DEATH SS – X

Dietro alle quinte di una recensione a volte si celano astute e ineffabili mosse, lo scopo delle quali diventa palese solo dopo alcune ore o perfino alcuni giorni, come nelle migliori partite di scacchi; queste mosse finiscono poi per decretare la responsabilità autoriale della recensione. D’altra parte, io sono un pessimo giocatore di scacchi, pertanto mi capita spesso di non riuscire a prevedere le conseguenze di certe scelte, volontarie o indotte che siano, che posso fare in un determinato momento.

Il fatto è che lo scorso 29 ottobre 2021 è uscito il nuovo disco dei Death SS, intitolato X, che già molti chiamano amichevolmente “ten”. L’esperto Belardi, recensore storico su Metal Skunk del gruppo marchigiano-fiorentino, dopo aver pubblicamente dichiarato che il disco “non gli sta piacendo”, nel fine settimana più oscuro di tutto l’anno cambia drammaticamente idea, inviandomi un vocale privato in cui mi dice che, in sostanza, l’album non è poi così male. Io, stanco e stordito da una settimana di lavoro e da due giorni passati alla mercé di figli e moglie, gli rispondo che l’ho sentito ed effettivamente non ci trovo nulla di brutto, che i ritornelli sono gradevoli, che c’è addirittura una canzoncina che mi ha colpito, etc. etc., insomma cado nel tranello verbale del malvagio fiorentino che mi vuole evidentemente sbolognare l’onere della recensione. Si passa da frasi come “Under Satan’s Sun potrebbe stare su Humanomalies” a “Heretics mi ricorda Lady in Black”, poi si va oltre, fino all’ultima domanda, quella da non fare MAI, ovvero: “alla fine chi fa la recensione?”, perché in pratica equivale a chiedere, anzi a supplicare di farla a tutti i costi.
Però io, intorpidito, assonnato e anche inebriato dalla parlata toscana dell’esperto recensore, ignaro del pericolo, faccio proprio LA domanda da principiante. Al che, si susseguono una serie di convenevoli piuttosto prevedibili e patetici, tipo: “se c’hai voglia, te la lascio volentieri”; “…la posso anche fare”; “non voglio passare davanti a nessuno”; “se hai già un’idea di cosa scrivere, falla tu”; “…altro che passare davanti! A me non pare vero!”. A farla breve, dopo un pomeriggio passato a scambiare vocali tosco-emiliani su Telegram, si decreta che mi tocca recensire “X”, e lo capisco dopo circa tre ore dall’accaduto. Belardi 1 – Mazza 0.

Perché, chiederete, tutti questi indugi, tutto questo scaricabarile per il nuovo disco dei Death SS? Perché, cari lettori, la verità è che su questo disco c’è poco da dire. È un album evidentemente scritto e suonato da musicisti di mestiere: non ci sono errori, gli arrangiamenti sono belli, i ritornelli sono molto cantabili e accattivanti, nessuno ha corso dei rischi suonando queste canzoni, ma l’amara controparte è che non c’è nessuna sorpresa. Sappiamo tutti che stiamo parlando del gruppo metal italiano più antico, più longevo e più significativo perché nato insieme alla NWOBHM, di questo siamo consapevoli e gliene saremo grati per l’eternità, però dobbiamo osservare che la loro produzione degli ultimi anni si sta assestando sempre di più su un territorio sicuro, senza particolari difetti, ma anche senza peculiarità da ricordare: l’unica cosa degna di nota qui rimane la voce di Steve Sylvester, che si modula e declina in stili differenti a seconda dell’atmosfera, assecondando i suoi manierismi.

Per il resto, si tratta di un disco molto melodico e pertanto orecchiabile, senza estremismi, caratterizzato dal barocchismo tipico degli ultimi anni, con un’estetica musicale ricca e curata, in modo da piacere un po’ a tutti, ma ahimè anche poco metal. Le atmosfere si mantengono abbastanza scure su tutte le canzoni, a partire da The Black Plague, ma poi si aprono anche su tempi cadenzati e wave, come in The Temple of the Rain e The World is Doomed. Abbiamo l’accelerata power di Ride the Dragon e la chiusura energica di Lucifer. È dunque un lavoro con una sua dignità professionale, che si fa ascoltare, godibile e ben suonato, ma già al primo contatto si ha l’impressione che non ce lo ricorderemo a lungo. Un altro difetto è la registrazione: i suoni sono stati scelti secondo un’estetica precisa, ma che penalizza la profondità e la separazione fra gli strumenti. Si sentono bene la voce, le tastiere e una parte della batteria, mentre il resto rimane molto impastato.
Una canzone che ho trovato interessante, ma è un fatto puramente personale, è Heretics, una sorta di power ballad che mi ha ricordato Lady in Black degli Uriah Heep (perdonatemi, ho una certa età), il che mi apre le porte del sentimento & della nostalgia, ma non so perché cazzo abbiano messo il clap (quello da batteria elettronica pop anni 80) al posto del rullante: almeno ci fosse il colpo di cerchio! A parte questo, l’ho trovata uno dei momenti più ispirati dell’album.
“X” è stato preceduto il 10 ottobre dal singolo Zora, che nel disco si trova alla seconda posizione e per cui è stato anche girato un divertente video VM18. Potrà dunque fare da colonna sonora alla lettura dei noti fumetti di dubbia moralità, che sono una fissa di Steve Sylvester, nonché di molti altri colleghi metallari.
C’è anche un’altra canzone ispirata a un fumetto, Suspiria (Queen of the Dead), ma al contrario della prima risulta piuttosto lenta e noiosa.
Steve, tu sai che ti vogliamo bene, sempre.
(Stefano Mazza)
Va bè, la recensione non ti è uscita male.
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