Le delizie dello scantinato: S.A. SLAYER – Go For The Throat

Se andate pazzi per il metal classico americano dei Lizzy Borden o dei primissimi Fifth Angel, già avrete sentito nominare Go for the Throat. Era il primo dei tre album storici prodotti dagli Shok Paris di Kenneth Erb, ma non è di ciò che andremo a parlare oggi, bensì di un disco omonimo che rappresenta la quintessenza della jella per un’infinità di motivi e fu registrato neanche a metà anni Ottanta da una band texana il cui nome era Slayer e che, già in gioventù, dovette affrontare una serie di problematiche non da poco. Prima di tutto cambiarono cantante, e il testimone passò da Chris Cronk al più eclettico e versatile Steve Cooper. Quest’ultimo, portato via 15 anni fa da un’insufficienza renale, era un talentuoso screamer fra la scuola Watchtower e quella Agent Steel, un talento puro quanto Jason McMaster o il vecchio Cyriis (non quello odierno, che farebbe esplodere i timpani perfino a un cane per mezzo d’esagerazioni interpretative e di post produzione). L’altro nome forte era Ron Jarzombek, ma ci arriveremo fra poco.
La band fu formata da Robert “Bob” Catlin insieme al compagno d’asce Art Villareal, un tempo entrambi nei Blitzkrieg. L’omonimia neppur sottile che avrete certo colto (col celebre gruppo inglese di A Time of Changes) nulla fu in confronto a quella che li avrebbe tormentati in seguito.
Non so se avete presente dove sta il Texas. Sta in basso ed esattamente al centro, è l’estremo sud degli Stati Uniti d’America. Confina a destra col Golfo del Messico e a sinistra col deserto del Chihuahua, il luogo in cui Charles ha preso i suoi cani di merda per farne i fedeli compagni d’una vita. A una distanza mastodontica, in alto a sinistra sulla mappa a stelle e strisce troviamo, affacciati sul Pacifico, gli stati di Washington, Oregon e California. Quest’ultima era la culla della celebre Bay Area e ospitava un gruppo che per comodità chiamerò L.A. Slayer, allo scopo di distinguerlo dall’altro.
La storia degli Slayer losangelini la conoscete tutti. Contratto con Metal Blade prima e Def Jam poi, produzioni firmate da Brian Slagel e Rick Rubin. Perfino il fotografo era quello giusto, Harald Oimoen (oggi bassista nei D.R.I.), lo stesso del giro dei primi Metallica, nonché di Murder in the Front Row. Negli stessi anni, in Texas, i nostri Slayer firmavano per Rainforest e mettevano in commercio Prepare to Die, un Ep di cinque tracce che definirei decisamente aggressivo per il 1983 in corso. A martellare in quella sezione ritmica c’erano il bassista Don Van Stavern, il quale passerà poi una vita nei Riot, poi Riot V, e Dave McClain, lo storico batterista dei Sacred Reich e dei Machine Head, il quale, a dire il vero, in entrambi i casi non fece altro che subentrare a un nome piuttosto ingombrante (Greg Hall prima, Chris Kontos poi).
A quel punto Art Villareal uscì e il suo posto fu occupato da Ron Jarzombek. La biografia di quest’ultimo è assai vasta in termini di pubblicazioni future e include Control and Resistance dei Watchtower, Gordian Knot con Malone e Reinert, Ink Complete e Compatible con gli Spastic Ink. Ron è inoltre fratello di Bobby, batterista prodigio passato per gli stessi Riot, per Halford, Fates Warning, Arch/Matheos e chissà quanti altri. Se siete batterista e la vostra band sta prendendo una bella piega, probabilmente un giorno vi cacceranno per sostituirvi con Bobby Jarzombek. Con Ron, invece, gli Slayer registrarono Go For the Throat nel 1984 e il mondo gli si rivoltò definitivamente contro.
La Rainforest Records finì a puttane e il disco fu messo in disparte in attesa di una pubblicazione. Cominciò una lunga disputa legale sul nome, che si riteneva dovesse esser presto mutato in quanto dietro ai L.A. Slayer frotte di legali assoldati dalla Metal Blade non attendevano altro che scatenare un abisso di querele. Inoltre la gente cominciò a scappare: si formano i Juggernaut, che includeranno prima Catlin e McClain, e, un paio d’anni più tardi, lo stesso Steve Cooper al microfono. Jarzombek finì nei Watchtower, Van Stavern nei Riot. Ma ne successe un’altra: Mark Reale (R.I.P. anche per lui) dei Riot escluse Jarzombek e Catlin e di fatto assunse tutta la restante line-up degli Slayer texani per plasmare un nuovo progetto, i Narita, il quale, mantenendo la buona tradizione di casa, non sfondò mai, realizzando di fatto una sola demo-tape nel 1985.
A quel punto, l’inesorabile scorrere del tempo ci porta fino al 1988. L’ultima esibizione live degli Slayer texani risale alla fine del 1984. Poche settimane prima, giocando in casa, i nostri si erano ritrovati spalla a spalla con gli Slayer losangelini e a testimonianza di ciò esistono alcuni bootleg intitolati SA Slayer VS LA Slayer Live at Villa Fontana (San Antonio). La data è quella del 30 novembre 1984. Dopodiché una o due ulteriori date, e il buio pesto.
Quasi quattro anni più tardi ricevemmo, in piena era techno thrash, un album. E l’album suonava beffardamente come un precursore del techno thrash attaccato perlopiù a radici power metal: se mai avesse inventato o anticipato qualcosa, non suscitava alcuna meraviglia in quei giorni frenetici e discograficamente entusiasmanti. Go for the Throat era prodotto magnificamente, per l’epoca. Ma obsoleto se accostato al 1988 di South of Heaven, per dirne sadisticamente uno. La band ebbe finalmente mutato logo e nome e ora si presentava come S.A. Slayer, mentre i L.A. Slayer, naturalmente, erano semplicemente nonché a ragion veduta gli Slayer, e, fra un abbandono di Lombardo e un suo rientro nei ranghi, spaccavano tutto ciò che capitava loro a tiro.
L’album, riascoltato oggi, è di ottima fattura, e una sua curiosità principale è l’attacco di If You Want Evil (assente su Prepare to Die, registrata nel 1984 e pubblicata nel 1988), così simile a quello di Necrophiliac degli Slayer del 1985. Il resto è un costante rimbalzare fra bordate power metal d’una certa eleganza, come la title-track, accenni ai Mercyful Fate fra gli acuti di Ride of the Horsemen e le cavalcate alla Hank Shermann di Ancient Swords, e momenti fondati sulla vecchia scuola come Hell Will Be Thy Name, posta quasi in conclusione. Il techno thrash accennato fra le righe del power metal americano di metà anni Ottanta, uscito, per sfortuna più che per coincidenza o per un gioco del destino, mentre il techno thrash finiva esaltato nelle classifiche grazie a singoli con tanto di videoclip come One. Vi voglio bene, San Antonio Slayer, anche se gli omonimi losangelini sono di fatto la mia band preferita di sempre. (Marco Belardi)
Mai ascoltati, recupero volentieri
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