscita del nuovo Alcest (copertina fantastica come al solito), e che a fine mese esce un disco che qui forse c’entra poco come genere ma tantissimo come umore, ovvero Saivo degli immensi Tenhi
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“ricordate: farsi i tromboni fa male” è stranissimo leggere ‘sta cosa giusto ORA.
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