Gloria e vita alla NOISE RECORDS

Qualcuno si ricorderà di un giovane tedesco appassionato alla militanza politica a livelli pressoché estremi. Finì in galera nel periodo della Rote Armee Fraktion e una volta uscito, probabilmente, a salvare Karl-Ulrich Walterbach sarebbe stata la musica.

Per gli innumerevoli metallari degli anni Novanta, seguire un’etichetta discografica era come parteggiare per una sigla politica, perduti nella convinzione di poter influire sul futuro tracciando una crocetta a lapis, o, appunto, con l’ennesimo disco portato a casa dal negozio di fiducia. Con la differenza che, a quasi quarant’anni, mi sono sempre affezionato alle etichette discografiche e mai ad un politico. L’etichetta discografica generava in noi un autentico senso d’appartenenza, il che rappresentava un’indiscutibile somiglianza fra le due cose. Ma sarebbe da ingrati tirarla fuori proprio oggi, perché oggi, appunto, si parla della Noise.

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Se ho scritto un pezzo su Napalm Records che a metà contenuti intraprendeva la via della parodia, è perché molte etichette discografiche fecero un po’ la stessa fine nel varcare la soglia del Duemila. La differenza tra questo e l’altro articolo è che stavolta non elencherò la lista delle uscite e dei progressi maturati anno dopo anno, per cui se mancheranno i Sinner dovrete perdonarmi, mentre se ometterò gli Iron Savior sappiate che l’avrò fatto di proposito.

Ritorniamo al nuovo millennio: poca settorialità, pochissimo criterio operativo e nessuna presa di posizione in quell’ambito che nel calcio dirigenziale definiremmo col termine progettualità. Un po’ li capisco: al mutare dei tempi e con il consolidamento dell’era digitale, una parte dell’utenza ai piani bassi ben realizzò di poterne fare a meno, riservandosi una fetta in più che altrimenti sarebbe stata spartita coi rocker da ufficio e macchinetta del caffè. Ma ormai rimaneva ben poco da spartire. La sua funzione non è inutile, non fraintendetemi: ma la tipologia di promozione e organizzazione, solitamente compito d’un etichetta discografica, nell’epoca delle sponsorizzazioni su Facebook, degli inviti di massa e più in generale di Internet rende ogni processo organizzativo alla portata di due terzi delle band in attività. Alle restanti di esse, per pigrizia, incapacità o per reale necessità derivante dalla gestione di un brand complicato e ramificato, un’etichetta alle spalle serve eccome. Un tempo esse rivestivano un ruolo vitale, e senza il loro supporto operativo non si sarebbe spalancata alcuna porta su vendite o palchi prestigiosi. Inoltre negli anni d’oro dell’heavy metal vi lavoravano dei Professionisti con l’iniziale maiuscola, dei pionieri, gente che pensava in anticipo di dieci anni sui tempi in corso, e che oggi mai e poi mai si fionderebbe a capofitto su un settore del genere se non per pura passione.

Sabbat

Sabbat

Personalmente ero molto affezionato a Noise Records, ed è un po’ per essa che il militante metallaro in me parteggiava. Mi accorsi rapidamente di quanti compact disc acquistassi, e subito dopo ispezionassi, finendo con l’individuare nello stesso identico punto l’inconfondibile logo della label tedesca. Le sue caratteristiche le ho anticipate nell’articolo sul bruttissimo singolo dei Kreator: come accadrebbe nominando Beppe Marotta ai piani alti dello scouting, un occhio giocava sul sicuro e l’altro era rivolto all’assoluta avanguardia dell’heavy metal anni Ottanta. Il concetto stesso di giocare sul sicuro è piuttosto vago: si trattava di dover dare una robusta continuità all’heavy metal classico sotto forma di una variante, e Noise evitò accuratamente la frangia radiofonica fatta di guitar synth ed eccessi vari, in favore di una musica molto spesso essenziale, poderosa e priva di fronzoli o concessioni verso l’esterno.

Il primo album che ho acquistato con la consapevolezza di far mio un prodotto Noise fu appunto Extreme Aggression – e in questo modo raggiungo l’intento primario di nominare quel meraviglioso album perfino qui sopra. All’epoca della sua uscita l’etichetta era già attiva da alcuni anni, perfettamente intatta, sin da principio, nell’applicazione del tipo di progettualità che ho descritto poc’anzi.

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Running Wild

Metto subito in chiaro che i Running Wild non furono soltanto tra i primi ad uscire, ma anche tra gli assoluti prediletti di Karl-Ulrich Walterbach grazie all’intoccabile triade composta da Under Jolly Roger, Port Royal e Death or Glory: per molte band firmare con Noise equivalse a sancire un sodalizio che sarebbe andato avanti per una vita. Il loro cominciò con lo split Death Metal del 1984 (condiviso, fra gli altri, con Hellhammer ed Helloween in un risultato finale piuttosto bizzarro). Il vero debutto di questi ultimi sarebbe avvenuto per mezzo di quell’EP pazzesco che voi tutti conoscerete, seguito a ruota da uno dei più begli album power/speed della storia, Walls of Jericho. In parallelo prese forma una delle mie band predilette, i Celtic Frost di Tom Gabriel Warrior, il quale, già a nome Hellhammer, aveva pubblicato sulla medesima piattaforma un certo Apocalyptic Raids. L’effetto che mi provocano i Celtic Frost ogni volta che li nomino ha ben poco da spartire con ogni altra formazione al mondo, per tanto che li ritengo importanti all’interno del panorama che contribuirono ad espandere: roba da brividi, senza sprecar giri di parole. Su Noise uscirono tutti gli album del loro periodo storico, svolta glam inclusa.

A quel punto l’attenzione si era già spostata oltre oceano. Avete presente Megaforce? Era quella dei Metallica di Kill’em All e non solo; era anche quella dei primi Anthrax e di un botto d’altra roba succulenta. Noise collaborò con Megaforce per poter stampare una parte del loro catalogo, tra cui i primissimi lavori degli Overkill. In cambio, i Grave Digger attraversarono l’Atlantico e sdoganarono la propria musica altrove. Karl-Ulrich prese poi con sé i Voivod nel momento più prolifico della loro carriera: Killing Technology sarebbe uscito per Noise, Dimension Hatross pure, mentre per Nothingface non ottenne più d’una concessione europea. Un catalogo che cominciava ad accumulare capolavori su altri capolavori, alcuni dei quali furono compresi con lo scorrere del tempo. Che si guardasse al materiale più classico, dei Rage o dei Grave Digger, o a quello più rivoluzionario, era un successo. Da un lato i due Keeper e il thrash metal dei Tankard, dall’altro i Coroner. Non un album, non due, ma tutti gli album dei Coroner uno dopo l’altro in una mutazione pressoché perpetua. Anche se, lo ammetto, il primo R.I.P. resterà il mio preferito in assoluto.

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Coroner

I Sabbat di Andy Sneap e Martin Walkyier passano facilmente in secondo piano all’interno di un carniere simile, anche se Karl-Ulrich li menzionava spesso, facendo riferimento a una grande occasione sprecata per l’impossibilità di convivere dei due leader. Ai piani alti si stava sviluppando un binario incaricato di sospingere il progenitore del trend degli ultimi anni Novanta, il power metal, che poco a poco si prese un po’ tutta la piazza. Sull’altro procedevano a briglia sciolta le contaminazioni fra diversi sottogeneri, fattore che, in sostanza, avrebbe dominato il decennio a venire. Noise arrivò su quelle cose in anticipo su chiunque altro. Nel 1989 mise la firma sul secondo album dei Watchtower, Control and Resistance: erano gli ultimi anni del techno-thrash e una gemma del genere non poté certo sfuggirgli. Solo in quel caso si guardò al presente, senza badare alla continuità.

Tutto sembrava procedere come da copione. Vi confesso che adoro i Gamma Ray con Ralf Scheepers, e il loro culmine con l’ex cantante dei Tyran’ Pace – a mio modo di vedere le cose – fu il secondo Sigh no More, appunto su Noise. Se i Gamma Ray rimasero fedeli all’etichetta fino al suo crollo verticale, un Martin Walkyier badò addirittura a tirar dentro una seconda band, gli Skyclad, non il proseguo dei Sabbat bensì il nuovo progetto di Martin con due delle menti dei Satan di Court in the Act: finalmente era libero dalla morsa di Andy Sneap, e quest’ultimo si ritrovò prossimo a diventare uno dei produttori più richiesti degli ultimi due decenni. Cominciarono tuttavia i primi problemi, ma non per gli Skyclad.

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Watchtower

Il colosso EMI tentò di sottrarre a Noise alcuni dei suoi fiori all’occhiello, fra cui gli Helloween. La cosa riguardava anche Celtic Frost e Running Wild, e ne nacque una questione legale che fu portata avanti per due o tre anni. Gli Helloween passarono interamente ad EMI in seguito a una lunga pausa forzata, e Noise riuscì a mantenere gli altri moniker. Pensateci un po’: EMI ebbe l’acume di scippare a Noise il suo cavallo di punta, gli Helloween di Eagle Fly Free, I Want Out e Future World. Il debutto sulla nuova etichetta si sarebbe chiamato Pink Bubbles go Ape, seguito a ruota da Chameleon. A questo punto della storia, che EMI fosse stata una casa discografica, una libreria o una panineria slow food, l’avrei chiusa per principio. In sostanza lasciarono EMI e si rimisero a far dischi, sul serio, stavolta con l’ottimo Deris. In contemporanea a Chameleon, che un tempo addirittura non mi dispiaceva, mentre oggi lo detesto, vorrei far luce su due titoli del 1993 ai quali sono rimasto particolarmente affezionato: The Missing Link dei Rage e Parallel Minds dei norvegesi Conception. Roy Khan, il loro cantante, raggiunse i Kamelot e consolidò una delle più interessanti power metal band di quegli anni. Sempre su Noise. A quel punto l’etichetta si era già trasferita di sede in California, alternando ottime intuizioni a qualche cocente delusione. Fu creata la T&T, sottoetichetta che diede i natali agli Stratovarius e lanciò i Virgin Steele, e furono affiliati Hellhound e un altro paio di progetti dal futuro non proprio garantito. I dettagli li ricordo a malapena, ed esiste un libro, disponibile soltanto in tedesco e in inglese ed intitolato Damn the Machine, che certamente li raccoglie e li esalta con maggior precisione rispetto al mio resoconto, anche se non ho mai avuto la determinazione d’andare a leggermelo. Ma se la curiosità vi rodesse dall’interno, sappiate che perfino Amazon ce l’ha: non è una rarità e non è nemmeno una roba finita fuori stampa.

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Helloween

La storia s’interruppe a cavallo tra il 2007 e il 2008, al termine di un decennio caratterizzato da tanto power metal e da poco altro di segnalabile. Qualche cantonata, qualche gruppo storico in declino, e un mercato che già faceva acqua da tutte le parti.

Karl-Ulrich Walterbach ebbe una caratteristica: era innamorato della capacità di scrivere buone canzoni, e non soltanto buona musica, da parte di un gruppo. Plasmò quella necessità con il punk tedesco, e poi rivolse i propri tentacoli in direzione di quello statunitense; ma quando nel 1983 formò Noise Records pensò dapprima a ottenere buone canzoni dall’heavy metal. Da qui le pressioni nei confronti di Tom Gabriel Warrior, affinché egli si concentrasse su di un progetto maggiormente in grado di esaltarne le capacità: e nacquero i Celtic Frost, nonostante gli screzi all’epoca di Cold Lake e i numerosi consigli ignorati dal loro testardo leader. Sempre per questo, pochi anni più tardi, andò fiero degli stessi Helloween che gli avrebbero poi rivolto le spalle. Perché erano capaci di scrivere grandissime canzoni. Egli era ciecamente innamorato della musica, la stessa che lo aveva allontanato dalla militanza estrema e da una gioventù costellata di reati, la stessa che all’epoca del processo con gli Helloween lo costrinse a rivalutare l’intera faccenda come un mare popolato da squali. Fra i quali incluse lo stesso Michael Weikath, senza mai vergognarsene.

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Celtic Frost

Oggi Noise Records si occupa principalmente di ristampe, riportata parzialmente in vita da un ulteriore gruppo, BMG, che nell’acquisirne i diritti non ha ancora sfoggiato una reale volontà di pubblicare materiale inedito, fare dello scouting, e, sempre con essa, mettere nuovamente sotto contratto qualcuno. Non si è trattato del primo passaggio di testimone, dato che già nel 2001 già osservammo e dubitammo di quello al gruppo Sanctuary. Karl-Ulrich Walterbach era letteralmente in fuga dal mercato della musica, intimorito da Napster e dalle battaglie legali dei Metallica contro un nemico odiato da tutti, ma che faceva comodo a chiunque: la tecnologia. Pertanto oggi si razzola nel passato forti d’un catalogo che gli altri, e perfino la EMI, poterono soltanto invidiare, tentando di intaccarlo a colpi di scalpello per ottenerne le parti più promettenti e di sicuro rendimento. Queste erano le etichette degli anni Ottanta per cui potevi tifare e parteggiare: un agglomerato di figure competenti, scout, dirigenti, ma anche avvocati, consulenti fiscali, e, ultimi ma non per importanza, i promoter. L’ultima figura reduce di quei tempi con i mezzi facilitati di oggi. Un’etichetta discografica, e in particolar modo una come la Noise, era sinonimo di professionalità. Venuta a mancare quella, e venuti a mancare i soldi che la alimentavano, finì col morire l’antico concetto di casa discografica inteso come vera e propria leggenda.

Sembrano passati secoli da quando l’attivista socialista Karl-Ulrich Walterbach fu arrestato in Germania, per poi, una volta libero, concentrarsi sulla Modern Music, ampliarla, scinderla in più direzioni. Prima la Aggressive Rock, dedicata al punk nazionale, poi la svolta a cavallo tra 1983 e 1984. Anche se quella magia è del tutto svanita, una cosa è certa: Noise Records, se sei appassionato all’heavy metal e sei nato fra i Settanta e gli Ottanta, è un qualcosa che ti ha letteralmente cresciuto. (Marco Belardi)

Gloria e vita alla Noise Records.

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6 commenti

  • ho avuto anch’io una fase di passione forsennata per la noise records, soprattutto per i gruppi più marcatamente power. oltre ai classici, sulla fiducia data pressochè a scatola chiusa, ho potuto scoprire grazie a loro ottimi album come i primi Elegy, Scanner e Kamelot, giusto per dire i primi che mi vengono in mente.

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  • Questo è un articolo/post da archiviare in una bella cartella windows perché hai fatto nomi tatuati nella mia mente e spero di tutti quelli che si intrattengono su Metalskunk.

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  • Bel colpo, Belardi. Mi permetto di prendere a prestito una frase dell’articolo particolarmente riuscita e modificarla leggermente per esprimere un concetto più generale: “Un’etichetta discografica, e in particolar modo una come la Noise, era sinonimo di professionalità. Venuta a mancare quella, e venuti a mancare i soldi che la alimentavano, finì col morire la musica intesa come qualcosa che dà senso alla vita di chi sceglie di ascoltarla”.
    No soldi -> no professionalità -> no talento -> no musica memorabile. Ed è ciò che viviamo nell’era del digitale. Triste ma vero.

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  • Che dire caro Belardi…GRAZIE. Pur con qualche mancanza (dove sono finiti i Vendetta di “Go and live, stay and die”?!) articolo stupendo che mi son letto tutto d’un fiato.
    P.S.: se avete tempo consiglio di guardarvi il video qui sotto che, pur presentando una tracklist alquanto diversa da quella su disco, contiene molti dei nomi citati nell’articolo al massimo dello splendore.

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  • Bell’articolo e grandi dischi. Fa strano, al giorno d’oggi, pensare a quanti classici buttavano fuori in serie certe scene e talune etichette; adesso che il metal è tutto un polpettone senza grandi distinguo. A livello più underground io avevo la fissa delle uscite avangarde records/ wounded love: primi katatonia, unholy, dolorian ecc.. Se leggevi il logo della label sul retro eri sicuro che il disco era una figata

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