PELICAN @Pigneto Spazio Aperto, Roma, 23.07.2013

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Metti una sera d’estate al Parco del Torrione. Buttati sull’erba, alle nostre spalle un colossale monumento funerario romano, davanti uno dei più grandi gruppi postqualcosa dell’ultimo decennio. E costava solo otto sacchi. Il migliore dei mondi possibili, insomma. Per restare a casa bisognava davvero non essere figli di Maria (sia quella assunta in cielo che quella che spunta dalla terra). Infatti siamo venuti in massa. C’è Trainspotting, che non è un fanatico del genere ma entra molto facilmente nello spirito. C’è, come ovvio, Charles. C’è Manolo, direttamente da Siena. C’è Xabaras, direttamente dalle pagine di Dylan Dog. E c’è pure Gabriele Hammerfall, l’unico ardimentoso che si era unito a noi per il Fosch Fest. Buttati sull’erba mentre, poco dopo l’esibizione dei Molotoy, seguita distrattamente per ragioni di approvvigionamento alimentare, i Pelican salgono sul palco e prendono possesso delle nostre orecchie con la torrenziale The Creeper. Ti scordi che sono brani strumentali. Canta la batteria secca e ipnotica, canta il basso denso e profondo e soprattutto cantano le chitarre, tanto che quei riff te li ricanterai in testa anche tu, ore dopo la conclusione del concerto. Lo show è inaspettatamente fisico – cosa tutt’altro che scontata, data la materia sonora – a  partire dalla presenza scenica dei quattro di Chicago, che torcono i corpi come marionette drogate. A sbattersi di più, quasi siano i riff a suonare lui, è Dallas Thomas, salito a bordo tre anni fa come session dal vivo e oggi membro in pianta stabile in seguito all’abbandono di Laurent Schroeder-Lebec, primo avvicendamento in una formazione che era rimasta immutata dagli esordi.

pelicanLa scaletta è basata sul materiale da City Of Echoes in poi e tralascia del tutto Australasia e The Fire In Our Throats Will Beckon The Thaw. Pazienza, suonano troppo bene perché si possa recriminare, i crescendo lenti e inesorabili che li caratterizzano resi alla perfezione. E, in compenso, vengono suonati ben due estratti dal recente ep Ataraxia/Taraxis e addirittura due inediti: Immutable Dusk, che abbiamo già avuto modo di apprezzare, e il nuovo singolo Deny The Absolute che, spiace confessarlo, è stato l’unico momento debole della serata. Parte subito veloce, troppo pestona, troppo metallara. Che l’anima post rock del gruppo fosse proprio Laurent? Toccherà aspettare il 15 ottobre, data di uscita di Forever Becoming, per avere la risposta. Un cambio di rotta netto ci stupirebbe. Per quanto, con il tempo, la componente psichedelica abbia guadagnato protagonismo a scapito di quella sludge, i Pelican non sono mai stati una band da brusche virate stilistiche e hanno piuttosto continuato a cesellare e migliorare una sostanza musicale che si è evoluta soprattutto al passo delle loro progressioni tecniche ed espressive.

It’s stunning to be back in Rome, dice Trevor de Brauw, una volta evaporati i fumi di Ephemeral. Come tornati? Ciò vuol dire che erano già venuti in passato e me li ero persi. Il tipo di disattenzioni che non si possono perdonare, un po’ come quella volta che il capitano del Titanic non si accorse di quel grosso iceberg. Su Lost In The Headlights mi riscuoto e vado sotto il palco. Su Strung Up From The Sky succede una cosa strana: ad agitarsi e scapocciare di più non sono le prime file ma la linea centrale del pubblico, come la spina dorsale di un serpente ammaliato da quattro incantatori americani in t-shirt e scarpe da ginnastica. Chiusura affidata alla splendida Dead Between The Walls, uno dei pezzi più psichedelici della serata. No, oggi non si poteva proprio restare a casa (Ciccio Russo, foto scippate a Ilaria Doimo).

Scaletta:

– The Creeper
– Lathe Biosas
– Ephemeral
– Deny The Absolute
– Lost In The Headlights
– Parasite Colony
– Immutable Dusk
– Strung Up From The Sky
– Dead Between The Walls

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