Avere vent’anni: SUMMONING – Let Mortal Heroes Sing your Fame

Meraviglia secondo il dizionario Garzanti:

  1. Sentimento di viva sorpresa suscitato da qualcosa di nuovo, strano, straordinario o comunque inatteso;
  2. Persona o cosa che per la sua bellezza o il suo carattere straordinario suscita ammirazione.

Basta sfogliare il dizionario per descrivere adeguatamente Let Mortal Heroes Sing your Fame, quinto album dei Maestri austriaci Summoning: c’è già scritto tutto lì, senza voli pindarici.

Io non riesco ad essere imparziale con i Summoning: per me qualsiasi cosa abbiano composto è un’opera che non dovrebbe mancare nella collezione di chiunque ascolti heavy metal; perciò nemmeno ci proverò ad essere imparziale e, se pensate che ciòpossa infastidirvi, smettete pure di leggere questa celebrazione e passate ad altro. Grazie per aver letto queste righe fino a qui, ci si rivede prossimamente su queste pagine.

Per tutti gli altri: ora possiamo continuare, nessuno ci disturberà più con mugugni di disapprovazione. A prescindere dal fatto che secondo me è un culmine (a modo suo) anche Lugburz, nel caso di Let Mortal Heroes Sing your Fame siamo letteralmente nel mondo dei sogni. Probabilmente l’apice della loro carriera anche se io, essendo parziale, reputo capolavori inarrivabili tutti i loro dischi sia antecedenti che successivi.

Il concept di fondo dei Summoning è il mondo parallelo inventato da Tolkien, che ha nel libro mastro Il Signore degli Anelli come apice della saga e che prende però forma in un contesto più vasto. Se ascoltassimo Let Mortal Heroes Sing your Fame senza essere a conoscenza di ciò, ci renderemmo comunque conto che questa musica viene da mondi diversi e rappresenta mondi diversi. La sua epicità è strabordante, ne sono colonne portanti il suo incedere costantemente oscuro, marziale, i continui riferimenti a scontri campali, battaglie epocali, guerre definitive che cambieranno la storia e la morfologia di quell’Universo parallelo nel quale non ci sono più alternative al conflitto definitivo tra le due parti: il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, il probo e l’empio… non ha importanza. Nulla ha più importanza. Adesso è il momento d’infuriare. L’avversario va debellato ad ogni costo e con ogni mezzo.

L’uscita del disco ruppe una situazione di tensione e timore: due anni prima era uscito Stronghold, che aveva spiazzato una certa quantità di fan per via di sonorità e composizioni molto meno accostabili al black metal di Minas Morgul e Dol Guldur che, specialmente nel secondo caso, evidenziano le caratteristiche peculiari del majestic black di loro invenzione (che poi ha influenzato e continua ad influenzare centinaia di gruppi in giro per il mondo: questo modo di suonare l’hanno inventato loro dal nulla e non perdo occasione per ricordarlo). Siamo nel periodo 1995-1999, il black metal è nel pieno della sua fase espansiva e virulenta e qualunque ammorbidimento del suono viene interpretato come un tradimento della fede, un attentato alla sopravvivenza della nera fiamma. Che puttanate. Protector e Silenius, geni paragonabili ai grandi musicisti classici, se la presero abbastanza a male. Non erano per nulla soliti rilasciare interviste, però ne uscì una per una fanzine in lingua tedesca nella quale Silenius stigmatizzava le critiche alla loro evoluzione sonora dicendo chiaramente che i fan potevano scordarsi che i Summoning suonassero per sempre Dol Guldur, e che piuttosto la band si sarebbe sciolta. Nel frattempo loro si sarebbero dedicati ai numerosi side project di musica gotica, medioevale, ambient come Die Verbannten Kinder Evas, Kreuzweg Ost, Pazuzu e similari.

Ci dev’essere stata parecchia tensione tra i due Maestri, e questo in Let Mortal Heroes Sing your Fame si sente eccome. Penso che uno dei due, o entrambi, abbiano seriamente avuto voglia di mollare tutto e abbandonare il mondo black metal. Tutto l’album ha un’atmosfera tremendamente malinconica, come se l’epilogo di tutto quanto fosse arrivato e non rimanesse altro che intraprendere nuove strade (South Away) o dirsi addio (la conclusiva Farewell, brano che fin dal titolo ci fece tremare per lungo tempo). I suoni delle chitarre sono meno squillanti che in Stronghold, perfetti nella loro forma ma privi di luce, tetri, oscuri come solo in questo caso e poi mai più. Tratteggiano melodie militaresche che le straordinarie tastiere fanno esplodere anche in arrangiamenti di fiati propri di un trombettiere che suona la carica prima dell’assalto all’arma bianca risolutivo. Le voci sono le più malvagie e disperate di sempre, come pure i cori. Non c’è una sola nota fuori posto in tutto il disco, a partire dalla miglior intro di ogni tempo (anche se ha un titolo a sé stante, A New Power is Rising, pur esso suggeritore di cambiamenti imminenti, che contiene le celeberrime liriche ash nazg gimbatul, ash nazg thrakaatulûk, agh burzum-ishi krimpatul) fino al conclusivo fade-out di Farewell che, dopo cinquantasei minuti di pure lacrime suddivise in otto brani immortali, ripete svanendo nel nulla This is my hour. Do you not know death when you see it? Die now! (È venuta la mia ora… non riconosci la morte quando la incontri? Adesso muori).

Alla paura che nemmeno Let Mortal Heroes Sing your Fame avrebbe mai visto la luce, e all’eenorme sollievo di tutti quelli che i Summoning li adorano incondizionatamente anche se incidessero un album di sole cover di Jovanotti (io in prima fila, ovviamente), seguì poi un periodo di sconforto ancora più lungo, perché ci sarebbero voluti cinque anni d’incertezza prima del successivo Oath Bound. Let Mortal Heroes Sing your Fame però è tutto fuorché un disco di facile presa: appena uscì in molti storsero il naso, dimostrando di capire pochino di musica. Per apprezzarne ogni sua sfumatura ci vuole tempo, occorre dedicargli attenzione e svariati ascolti per carpirne i segreti. Chi lo ha fatto adesso lo mette al vertice di un’ipotetica classifica dei Summoning, ma io come detto non lo faccio perché li adoro tutti allo stesso modo. Ascoltare Let Mortal Heroes Sing your Fame a vent’anni dalla sua uscita e provare gli stessi brividi e le stesse emozioni della prima volta non ha prezzo, la musica dei Summoning, I CAPOLAVORI dei Summoning non solo resistono al misero lasso di tempo di un ventennio, ma sopravvivranno allo stesso concetto di tempo, in saecula saeculorum, come ogni Meraviglia che si rispetti.

Grazie, Maestri. (Griffar)

3 commenti

  • perché in alto c’è scritto Trainspotting e in basso Griffar?

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  • Adorazione totale per i Summoning, però questo disco lo metto sempre un po’ più in basso rispetto al resto della discografia (escluso ovviamente Lugburz). Bene hanno fatto loro due a tentare una svolta specie nella prima parte, più cupa e guerresca, ma a chi come me predilige le aperture luminose di Stronghold e Oath Bound stavolta tocca attaccarsi al cazzo. In ogni caso, gruppo grandioso come ce ne sono troppo pochi.

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