Phil Demmel, dai Machine Head alla reunion dei VIO-LENCE
Ricapitoliamo quel che è stato Phil Demmel per i Machine Head. La sua strada e quella di Robb Flynn si incrociano per una seconda volta nel peggior momento della band di Burn My Eyes: hanno da poco inciso il tremendo Supercharger, il gruppo è sempre più orfano di Logan Mader e occorre in tutti i modi ritrovare una figura di rilievo che occupi dignitosamente quel posto, lì, alla prima chitarra. Ahrue Luster è stato spedito agli Ill Nino con un biglietto di sola andata, con Flynn che sembra sempre più intenzionato a recuperare qualcosa dalle migliori annate. The Burning Red piacque comunque a un botto di gente, ma Flynn era andato a impantanarsi su ogni suo aspetto: dal look da venditori abusivi di lattine di Pepsi passando per una musica cacciasingoli che di grossi singoli, di fatto, ne aveva avuti più che altro con Old o Take My Scars. Flynn trova presto quella figura in Phil Demmel, il suo storico compagno ai tempi dei Vio-lence. Dal canto suo, il chitarrista non gli presenta un gran biglietto da visita: un album eccessivamente in debito con i Pantera uscito a nome Torque in pieni Novanta, ma il gruppo non durò. Un altro album con i Technocracy qualche anno dopo, di maggiore personalità e molto più moderno, che vi confesso non mi dispiacque affatto. Dopodichè lo richiama Flynn, e per i Machine Head inizia una sorta di seconda giovinezza.
Ricominciano istantaneamente a scrivere grandi pezzi, da Imperium a Halo, celebrando nell’intero The Blackening uno dei migliori episodi della loro intera carriera. Phil Demmel gli fornisce quella spinta, quell’entusiasmo che era venuto a mancare, e la cosa durerà fino ad un nuovo e graduale innesto della temuta retromarcia. Robb è uno che ci casca spesso: sa benissimo che le migliori cose gli riescono suonando in una certa maniera e con una spalla di spessore al proprio fianco. Dopodiché la tentazione di fare il botto lo assale nuovamente, spingendolo a prenderci a sistolate con la merda: sebbene Bloodstone & Diamonds non fosse un brutto album, e sebbene su pezzi come Beneath The Silt non si potesse dire niente di negativo, in esso individuai nuovamente il calo di dignità che ciclicamente assale il leader del gruppo californiano. Il già ambiguo Unto The Locust in confronto era oro, mentre su Catharsis ho già scritto anche troppo. Sul suo atteggiamento in ambito social network, pure: la line-up scoppia, e lo fa per intero, lasciando dietro di sé un solo superstite che si mette subito a riordinare le carte. È Flynn, naturalmente, e quest’ultimo deciderà di registrare nuovamente Burn My Eyes con gli uomini dell’epoca: me la sono sentita Davidian e sarà pure impeccabile, ma non ha più il guizzo e l’esuberanza di allora. È incordata come il mio maledettissimo collo e non duella – come dovrebbe – con una versione originale che necessitasse uno svecchiamento.
In parallelo c’è un tizio di nome Sean Killian che se la passa malissimo, affrontando la cirrosi epatica ed il conseguente trapianto di fegato. Lo guardi e ti sembra il tale al bar che ordina una grappa alle dieci di mattina, fa una pena infinita. Viene fatto un concerto benefico, seguito a ruota da una serie di comunicati stampa tutt’altro che rassicuranti. Cala nuovamente il silenzio fino a che, trascorsi alcuni anni, sarà annunciata a sorpresa la reunion dei Vio-lence! Lasciate che vi riassuma che cosa rappresentano i Vio-lence per il sottoscritto: una delle forme più pure di thrash metal americano con cui sono entrato in contatto nel corso della mia vita, nient’altro. Il thrash metal non è banale tremolo picking come mi disse l’amico Davide molti anni fa, ma il contrasto fra l’eleganza di riff strutturati e sezioni dinamiche, e una marcata anima punk che riporta tutto quanto a zero. Se poi c’è il tremolo picking, ben venga: ma non è lui, a concretizzare dal nulla il thrash metal. Semmai l’ingrediente segreto della scuola tedesca era l’ignoranza, dato che ne individuavi sia al cospetto delle band più estreme sia nei gruppi più raffinati come i Mekong Delta, ma negli States era tutto più in funzione del riff e – appunto – dell’eleganza. Con il punk dietro, sempre presente da qualche parte.
Le acque le ruppe Kill’em All, le sembianze più definite prima dello spartiacque le assunse Bonded By Blood, e poi ci fu appunto il terremoto del 1986. Prima che l’era del techno-thrash toccasse il culmine, o proprio mentre si accingeva a farlo, ci fu un album – di cui in molti si sono purtroppo dimenticati un po’ in fretta – e proprio quest’album si rese capace dell’impresa di rappresentare un ramo musicale come meglio non si poteva. Eternal Nightmare dei Vio-lence. Il disco in sé era un autentico capolavoro, che considero tuttora uno dei miei dieci preferiti del genere intero, e fece combaciare un thrash molto strutturato e suonato ad arte, con l’elemento di netto contrasto di cui ho accennato sopra. Quest’ultimo era niente meno che Sean Killian, uno dei frontman più ingiustamente criticati di fine anni Ottanta, la cui unica colpa su Eternal Nightmare fu semmai quella di essere mixato a volumi altissimi, e che nascosero infelicemente tutto il resto. Sean era espressivo, di chiara scuola punk, giocava tutto su toni altissimi e non si chetava un attimo. Eternal Nightmare, per quanto si presentasse ricco di parti veloci, aveva delle dinamiche pazzesche e solo nel finale – specialmente con Kill On Command – tendeva a pestare come un ossesso e senza dover presentare particolari rallentamenti. Nulla voglio togliere al successivo Oppressing The Masses, più strutturato, ben prodotto e anch’esso corredato da una copertina minimale e meravigliosa: se al secondo album della band californiana mancava soltanto Torture Tactics, che uscì a parte con un EP, ad Eternal Nightmare non sfuggì alcun dettaglio, tranne forse quel folle mixaggio che fu riservato a Sean Killian. Oggi, misurando la febbre alla fattibilità di questa reunion, lo risuonano per intero: le sue pazzesche linee di basso, la batteria inferocita di Perry Strickland, tutto Eternal Nightmare ritorna di scena coi suoi cavalli da battaglia, da Serial Killer passando per Phobophobia. Poche date per ora, di cui una europea prevista in Belgio: diamogli il tempo di carburare, e se mai dovessero annunciare qualcosa in studio, basta che le tempistiche non siano le stesse dei Dark Angel.
Nel frattempo, Phil Demmel qualche sassolino dalle scarpe se lo è tolto, fra una reunion e qualche data dal vivo con gli Slayer, in temporanea sostituzione di Gary Holt. La nuova line-up dei Vio-lence naturalmente non include Robb Flynn, che anzi, nei cinque lustri di gloria, di alti e di bassi con i Machine Head, l’argomento lo aveva sempre affrontato con il contagocce. Ci sono Strickland e il bassista Dean Dell, c’è l’imprescindibile Sean Killian e Demmel si è portato dietro il fido Ray Vegas, un tizio che fece capolino nelle ultime demo prima dello scioglimento, per poi ricomparire nei Torque. Demmel ha ammesso che i Vio-lence li avrebbe ritirati fuori dal cassetto ben prima, cioè in seguito all’esperimento fatto con i Technocracy. Ma essendo divenuto membro fisso dei Machine Head, sembra gli fosse stato impedito, con la differenza che James Hetfield nell’impedirci di ascoltare il frutto dei progetti paralleli di Jason Newsted, ci stava solo facendo un grosso favore quando gli puntammo tutti il dito contro. Mentre i Vio-lence ritornano fra noi giusto con quindici anni di ritardo, in un periodo nel quale i nomi alla ribalta non mancano affatto, leggasi alla voce Sacred Reich (in odor di split con gli Iron Reagan, di cui vi parlerò prossimamente). Auguri, Phil, e soprattutto auguroni a Sean Killian per tutta la merda che hai dovuto subire in questi ultimi anni: ora pensa a urlare dietro a quel microfono. (Marco Belardi)
Bel articolo, ma se non erro Killian ha detto che la cirrosi e’ stata ereditaria, non di abuso di alcol. comunque sia, spero continuino a fare date live e magari un nuovo album!
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Eternal Nightmare capolavoro, ma Oppressing The Masses da dimenticare in toto, secondo me. Comunque fa piacere saperli di nuovo in giro; come i Sacred Reich, d’altronde, che dal vivo (l’ultima volta, mi pare, al Foschfest) non hanno mai deluso, e dunque non deluderanno neanche a Verona a luglio. Gruppi così non hanno bisogno di fare dischi nuovi, in realtà: di dischi in uscita ce ne sono fin troppi (Exumer?).
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Il primo inedito che gira dei sacred reich però non è proprio rassicurante, loro sono un po’ andati a picco dopo il primo album. Troppo distacco con tutto il resto che han fatto, ma resto comunque curioso perché ci sono molto affezionato a quel gruppo
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Concordo, anche se Surf Nicaragua (la canzone) e The American Way si fanno ascoltare comunque con piacere. Ma, come scrivevo prima, gruppi così non hanno bisogno di pubblicare materiale nuovo. O meglio, noi non abbiamo bisogno di sorbircelo (anche se qualche volta si trova la chicc(hett)a, tipo il nuovo dei Possessed).
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Il nuovo Possessed fa paura.
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Ho appena scoperto Nothing to Gain ed è bellissimo! Produzione a parte…
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