Avere vent’anni: CRADLE OF FILTH – Dusk… And Her Embrace

cradle of filth - dusk and her embrace

È particolarmente difficile parlare di Dusk and Her Embrace a vent’anni di distanza perché nel frattempo è cambiata totalmente la percezione del disco. Quantomeno per quanto mi riguarda. All’epoca avevo quindici anni e un retroterra culturale profondamente intriso da un’immaginario libresco gotico-vittoriano, partito da piccolino con i consigli letterari degli speciali di Dylan Dog e poi proseguito senza freni grazie agli scassatissimi tascabili economici della Newton & Compton, sempre sia lodata. Nottate interminabili passate su romanzi dell’orrore, antologie di racconti di fantasmi e opere omnie strizzate in pochi volumi per risparmiare carta, quella carta il cui odore peraltro ricordava in maniera inquietantemente involontaria quello del marciume spesso evocato dalle atmosfere di quelle opere. Un ragazzino con la fantasia spiccata ha bisogno di mondi immaginari in cui immergersi per distaccarsi dalla realtà; e i miei mondi erano fatti di sinistre dimore in brughiere coperte di nebbia, e di infiniti monologhi di personaggi che, parlando in prima persona, descrivevano le loro lunghe passeggiate in un lungo e opprimente climax di tensione che poi, inevitabilmente, finiva con l’apparizione di una larva evanescente o con qualche spaventoso fenomeno paranormale. Non credo sia per queste letture che ho poi cominciato ad ascoltare metal; più che altro, penso che entrambe le cose fossero e siano sintomi di mie fascinazioni radicate o innate.

Dunque il motivo per cui all’epoca impazzii totalmente per Dusk and Her Embrace non è solo musicale; per me era il disco che più si avvicinava a quelle atmosfere, e inoltre era suonato e prodotto in un modo tale da renderlo unico rispetto a qualsiasi altra cosa avessi mai ascoltato prima. Conseguenza innanzitutto della provenienza britannica, che rendeva l’approccio al black metal molto differente rispetto agli scandinavi e ai greci, nonché per ovvi motivi più aderente all’immaginario della letteratura gotica. duskandherembrace-coffin-modelMa il disco mantiene una irripetibile peculiarità anche all’interno della stessa discografia dei Cradle of Filth; e basti pensare ai precedenti Principle of Evil e Vempire e al successivo Cruelty and the Beast per rendersene immediatamente conto. In realtà, non c’è effettivamente mai stato nulla che somigliasse a Dusk and Her Embrace. Anche coloro che in passato hanno cercato di copiare i COF per tentare di racimolare qualche briciola del loro successo si sono concentrati più che altro sui dischi precedenti, che di sicuro erano molto meno personali di questo. Sarà stata anche la prestazione vocale di Dani, qui su toni talmente acuti ed esagerati da averne probabilmente compromesso l’ugola per sempre, tanto che neanche proverà mai più a cantare a questo modo. Sarà stato il totale disprezzo di qualsiasi regola di forma-canzone, che porta la struttura dei vari pezzi a essere perlopiù narrativa, senza però neanche mai seguire i dettami del concept album o dell’opera corale. Sarà stato l’estremamente curato comparto lirico, che toccava esattamente le corde giuste di un ragazzino di quell’età affascinato da quelle tematiche – e che giocoforza capiva solo in minima parte. Comunque sia, Dusk and Her Embrace è talmente unico da non appartenere a nessun genere preciso. Anche quel tipo di timbro vocale non è riconducibile a nulla. A dimostrazione di ciò, è recentemente uscita la versione demo dell’album (a nome DAHE – The Original Sin), che avvicinandone la forma a quella di Vempire rende ancora più evidente come l’unicità della versione poi andata in stampa fosse dipendente anche dalle scelte di produzione.

Riascoltato nel 2016, è chiaro che le sensazioni sono un po’ diverse. Sarà anche colpa delle degenerazioni musicali dei COF del dopo-Midian, ma bisogna faticare per ritrovare quella purezza che traspariva vent’anni fa. All’epoca lo prendevo molto sul serio; ora giocoforza non ci riesco più, e il fatto di aver visto Dani e compagnia finire male, musicalmente e attitudinalmente parlando, c’entra solo in parte. Solo col tempo, infatti, sono riuscito a cogliere quelle sfumature vagamente buffonesche con cui, del resto, era inevitabile che dei soggetti del genere si avvicinassero alle suddette tematiche.

Se dunque vent’anni fa magari cercavo di non dare troppo peso a tutto il carrozzone di tettone discinte e pose plastiche con succo di ciliegia sui canini, poi la cosa è diventata inevitabile. E questo non sposta di una virgola il valore artistico immenso di Dusk and Her Embrace, che per quanto mi riguarda rimane uno dei dischi migliori di sempre usciti in un determinato ambito; semplicemente, però, ne ha smorzato un poco la poesia. Ma alla fine non è colpa dei Cradle of Filth; è colpa della troppo spiccata fantasia di un ragazzino e della sua capacità di caricare di significati qualcosa che non sarebbe dovuta essere presa così tanto sul serio. (barg)

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