La MILF s’è desta: OVERKILL – The Wings Of War

Generalizzando, si può riassumere l’intera faccenda dicendo che Ironbound ha suscitato un tale clamore da risvegliare un morto. Che poi di album veramente orribili gli Overkill non ne avevano mai fatti, ma dispiaceva vederli galleggiare tra la sufficienza risicata e cose che ascoltavi quasi per non mancargli di rispetto; perché in fin dei conti si trattava pur sempre dei due tizi che ti avevano regalato The Years Of Decay. E che fai, non dai una chance a Killbox 13?

Comunque credo che RelixIVImmortalis mi avessero portato vicinissimo al punto di dire basta, perché non trovavo più niente di interessante nella loro musica né nel loro modo di fare lentamente retromarcia dopo i reiterati tentativi di ammodernarsi e attirare un nuovo pubblico a conti fatti inesistente – ad ogni modo con eleganza e dignità – che caratterizzò tutta la produzione dei cosiddetti Overkill di mezzo. I Killing Kind della situazione, per intenderci, e figli ancor meno felici di esso. E poi è arrivata la Nuclear Blast, un po’ come in quelle commediole romantiche con la milf americana depressa che ha troppe storie sulle spalle per credere ancora nell’amore. Ma che deve ancora essere presa perbene a sculaccioni dall’imberbe Hugh Grant, col capello impeccabile alla Nicola Berti, e un impertinente rotore carnoso sull’anteriore pronto a riaccendere in lei la non burzumesca fiamma. Il potente Markus Staiger alias Hugh deve avere preso Bobby Ellsworth e Carlo Verni, annoiati e pronti a scrivere inedite linee di basso che avessero il giusto tiro, e li deve avere portati in uno di quegli uffici asettici in cui rigorosamente ci sono una pianta finta in un angolo, una luce bianca che si riflette sul candido pavimento dall’atmosfera ospedaliera, e una foto di famiglia ritraente il carnefice che vi sta scrutando in giacca e orribili mocassini Armani. Il che farà pensare che una volta sottomessi, umiliati e torturati a morte quelli come te, anche lui, capitalista devoto del lavoro, tornerà a casa per versare del merdosissimo sciroppo d’acero sui golosissimi pancakes. E poi non so che cazzo gli ha fatto, a quei due, perché in molti altri casi ho visto rispettose band entrare in Nuclear Blast, per uscirne conciate malissimo.

L’unica variante concessa a noi mortali dagli ultimi cinque lavori degli Overkill è che alcuni di essi fanno perno su canzoni dal minutaggio più elevato e decisamente più strutturate, come già gli accadeva dai tempi di The Years Of Decay. Altri invece sono semplicemente un pugno in faccia e presentano un generale indurimento del suono, di fianco ad una tendenziale esemplificazione delle composizioni. Credo inoltre che Dave Links e Derek Tailer abbiano col tempo raggiunto un’intesa notevole alle chitarre, e ne farò nuovamente menzione più avanti, per la precisione intorno al capitolo Nono – paragrafo Terzo, fra le note sottostanti il testo principale. Per il resto credo che The Electric Age sia il migliore che hanno realizzato in tutto il decennio, con gli altri quattro a inseguire a breve distanza e – probabilmente – White Devil Armory sia quello per cui simpatizzo relativamente di meno. Mentre il penultimo The Grinding Wheel è sicuramente un capitolo relativamente complesso, che richiede una certa attenzione per essere compreso come esso merita.

The Wings Of War invece è di tutt’altra pasta. C’è un batterista nuovo, Jason Bittner già Flotsam & Jetsam, e sinceramente mi piace molto. E c’è la chiara intenzione di semplificare nuovamente i pezzi, puntando sul dinamismo anziché sulla piatta forma canzone dei lavori più appesantiti, asciugandone quanto basta la struttura. Che cosa renderà o meno The Wings Of War un titolo gradito, oppure una di quelle cose che vengono sistematicamente messe via una volta ascoltate, sarà semplicemente il vostro istinto: avete presente la sensazione di voler sentire dal vivo i brani del nuovo album di una band, al costo di sacrificare uno o due classici? È quello che alla fine deciderà se The Wings Of War è un qualcosa da sei politico, oppure un’altra ficata del nuovo corso Overkill, da cui non pretendiamo assolutamente che vengano toccate di volta in volta le vette di un The Electric Age. Ma ci va benissimo così, se i risultati corrispondono agli odierni.

Dei dieci pezzi che compongono The Wings Of War sono certo che vorrei ascoltare in sede live la magnifica Welcome To The Garden State, pezzo veloce e caratterizzato da un piacevole retrogusto punk. Che poi, retrogusto un cazzo, vi prego ascoltatela e sfasciateci la camera. Pure le prime due sono una discreta mazzata nei denti, ideali per lasciare il passo al blues che aprirà Head Of A Pin, che non è bellissima né possiede un ritornello irresistibile come coloro che la precedono, ma non pecca affatto in dinamismo. È quest’ultima caratteristica il punto vincente del disco: brani che partono apparentemente lineari e prevedibili per poi sorprenderti dopo un paio di minuti scarsi, come accade in DistortionBat Shit Crazy.

Veri e propri filler non ce ne sono, a dispetto della amarognola impressione iniziale che il primo ascolto mi aveva lasciato, ed anzi si chiude in bellezza con una Hole In My Soul che è semplicissima, epica nel ritornello, e perfettamente capace di svolgere il proprio dovere. Anche se nella parte veloce è un po’ troppo simile ad Hardwired dei Metallica. A proposito, tanto per citare nuovamente i due chitarristi ed i loro ottimi arrangiamenti, del modus operandi tipico di James Hetfield ne ritrovo a secchiate in numerosi passaggi soprattutto appartenenti agli ultimissimi due album degli Overkill. Sarà una coincidenza oppure un semplice atto di stima, ma per me è anche un valore aggiunto e che in un certo senso aiuta a distinguere la loro produzione attuale, da quella mortifera e inconcludente a cui abbiamo assistito per circa dieci o quindici anni. Perchè attenzione, tolta quella parentesi in Hole In My Soul si può solo parlare di sporadici riferimenti, e mai di palesi scopiazzature in croce.

The Wings Of War ha dalla sua anche il fatto di crescere notevolmente con gli ascolti, esattamente come The Grinding Wheel, mentre un White Devil Armory a mio avviso offriva tutto subito, e per poco. Abbiamo per le mani un disco ispirato e ricco di idee, non un esercizio intento a far vedere quanto un neo-sessantenne riesca a suonare o cantare incazzato nel 2019; ma non disponiamo probabilmente di un altro mezzo capolavoro come The Electric Age. Carro armato che avanza con intenti sadici, oppure milf che si guarda allo specchio sicura che in serata potrà scoparsi chi gli pare, rendendo grazie per i sonori sculaccioni al caro Hugh della Nuclear Blast: perché adesso gli Overkill sono una delle più belle porcelle presenti in circolazione. Vi amo, e tanto. (Marco Belardi)

2 commenti

  • Welcome to the garden state live appena sentita al Phenomenon. Non mi piace su disco, non mi piace live. Mi pare sia pure poco considerata, l’hanno fatta in mezzo a Fuck you!
    Prima metà disco ottima, seconda calante, ma resta un gran lavoro. Last man standing, Believe in the fight, Distortion davvero forti. Live, un massacro.

    Piace a 1 persona

  • A dire la verità, “Where Few Dare to Walk” – ad un certo punto – ricorda abbastanza “The Thing That Should Not Be”. Così come il refrain di “Distortion” mi fa venire in mente una certa “Nobody’s Fault”..coverizzata dai loro colleghi Testament anni or sono!

    Detto ciò, concordo sul “migliore degli ultimi”.
    E, l’album in questione fa il suo!

    Quelle che mi esaltano maggiormente sono: “BatShitCrazy” e “Out on the Road-Kill”.

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