Music to light your joints to #8
Qualche giorno fa siamo andati al Sinister a vedere i BLACK RAINBOWS, dei quali siamo ormai i più grandi fan al mondo, così come degli Alestorm (c’entrano nulla ma è sempre cosa buona e giusta tirare in ballo gli Alestorm). Del tipo che ci presentiamo ai concerti con le loro magliettine e sappiamo pure i testi. Stavolta c’eravamo portati dietro, non so, dieci o dodici persone, alle quali avevamo fatto due coglioni così durante i giorni precedenti sul fatto che i romani fossero uno dei due o tre migliori gruppi stoner italiani in assoluto, cosa della quale sono seriamente convinto. A ‘sto giro hanno presentato il nuovo ep, Holy Moon, che li ha visti tornare agli svarioni heavy psych degli inizi. Se si eccettua The Hunter (il cui video è stato girato a Canale Monterano, uno splendido borgo medievale abbandonato della Tuscia nei cui paraggi consiglio a tutti di andare a mangiare il cinghiale), la cazzima rock’n’roll di Supermothafuzzalicious!! lascia spazio a cadenze più reiterate e sfascione. Probabilmente, dopo un disco così diretto ed essenziale, avevano voglia di tornare a viaggiare nello spazio, e dal vivo si è capito. Un concerto più psichedelico e, allo stesso tempo, più aggressivo del solito, un bordello di feedback, volumi altissimi, il nuovo bassista Dario Iocca (che, se non ricordo male, è uno dei chitarristi dei promettenti The Wisdoom) che dà un’impronta più metallara, la cover di Black To Comm degli MC5 (che chiude lo stesso ep) tirata per le lunghissime. Tocca capire se sia una sterzata stilistica o un’estemporanea variazione sul tema. Fatto sta che dovreste davvero procurarvi Holy Moon, perché i Black Rainbows sono uno dei due o tre migliori gruppi stoner italiani in assoluto. Forse il migliore e basta, mi sa.
Quella dei CULT OF LUNA è stata un’ascesa lenta ma costante che li ha portati a divenire tra gli interpreti più credibili e talentuosi di quelle tendenze odierne del metal, figlie della contaminazione con il post-hardcore di fine anni ’90, che noi raccogliamo nella balzana ma, ehm, efficace categoria del postqualcosa. I primi album non mi dissero granchè. Erano venuti fuori troppo tardi per non abbeverarsi a garganella dalla fonte dei vari Neurosis e Breach, per poi costruirsi progressivamente una propria identità, definita con prepotenza da quel Vertikal che si è rivelato, forse, ila loro opera più ispirata. Opera alla quale fa oggi seguito un ep di quattro tracce, intitolato prosaicamente Vertikal II, che potrà essere pure una selezione di scarti ma toglie il fiato da quanto è bello. I primi due pezzi esplorano territori più soffusi e sperimentali, mentre Shun The Mask riprende l’approccio più impetuoso del full. Chiude un remix di Vicarious Redemption a cura di sua maestà Justin Broadrick. Un carico in più sulla bilancia che alza notevolmente le quotazioni di Vertikal in vista della playlist 2013. E dai leaders passiamo ai followers, con una rapida segnalazione per l’omonimo ep d’esordio degli ØLTEN, combo svizzero dedito a uno sludge strumentale che può ricordare una versione più arcigna dei Pelican (a proposito, sta uscendo il nuovo, sebbene non sappia se ne parleremo perché né a me, né a Charles ha detto granché). I brani che funzionano di più sono quelli più derivativi e nei ranghi, dove i quattro elvetici azzeccano il riff giusto (la conclusiva Blöm, forse l’episodio migliore) e ci fanno dondolare il capoccione a dovere, laddove commettono qualche ingenuità quando viene fuori la matrice metallara (Tallülar). Siamo comunque su livelli più che discreti per dei debuttanti, quindi, se avete una mezz’ora libera, un’ascoltatina sulla loro pagina bandcamp gliela potete pure dare.
Siccome, in barba a perturbazioni dal nome più o meno fantasioso, qualche giornata di sole Zeus ce la manda ancora in terra, possiamo parlare, con un po’ di ritardo, di uno dei dischi più sollazzevoli che hanno allietato l’estate degli appassionati di stoner. Ecco a voi gli ASG, che tagliano il traguardo del quinto album (in poco più di dieci anni di attività) con questo Blood Drive, che segna il loro arrivo nella grande famiglia Relapse. Siamo sul versante più solare del filone e i primi Queens Of The Stone Age sono il primo nome che viene in mente all’ascolto di brani gradevolmente radiofonici come Avalanche e Day’s Work, dove emerge, sia pure in misura minore, quella stessa sottilissima vena wave che ha fatto la fortuna dei Red Fang, laddove i passaggi maggiormente sabbathiani fanno venire in mente più i Corrosion Of Conformity di Deliverance che certi compagni di etichetta più trucidi. Pezzi brevi e immediati, spinti su tonalità alte e trascinati dalla bella voce di Jason Chi, che non si sottrae a qualche scream più aggressivo quando il contesto lo richiede (Castlestorm). Segnateveli anche se non siete fanatici del genere, potreste rimanere piacevolmente sorpresi, come lo sono rimasto io, che ammetto di non essermeli mai filati in precedenza. Tra i migliori dischi stoner tout-court di questo 2013. Anche questo lo trovate tutto in streaming su bandcamp.
E, a proposito di compagni di etichetta più trucidi, concludiamo con Tend No Wounds, nuovo ep dei BLACK TUSK, band per la quale provo grande simpatia (soprattutto memore delle ottime prestazioni live) ma che diventa sempre meno interessante a ogni uscita. La loro maniera di frullare le diverse tendenze del metallo americano di ascendenza sudista, dai Mastodon agli High On Fire (a proposito, produce Jack Endino), suonava ancora fresca ai tempi del secondo Taste The Sin (forse il loro lavoro più riuscito) ma aveva già iniziato a mostrare pericolosamente la corda con il successivo, noiosetto Set The Dial, che quantomeno cercava di buttarla in caciara. In queste cinque tracce l’eclettismo che era stato un tempo il punto di forza del trio di Savannah si ritorce spesso contro di loro (il giro di basso iniziale di The Weak And The Wise ricorda in modo imbarazzante l’attacco della stranota cover di Sweet Dreams a cura di Marilyn Manson) e a funzionare meglio sono, anche in questo caso, i pezzi più diretti e hardcoreggianti (Enemy Of Reason e la conclusiva In Days Of Woe). Nel complesso, l’ispirazione è sempre superiore a quella delle decine di cloni dei Baroness che stanno soffocando la scena, però inizio a pensare di averli sopravvalutati. Giudicate voi.
se ci stanno dimezzo i corrosion di deliverance prendono 10 punti in più per me..a proposito volevo informare i fattoni che i church of misery faranno 3 date nello stivalea febbraio..milano bologna e roma.bella pe tutti
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