Cruelty and the Beast, l’ultimo prima del terremoto
Questo è uno di quei dischi che ti dividono, perché, mentre una parte di te continuerà a preferirne altri della stessa band, in fin dei conti ti ritrovi ogni volta ad ammettere che nient’altro di quella intera discografia è più significativo, maturo e consigliabile a qualcuno per avvicinarsi al gruppo di cui si sta parlando. Cruelty and the Beast è il biglietto da visita che mi ha permesso di entrare nel mondo dei Cradle Of Filth e diventarne fan incallito almeno per qualche anno, e dopo che – in precedenza – avevo ascoltato solamente Malice Through The Looking Glass – fu anche l’imperante ordine di acquistarne ogni pubblicazione passata. E di farlo più in fretta possibile.
Ricordo solo che le testate ne parlavano a ripetizione, e che le foto di questa band inglese che si conciava da vampiri catturarono la mia curiosità. Ma l’effetto maggiore arrivò con la copertina di Cruelty and the Beast: il tema della contessa Bathory, ritratta in copertina mentre era impegnata nella difficoltosa lavorazione del buristo, lo conoscevo a grandi linee; e fu uno di quegli acquisti a scatola chiusa a cui ti avvicini con un grosso punto interrogativo dipinto al posto dello sguardo. Poi, il fatto di conoscere solo Malice Through The Looking Glass, anzi proprio quella, mi aiutò a giudicarlo senza il pregiudizio di chi proviene dalle loro release precedenti, trovandosi costretto a fare paragoni. Questi ultimi, semmai, occorrerà farli in futuro poiché, incluso il buonissimo Midian, in nessun modo ed anche in tempi di celebrità (Nymphetamine e Thornography) la band di Dani Filth riuscirà ad esprimersi ancora su questi livelli. Anzi, per tornare ad abbracciare album decenti servirà una lunga attesa, ma non è di questo che parlerò oggi.
Cruelty and the Beast è l’ultimo disco della band prima del terremoto che ne compromise la stabilità, ossia la fuoriuscita del fuoriclasse della batteria Nicholas Barker unita alla perdita, in contemporanea, della personalità di cui potevano giovare grazie all’apporto dato dai due chitarristi Stuart Antsis e – soprattutto – Gian Piras. E’ anche il primo dopo la dipartita di Damien Gregori, un nome minore come lo Stian Aarstad dei Dimmu Borgir che, dopo le prove da poco offerte, uno come Dani avrebbe solo dovuto sperare di tenere con sé ancora per un po’. Insomma, in particolar modo Barker fu la seconda perdita di lusso dopo il Paul Allender di The Principle Of Evil Made Flesh che poi sarebbe tornato dietro alla chitarra, anche se in sostanza la band era ancora quella di Dusk And Her Embrace, solo rivoluzionata sul piano stilistico, dei suoni e delle intenzioni.
Ed è un disco bellissimo, anche se una parte di me continua a ripetere che è nettamente inferiore al suo predecessore in cui l’oscurità la faceva davvero da padrona, e perfino all’acerbo quanto ispirato debut. Per non parlare dell’EP, Vempire, anche solo per quel capolavoro inarrivabile di Queen Of Winter, Throned. A fare la differenza qua dentro è la complessità dei brani, molti dei quali strutturati come delle mini suite che sputano in faccia alla forma canzone e si evolvono rapidamente, anche nel volgere di pochi minuti eccezion fatta per la realmente lunga – e ottima – Bathory Aria. Di lineare c’è davvero poco, forse Desire in Violent Overture – che mette a nudo tutti i difetti del disco, ovvero un mixaggio della batteria scarsamente a suo agio nelle parti veloci, e soluzioni tastieristiche in cui Les Smith – poi negli Anathema – dimostra di poter spadroneggiare solo ed esclusivamente quando è alle prese con del materiale strettamente classico. La mutazione passa anche per le chitarre, le vere padrone del sound che celebrò i Cradle Of Filth nel 1998: abbandonata quasi nella totalità ogni reminiscenza black metal su cui si erano poggiate in passato cose come Ebony Dressed For Sunset o Funeral In Carpathia, queste ultime giocano su di un continuo alternarsi fra richiami heavy metal e in minor quantità thrash, richiamando nel primo caso e più di una volta gli Iron Maiden – marchio di album futuri come Godspeed On The Devil’s Thunder – e nel secondo uno stile a cavallo fra certi passaggi del debut album, messi a lucido per l’occasione, e le chitarre di The Manticore & Other Horrors. Il tutto fatto cento meglio, grazie ad un’alchimia impeccabile fra due musicisti che presto avrebbero abbandonato la nave.
Poi c’è Dani, che urla meno anzi recita, recita e poi recita ancora dando luogo ad una delle sue interpretazioni più sentite, e sposando ottimamente lo stile filmico dell’album; anche se è esattamente da qui che la sua prestazione vocale verrà messa in croce dai fan per la prima volta. E i pezzi ci sono, e se Cruelty Brought Thee Orchids è la canzone perfetta per presentarli a chi ne è all’oscuro, The Twisted Nails Of Faith e la conclusiva Lustmord And Wargasm contribuiscono a tenere alta l’asticella dell’aggressività nonostante i blastbeat, e altre caratteristiche già date per acquisite, fossero quasi del tutto scomparsi dai radar. E poi ci sono le voci femminili, qui un perfetto punto d’incontro fra una vocalist da discoteca techno/trance che non capisce più che cazzo sta dicendo in preda a cosa le è caduto nel bicchiere, e un film porno tedesco dove Lei adopera i guanti in pelle per maltrattare Lui, con in sfondo una Varsavia appena distrutta dai bombardamenti.
Disco di cui sono finito per ammirare pure i difetti, chiamandoli col tempo “caratteristiche”, “connotati” o come altro preferite. La maturità dei Cradle Of Filth, ma anche l’inizio di una parabola discendente che però, ancora, non si percepiva affatto. A tal punto da domandarsi se il punto più alto non sia forse proprio questo. (Marco Belardi)
Anche per me quest’album è stato quello d’introduzione ai Cradle. Mi ricordo, che me ne fece una copia in cassetta un mio amico. All’epoca non avevo molti ascolti metal alle spalle e i Cradle mi sembravano davvero, una cosa oscura e malvagia. Che se penso a cosa ho sentito anni dopo.. Beata gioventù. Con il senno di poi e dopo che li ho approfonditi, anche per me non è il loro album migliore. Ma mi fomentava di brutto ed è effettivamente un discone. Anche se non lo ascolto da molto, mi rendo conto che ci sono più affezionato, di quello che penso.
Con quante darkettone che mi volevo fare, ho attaccato bottone grazie a quest’album. Concordo totalmente che non si percepiva affatto, che fosse l’inizio di una parabola discendente mostruosa. I Cradle erano diversi dai lavori precedenti, ma non era assolutamente un diverso negativo. Thirteen autumns and a widow fantastica. Come ha detto Trainspotting nell’altra recensione, già che apri con un pezzo del genere..
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Gran disco, ancora più bello nella versione remixata e rimasterizzata uscita di recente!
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