CRYPTOPSY – Cryptopsy (Century Media)

Il maldestro tentativo dei Cryptopsy di accodarsi al carrozzone deathcore con il demenziale The Unspoken King e la loro successiva, umiliante quanto inevitabile, marcia indietro, con annesso ritorno all’ovile del chitarrista originale Jon Levasseur, richiamato da un Flo Mounier con la rata del mutuo in arrivo e in preda alla disperazione dopo che la band gli si era sfaldata intorno (sia il bassista Eric Langlois che il chitarrista Alex Auburn avevano tagliato la corda dopo aver compreso che i vecchi fan non erano precisamente entusiasti di vederli correre dietro ai poppanti yankee con le chiome piastrate), costituiscono una delle vicende più assurde alle quali si sia assistito da quando l’uomo ha inventato il metallo, nonché un ulteriore conferma del fatto che se in un gruppo quello che comanda non è quasi mai il batterista ci sarà pure un motivo. Perché, applicando la teoria freudiana della tripartizione dell’Io, la chitarra è l’Ego, il basso è il Superego e la batteria l’Es. E se ci facessimo guidare dall’Es staremmo tutto il giorno a stuprare e uccidere, non so se mi spiego. Perché, come dice herr Ferri, è risaputo, il batterista è il Male, quello vero.

Non me ne volere, Flo, io ti ammiro tantissimo come musicista, però, sul serio, quanto vinavil ti eri sniffato per convincerti che pubblicare The Unspoken King potesse essere una buona idea? E non tanto perché quel disco sia una cacata indifendibile. E nemmeno perché eravate andati dietro come ovini alle nuove tendenze, che poi é il solito discorso della bella signora quarantacinquenne che si mette in competizione con le liceali e, invece di sfruttare il suo fascino agèe, cerca di conciarsi come loro esponendosi al pubblico ludibrio. The Unspoken King era sballato prima di tutto come operazione commerciale. Facevate un brutal death originale, intricato e suonato da dio, avevate pubblicato lavori spettacolari come None So Vile e potevate contare su un pubblico folto e devoto. Se proprio volevate farne una questione di portafoglio, continuare su quella strada sarebbe stato molto più intelligente anche e soprattutto dal punto di vista economico. Guardate come se la passano bene i Cannibal Corpse. Non si invecchia affatto male suonando brutal death. È una scena che gode di un’udienza fedele e conservatrice, dove si può tranquillamente tirare a campare solo di tecnica e accademia. E invece no, avete voluto fare gli sboroni. Avete peccato di ὕβρις. Come una rinomatissima trattoria romana che fa un’amatriciana della madonna il cui gestore sbrocchi in preda a deliri di onnipotenza e si metta di punto in bianco a servire sushi convinto di raddoppiare gli incassi. Non solo i vecchi avventori iniziano a boicottarla ma quegli stupidi fighetti che si mangiano il sushi, rendendo vano il sacrificio di innocenti tonni che avrebbero meritato di essere cucinati alla catalana, continueranno ad andare nei loro posticini frufru in centro.

Azzardando un paragone dal quale è difficile esimersi, i Morbid Angel dell’allucinante Illud Divinum Insanus hanno molta più dignità. Perché David Vincent e Trey Azagthoth appaiono sinceramente convinti di aver partorito un capolavoro rivoluzionario, a loro l’elettronica da balera crucca di bassa lega piace davvero e sono addirittura disposto a credere che dal vivo se potessero suonerebbero Radikult e Too Extreme! ma desistono solo su pressione dei promoter che temono violenze di piazza. Invece i Cryptopsy hanno tentato una paraculata fallimentare in partenza, gli è venuta, come era scontato, male e ora, con la coda fra le gambe, tornano a cercare riparo nel sicuro alveo del death metal. Che poi il dischetto, si era già capito dalle anteprime, per spaccare spacca. Un dischetto di routine, di mestiere, studiato apposta per riappacificarsi con i fan. Ma per spaccare spacca, memore dei tempi di Whisper Supremacy e …And Then You’ll Beg, con le ritmiche spezzate, i blast beat a rotta di collo, gli stacchetti fusion, le strutture jazz prestate al brutal, i riff di scuola Suffocation sporcati di hardcore che ci avevano fatto innamorare dell’act di Montreal. E anche Matt McGachy, con il suo growl grasso e profondo, se la cava alla grande ora che non è più costretto a cimentarsi con le clean vocals. Cryptopsy mi è piaciuto, e manco poco. Se li apprezzavate non posso non consigliarvelo. Ma l’amaro in bocca è troppo perché ce lo si possa godere davvero. A noi metallari piace farci prendere per il culo, si sa. Altrimenti album come Brave New World e Angel of Retribution non avrebbero ragione di esistere. Ma i Maiden o i Priest sono grandi e consumate seduttrici, esserne ingannati fa parte del gioco.I Cryptopsy, come si è detto, sono la ex fidanzata fedifraga che vi pianta per darsi alle gang bang multietniche e poi pretende di rimettersi con voi come se nulla fosse accaduto. Potrete continuare a volerle bene e potrete financo perdonarla ma un bel vaffanculo non glielo toglie nessuno. (Ciccio Russo)

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