Meno Carnevale, più Cogumelo: la scena estrema brasiliana negli anni ’80

Ogni anno il Carnevale di Rio infiamma le strade della metropoli brasiliana, notte e giorno, carro dopo carro, dando compimento a un lavoro sotterraneo che obbliga gli addetti ai lavori a dodici mesi di allenamento, preparazione e perfezionamento. Non perché mi trovi fisicamente collocato nell’emisfero opposto a tutta questa roba qua, ma non me ne frega un beneamato cazzo, né di loro, né di quello che gli gira per la testa. Così mi limiterò a tributare il paese verdeoro per cose come la Cogumelo Records e per l’inarrestabile orda di metallari bestemmiatori che i brasiliani seppero schierare sul campo, con risultati mai sufficientemente meritocratici, dai primi anni Ottanta in poi.

Nel rispetto della cronologia dei fatti, avrei il dovere di stabilire un inizio e di portare il discorso sino a una conclusione. Cotechino, Moretti da 66 e l’urgenza di entrare a lavoro fra poco più di un’ora me lo impedirebbero, perciò sarò molto istintivo e disorganizzato. Inoltre ci tengo a puntualizzare come nei confronti di questa robaccia io nutra un amore storicamente viscerale, che renderà il pezzo solo parzialmente attendibile.

Come metro di paragone più adatto vi invito a considerare questo mio speciale come una sorta di articolo redatto da Vincenzo Mollica su un qualunque argomento. A lui piace ogni album musicale, film o libro scritto entro un range che include Nietzsche, Simone Moro e la De Lellis. Io sono così con la scena estrema brasiliana, è più forte di me e spero mi vogliate perdonare.

Max Cavalera trentacinque chili fa

In questo momento le casse stanno sparando Goetia dei MYSTIFIER e dunque comincerò da loro. Per pura praticità ho avviato Goetia da YouTube, il quale ha saggiamente deciso di abbinare l’album a una pubblicità di Greenpeace intitolata “Cinque bugie sulla plastica che le multinazionali ti stanno vendendo”.

Pubblicità a parte Goetia bellissimo, e lo è molto di più se si considera che proseguì il discorso avviato da I.N.R.I. con più efficacia degli stessi Sarcofago, per scriverla più breve che posso. I Mystifier avevano la mente sgombra dai Sepultura, mentre Wagner Lamounier, quando arrivò a comporre la roba di The Laws of Scourge, assolutamente no. Goetia è il classico album maturo e ben realizzato da un punto di vista compositivo e tecnico, senza che ciò vada a intaccare il marcio fino al midollo che contraddistingueva ogni singola nota del precedente Wicca, che a sua volta era un tripudio di bassi e rumore con dalla sua dei buoni pezzi e l’attitudine giusta per lasciare il segno. Personalmente gli preferisco Goetia, autentico baluardo del catalogo dei primissimi anni di Osmose: quelli dei Marduk di Those of the Unlight e degli Enslaved che non si erano ancora messi a fare i sofisticati da birreria artigianale dove si discorre in politichese.

Ho sempre sostenuto che i Cradle of Filth avessero scippato la grottesca copertina di Sexual Carnage dei SEXTRASH, per riprodurre quella sorta di ultima cena erotica che presentarono dentro al libretto di Dusk and Her Embrace. Che ciò sia vero o falso nessuno lo saprà mai, fuorché i diretti interessati. Il contesto era il seguente: Cogumelo Records, uno di quei gruppi anni Ottanta che purtroppo scoprirono le tastiere, e che – esattamente come nel caso dei nostri Bulldozer – finirono per utilizzarle malissimo. Il buon senso, tuttavia, suggerì loro di utilizzarle soltanto in circostanze come intro/outro dei pezzi, salvandoli da una ecatombe annunciata.

Sempre per rimanere in orbita ai Sarcofago, i Sextrash girarono più attorno a Rotting che alle loro primissime cose. Personalmente li ho sempre adorati, pur ammettendo a me stesso che non fossero niente di così esuberante o fondamentale, ma il cantante che si metteva letteralmente ad abbaiare sul finire di Psychoneurosis, d’altronde, non era qualcosa a cui fosse concesso in alcun modo resistere.

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Dorsal Atlantica

Tocca poi ai DORSAL ATLANTICA, che, almeno concettualmente, si presentavano come i più nordamericani fra tutti. Esattamente come fu obiettivo dei Sepultura di Beneath the Remains, i Dorsal Atlantica spostarono il tiro sulle medesime tematiche affrontate dai Terrorizer o da metà scena thrash metal californiana: capitalismo, povertà, telegiornale. Il gruppo mise in vetrina questo basso onnipresente, particolarmente dinamico e creativo nelle sue partiture: tempistiche e geografia, d’altro canto, misero i Dorsal Atlantica nelle condizioni di non disporre dei mezzi tecnici richiesti per poter produrre e conseguentemente risaltare lo strumento in maniera adeguata, finendo col coprire tutto quanto il resto per costringerci a sentire che cosa diavolo uscisse fuori dalle quattro corde. Un bel casino, che in là con gli anni decisero di sistemare almeno in parte.

Searching for the Light credo sia il loro album che ho ascoltato con maggiore frequenza, e che ben si differenzia dai loro esordi (Antes Do Fim del 1986) in cui proponevano una via di mezzo tra il proto-black di quei tempi e un approccio marcatamente thrash/hardcore. Si differenzia, per sua fortuna o per merito di un perfetto e saggio bilanciamento compositivo, anche dalla loro meno fortunata produzione degli anni Novanta, che fu eccessivamente incentrata sulle ritmiche di roccia tipiche dei tempi in corso. In particolar modo Straight soffrì un titolo della levatura di Chaos A.D. e non seppe in alcun modo sfruttarne, e tantomeno ripeterne, il successo commerciale.

Tornando alla mia amata Cogumelo, ecco i CHAKAL. Non sono fondamentali neppure loro, ma li cito poiché servono a comprendere quanto certi classici soffrissero l’esistenza di titoli maggiori, come appunto Morbid Visions, e come l’evoluzione futura di alcune band di seconda fascia sia stata un po’ sottovalutata.

Il classico per antonomasia dei Chakal è Abominable Anno Domini del 1987. Onestamente, se lo risento mi viene automaticamente voglia di passare a una Satanic Lust o ad una Nightmare, per quanto esso non suoni affatto male. Piuttosto i Chakal risulteranno interessanti nel periodo successivo ed in particolar modo su The Man is His Own Jackal, uscito tre anni più tardi: voce più pulita ed a tratti omaggiante i Venom, e un ritmo che non lasciava alcuna tregua, sorretta da una preparazione tecnica messa a puntino e da titoli irresistibili come Santa Claus has got Skin Cancer. Roba da ripetere allo specchio una cinquantina di volte. Svariate concessioni allo speed metal più tradizionalista furono, infine, l’elemento a sorpresa, quel qualcosa che non ti aspetti possa fuoriuscire da un prodotto del genere: era dappertutto, nelle ritmiche come negli assoli quell’album omaggiava il decennio appena concluso e lo faceva benissimo.

Sempre Cogumelo Records, sempre Belo Horizonte: gli HOLOCAUSTO uscirono fuori nel solito 1987, anno di totale gloria per certe sonorità, con un disco intitolato Campo de Exterminio che cacava in testa all’85% delle puttanate che oggi vengono prelevate da Bandcamp ed elevate a nuovo culto del war metal o affini.

Ciò accade per il semplice fatto che sui social gira così, non si ha la pazienza di metabolizzare un prodotto e comprendere se esso sia servito a uno scopo, se abbiamo memorizzato tre sue note in successione, e se questo abbia ricevuto una certa risonanza fra chi condivide i medesimi gusti. Suona come i Blasphemy o una vecchia demo dei Beherit? Mi accontento e lo prendo per fico anche se magari non c’è traccia di palle acuminate. I brasiliani avevano le palle acuminate, e questa roba qua – per quanto io mi consideri di parte nell’interpretarla – ha letteralmente codificato e influenzato tutta quella a venire: è uscita nel periodo giusto, negli studi registrazione talmente sbagliati da essere giusti, ed in un contesto semplicemente perfetto. Era il Brasile del B.O.P.E. e di realtà così opposte da fomentare desideri e sentimenti talmente contrastanti, che solo un genere musicale di nicchia come questo avrebbe potuto rendergli la sufficiente giustizia. Qui nessuno si autoproduceva la demo in camera con il mouse e la tastiera appena arrivati da Amazon.

Un po’ per paradosso, il Brasile era e tuttora è un paese cristianissimo, e pure quell’aspetto deve avere influito: mandate il Papa in tour per le piazze venete e nascerà una scena pure lì. Anziché liberare il vostro lagotto romagnolo su Bandcamp come se fosse un terreno da tartufi, sentitevi piuttosto Forças Terroristas, e godete anche quando i brasiliani decideranno di rallentare un po’, come in Scoria, ovvero l’equivalente del calo di tensione che per gli Schizo poteva essere rappresentato da una mazzata sul collo come Make Her Bleed Slowly.

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Vulcano

È ora doveroso concludere con i Vulcano, e lo è per semplice rispetto. Furono i primi a trattare certe tematiche in patria in una maniera così diretta e oltranzista, erano attivi da anni quando debuttarono ed il loro primo album – Bloody Vengeance – non fu mai pareggiato dai suoi successori sulla breve distanza. Non ci arrivarono neanche vicino.

Probabilmente il miglior titolo tra quelli che ho elencato oggi, Bloody Vengeance merita un posto d’onore nella collezione di ogni appassionato al metal estremo, e, assieme a Campo de Exterminio e ai primi due titoli dei Mystifier, compone una validissima alternativa alle celebri uscite firmate in gioventù da Sarcofago e Sepultura. Sarò di parte, ma questa roba era un vero tritacarne. (Marco Belardi)

3 commenti

  • Pateticamente conservo ancora (ma non oso più indossare) la maglietta verde-oro del Brasile con la scritta Sepultura dietro, bei tempi !

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  • Premesso che quando ho ricevuto l’email di allerta ho pigiato su “mi piace” senza avere nemmeno letto: con il Belardi che scrive sul Brasile anni 80 non posso che essere d’accordo e non mi pongo neanche il problema di essere oggettivo. Il Brasile spaccava più della Germania e nei negozi di dischi questi nomi venivano pronunciati con un certo timore e circospezione, perché era roba pesantissima, veniva da lontano e faceva quasi paura. Quando arrivarono i norvegesi dieci anni più tardi, sinceramente, certe cose le avevamo già viste e provate …

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  • Ma i Ratos de porao? Tra l’ altro ancora in attività..

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