MORBID ANGEL – Illud Divinum Insanus (Season Of Mist)

I come Infangare per sempre il nome di una delle più grandi band della storia del death metal. I come Ira funesta dei fan che magari avevano pure prenotato l’edizione deluxe sbrilluccicante con scappellamento a destra e ora cercano un volo low cost per Tampa così da aspettare il gruppo sotto casa con una mazza da baseball. I come Imbarazzo per Trey Azagthoth che si è prestato a una simile puttanata quando poteva tranquillamente tenersi Steve Tucker e lasciare che la band invecchiasse dignitosamente, non dico con una striscia positiva che manco gli Ac/Dc come i Cannibal Corpse ma almeno mantenendosi su standard tra il “molto carino” e il quasi accettabile” e conservando il rispetto della comunità come Deicide e Obituary. I come I meglio mortacci di David Vincent che poteva restare a cazzeggiare con sua moglie nei Genitorturers lasciandoci perlomeno un buon ricordo. I come Illud Divinum Insanus, più che un disco una barzelletta di cattivo gusto raccontata pure male.

“…E poi c’era David Vincent che confezionava l’anfetamina”

Mi ero approcciato a questo cd da uomo avvisato. Non solo perché avevo buttato un occhio alle recensioni altrui ma perché sapevo benissimo che con il ritorno di Vincent non avrei potuto aspettarmi un lavoro canonico e tradizionalista. L’anima nera dei Morbid Angel era sempre stata lui. Con il suo abbandono, dopo lo spettacolare Domination, l’act floridiano smarrì la sua vena più oscura e sperimentale e, reclutato Tucker, pubblicò tre platter accademici e prevedibili quanto volete (un discorso a parte andrebbe però fatto per l’oscurissimo e oppressivo Gateways To Annihilation) ma qualitativamente inattaccabili. Non saranno stati dei capolavori rivoluzionari come i primi quattro full, ma avercene di album come Formulas Fatal To The Flesh e Heretic, basati più che sul semplice mestiere su una classe inarrivabile. Ero perfettamente conscio del fatto che le fisse di Vincent per l’industrial fossero condivise da Azagthoth e che ci si sarebbe mossi su questa scia. Ma una cosa è andare dietro ai Laibach (che remixarono, all’epoca, God Of Emptiness e Sworn To The Black), un’altra è andare dietro ai Deathstars, se non a Marylin Manson. Perché il problema non è che il distacco dal death metal tout-court sia stato così radicale, ben vengano le sperimentazioni quando portano a qualcosa di buono. Il problema non è manco che Illud faccia chissà quanto schifo. Qua e là si fa pure ascoltare, fosse stato l’esordio di quattro ventenni tedeschi con l’eyeliner, le extension e il piercing sullo scroto si sarebbe pure potuto beccare un sei di incoraggiamento in pagella. Più che un brutto disco, è un disco stupido. Non è Indegno in quanto Ignominioso ma in quanto Inutile e Insulso. E poi, che cazzo, se proprio volete utilizzare un titolo in latino sinceratevi almeno che sia corretto, maledetti peracottari, qua siamo ai livelli dei Dominion Caligula, il progetto solista del cantante dei Dark Funeral (già per conto loro piuttosto impegnati nel far rivoltare Cicerone nella tomba) sul cui esordio c’era un pezzo che si chiamava Fellatio Me Scrotum.

A Yog-Sothoth non piacciono i metrosexual

Si parte con un’intro pomposa che si chiama Omni Potens. Altro titolo in latino sbagliato. Me lo aveste chiesto, ve lo avrei prestato io il Castiglioni-Mariotti che avevo al liceo. E’ pieno di pentacoli e croci rovesciate e credo ci sia pure il vostro logo disegnato da qualche parte. L’opener Too Extreme! (eh?) ti fa capire subito che aria tirerà per 56 interminabili minuti. Ritmi ossessivi spezzati da beat, chitarre stoppate, effettistica un tanto al chilo, Vincent che si cimenta in uno pseudo screaming filtrato da harsh EBM e ci delizia pure con alcuni versi cantati in spagnolo. Forse aveva trascorso gli ultimi anni a Ibiza a vendere le anfetamine ai turisti italiani fuori dalle discoteche, chissà. Sembra di trovarsi di fronte a uno scarto di registrazione dei Project Hate, a voler essere buoni. La maggior parte dei brani, come la successiva Existo Vulgoré o la già nota Nevermore (che dal vivo sembrava pure carina), vedono prevalere gli elementi death metal ma i suoni iperartificiali e l’impostazione caciarona sono più o meno quelli. La struttura immediata e, almeno nelle intenzioni, catchy delle canzoni limita la noia ma mette in evidenza in modo ancora più spietato la povertà di idee imperante. A uscirne sacrificato, come ovvio, è l’estro di Azaghtoth, coadiuvato da Thor Anders Myhren dei Myrkskog, che deve essersi trovato piuttosto a suo agio. Il riffing prova infatti a rileggere il classico Morbid Angel sound in un’ottica più fredda ed elementare e il risultato è che nei momenti migliori più che gli autori di Altars Of Madness sembra di ascoltare dei loro emuli nordeuropei, tipo gli Zyklon (dove ha militato in passato lo stesso Myhren). Al death rancido e risaputo di una Beauty Meets Beast preferisco però l’autocelebrativa I Am Morbid che, con i suoi cori da stadio e il suo andamento marziale e rammsteiniano, è pure divertente.

Gli episodi più virati sull’industrial spinto sono invece i più grotteschi. L’ormai mitica Radikult, principale pietra dello scandalo e tormentone dell’estate ufficiale di Metal Shock (quello dell’anno scorso era 25 Escort di Immanuel Casto), sembra in tutto e per tutto un singolo di Rob Zombie ma il venerdì sera in una discoteca goth, con l’Mdma in circolo e la mano tra i prosciutti di una darkettona obesa, potrebbe pure fare il suo sporco lavoro. Azagthoth, in un’intervista a Decibel, si è giustificato dicendo che la band voleva guardare avanti. Ho capito, ma così non guardate avanti manco per il cazzo, questa è musica che stava smettendo di andare di moda già dieci anni fa. Dove credevano di andare a parare con spazzatura come Destructos Vs. The Earth/Attack? A questo punto uno si ascolta direttamente i Combichrist (autori del remix sul singolo di Nevermore) che almeno l’EBM la sanno fare. Convincersi di essere moderni e innovativi con ‘sta roba è un atteggiamento paragonabile a quello delle ultracinquantenni che si conciano come le ragazzine per sembrare più giovani e finiscono solo per imbruttirsi e rendersi ridicole.

L’unico che ne esce bene è Pete Sandoval, dato che non è stato coinvolto per via dei suoi problemi alla schiena. Sul suo sostituto Tim Yeung non ho francamente nulla di troppo acuto da dire se non che facevano prima a usare direttamente una drum machine. Se avevate messo venti sacchi da parte per acquistare questo album trovate un altro modo per spenderli. Comprate il nuovo degli Autopsy, se non l’avete già fatto. Pigliatevi dell’erba. Fatevi un paio di Lagavulin. Offrite una pizza a un amico. Portate una ragazza al cinema, pure a vedere The Tree Of Life, quella chiavica che ha vinto a Cannes (pare che in una sala bolognese avessero invertito i rulli del primo e del secondo tempo senza che se ne accorgesse nessuno), sarà sempre più costruttivo di Illud Divinum Insanus, che ascolterete a scrocco giusto per poterne parlare male. Quanto a me, proverò a inventarmi una meravigliosa realtà parallela dove i Morbid Angel si sono sciolti dopo Heretic, Trey Azagthoth prospera felicemente gestendo una fumetteria a Miami, Pete Sandoval, dedicatosi con successo alla produzione di insaccati, ha messo su un gruppo country & western e David Vincent è morto in un incidente stradale nel 1996. (Ciccio Russo)

P.S. Non mancate, soprattutto se l’avete presa molto male, di farvi un giro sulla paginaTumblr Morbid Fails, che contiene una galleria di fotomontaggi a tema davvero esilaranti (è lo stesso tizio del gruppo facebook Rip Morbid Angel ma lì quel fascista di Zuckerberg lo ha costretto a rimuovere un sacco di roba).

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