Recuperone underground italiano 2021

Da qualche anno a questa parte, mi ritrovo a dicembre a scrivere un articolo riassuntivo dove presento alcune delle uscite dell’underground italiano di cui non ho avuto il tempo di scrivere nei mesi precedenti. Se di qualcuno come gli Ad nauseam hanno già parlato i miei colleghi scribacchini della Metal Skunk SpA, e se di altri come gli Abysmal Grief è ormai difficile parlare di underground, altri gruppi si sono persi nei meandri di questo frenetico 2021.
Partirei dell’Alba di Morrigan, formazione di Torino che seguo dagli esordi poco metal di The Essence Remains. Al debutto del 2012, legato maggiormente all’ondata di post-rock italiano in cui sguazzavo in quegli anni, sono seguiti pressoché dieci anni di vuoto discografico dove il gruppo di Ugo Ballisai ha partecipato a un’edizione del Romaobscura e a un omaggio ai Novembre con una sorta di cover medley di Acquamarine e Geppetto e, credo, null’altro. Ricordo in particolare come a quell’edizione del festival del Traffic fossero tra i primi gruppi. Io anticipai il mio arrivo al locale appositamente per non perdermeli. Finita la loro esibizione sentii vari pareri negativi tra il pubblico e uscii fuori a fumare una sigaretta solitaria e sconsolata in attesa che i miei amichetti arrivassero per i nomi grossi. A quel punto si palesò il Ballisai a chiedermi se avevo una sigaretta speciale che purtroppo non potevo offrirgli. Ricordi a parte (forse li vidi anche un’altra volta al Sinister Noise), di quell’epoca è rimasto ben poco. E non è un rimpianto nostalgico (o, almeno, non solo), ma una constatazione del fatto che in I’m Gold, I’m God non è rimasto pressoché niente di quello che mi piaceva dell’Alba di Morrigan. Si sono persi quegli arpeggini e quei climax post-rock, la voce un po’ stridula e lamentosa di Ballisai, l’afflato cantautorale, e sono rimasti solo degli epigoni degli ultimi Katatonia e Tool come ne esistono tanti – vero, Soen? Con tutti questi gruppi della My Kingdom Music prima ci uscivo pazzo, ma ho la netta sensazione che l’etichetta campana abbia perso qualche colpo ultimamente.
Decadenza è il nome di un progetto della provincia di Salerno, nato un paio di anni fa, che ha partorito il suo primo album in quest’anno solare; o meglio: Deka’dɛntsa. Mi ha colpito subito per l’utilizzo dell’alfabeto fonetico internazionale e mi ha riportato alla mente quando, ai tempi dell’università e del corso di linguistica generale, con un amico di merende metallaro mi divertivo a scrivere qualsiasi cosa ci dovessimo comunicare in AFI. Universo 25 è poi un album concettuale, di quelli un po’ pretenziosi forse, ma sicuramente intrigante. Narra infatti dell’esperimento omonimo avviato a cavallo degli anni Settanta dall’etologo Calhoun, il quale decise di testare il comportamento dei ratti in un ambiente protetto, fornito di tutte le risorse necessarie, ma sovraffollato. Il risultato lo portò a coniare il termine fogna del comportamento. Non credo sia necessario esplicitare le anologie con la situazione che tutti abbiamo vissuto sulla nostra pelle durante almeno tutto il 2020 a causa della pandemia. Musicalmente non è forse qualcosa che ascolterei tutti i giorni (un post-metal pelicaniano un po’ casalingo totalmente cantato in italiano). Tuttavia, ciò che ho apprezzato molto è che da premesse pessime (riflessioni e canzoni influenzate dalla pandemia) è nata un’opera degna di rispetto e tutto sommato piacevole. D’altronde, quante persone avete sentito dire l’anno scorso: “Sfrutterò tutto questo tempo che ho per terminare il libro che avevo nel cassetto e che non ho mai avuto modo di finire. Grazie pipistrello cinese per averci trasmesso questo coronavirus nuovo, così ho un sacco di tempo per me stesso/a.” Ecco, anche basta, a queste fregnacce non ci crede più nessuno – ma per fortuna non è questo il caso.
Forse ha poco senso ormai considerare i Selvans parte dell’underground italiano, ma questo loro EP era uscito in sordina e noi non ne avevamo parlato. E poi sono anche loro collegati in certo qual modo alle mie (dis)avventure con l’alfabeto fonetico internazionale – sembrerà assurdo ma sto riuscendo a farmi perseguitare dall’AFI anche nel mio lavoro. Non appena gli abruzzesi pubblicarono il loro primo album, infatti, cominciai a cercare informazioni su di loro e mi comparve anche questo gruppo di Lodi chiamato [‘selvə], formatisi prima che la schwa diventasse di moda. A quanto pare suonano blackgaze misto a screamo; li passai al mio amichetto di merende di cui sopra, ma non li ho mai ascoltati. Ad ogni modo, tornando a Dark Italian Art, l’EP si compone in realtà di tre cover (due dei Metamorfosi e una dei Death SS) e tre inediti. Lo scopo alla base dell’operazione sembra lo stesso di Clangores plenilunio, primissimo album dei Selvans, anch’esso un EP: una dichiarazione di intenti che inauguri una nuova stagione musicale della formazione italiana, dedita maggiormente all’occultismo e al recupero e reimpiego di sonorità che in fin dei conti hanno fatto la storia della musica italiana – basti pensare che in Clangores plenilunio era invece presente una cover degli In the Woods….
Alla fine questa si è trasformata in una puntata nostalgica. C’era un periodo in cui non avevo ancora la patente e seguivo, facendomi scarrozzare, una ragazza per cui avevo una cotta per tutto il varesotto, rincorrendo un gruppetto metal, di quelli locali e pessimi, in cui suonava un tizio ricciolino e magrolino che suonava sempre a petto nudo e che le piaceva tantissimo. Ma io ci andavo sempre e comunque pur di stare con lei; cose che solo un diciottenne masochista può fare. Ora, non so bene quali siano stati tutti i passaggi, ma i Devoid of Thought condividono qualche membro con quel gruppetto liceale dal nome smargiasso – non il chitarrista belloccio, ovviamente. Nel frattempo la formazione della ridente Busto Arsizio ha anche cambiato nome: prima si chiamavano Warstorm e facevano un thrash metal abbastanza banale di cui mi piacerebbe dire che ho qualche ricordo negativo, ma la verità è che non ricordo minimamente come fossero e non ho nessuna intenzione di riascoltarmeli. Con il loro nome attuale si sono prima persi in qualche split ed EP, per arrivare infine a questo Outer World Graves. Il genere è cambiato in meglio, passando a un death metal abbastanza lento e oscuro, pesantemente influenzato da Morbid Angel, Immolation e Incantation. Nulla di troppo originale (come il genere richiede, dopotutto), ma se vi piacciono le referenze potreste trovarci pane per i vostri denti.