Conosci la morte per goezia: USURPER, IMPRECATION E MYSTIFIER
Davvero difficile non voler bene agli USURPER, una di quelle band per cui la storia della musica inizia con Morbid Tales e finisce con Emperor’s Return. Ne abbiamo parlato di recente a proposito del ventennale di Skeletal Season, che è forse il loro disco migliore e che mi sono riascoltato per l’occasione. Ma non è solo in virtù di tale improbo confronto che Lords of the Permafrost mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca.
Da Cryptobeast sono passati quattordici anni, il gruppo si è sciolto e poi riformato con un bassista nuovo e l’aria è quella rilassata della reunion estemporanea, tanto per farsi qualche festival in giro dove sbronzarsi a merda e insidiare qualche chiattona. Che va benissimo, chiaro, ma l’album non è davvero nulla di che, con una registrazione moscia che castra pure quei frangenti blackettoni (Cemetery Wolf, Warlock Moon) dove qualche segno di, ehm, vita in più c’è. Sia chiaro, quando si tratta di riciclare riff dei Celtic Frost (con tanto di urgh! al punto giusto) io non potrò certo mai trovarmi a disagio, un paio di pezzi che fanno muovere la capoccia non mancano (Beyond the Walls of Ice) e il dischetto scorre pure bene ma, giunti alla fine, non viene troppa voglia di rimetterlo su, sebbene duri poco più di trentacinque minuti. Dopo un così lungo silenzio, mi aspettavo qualcosa di più.
Forti di uno dei moniker migliori della storia, gli IMPRECATION sono esponenti di quel particolare filone del death metal americano – oscuro, blasfemo e pieno di suggestioni doom – che ha nei sempiterni Incantation gli interpreti principali. Un filone che, dai Dead Congregation in poi, ha tirato fuori negli ultimi anni un numero impressionante di epigoni, tanto da innescare tardive rivalutazioni di band che sembravano dimenticate come, appunto, questa formazione texana, che si era sciolta nel 1998 dopo aver rilasciato solo una compilation, Theurgia Goetia Summa, contenente i brani delle due demo e dell’unico ep rilasciati fino a quel momento. Ma era l’epoca d’oro del death svedese e del black evoluto, quindi, salvo qualche raro aficionado, non se la filò nessuno. Il gruppo si riforma nel 2009 con due soli membri originali – batterista e cantante – e il primo lp in ventidue anni, il notevolissimo Satanae Tenebris Infinita (grandi latinisti pure loro), esce solo nel 2013. I tempi nel frattempo sono cambiati e un minimo di riconoscimento arriva.
Il secondo full Damnatio Ad Bestias, pur gradevole, non regge il confronto con il predecessore. I suoni e gli arrangiamenti si sono fatti più puliti, forse in modo eccessivo, tanto da smorzare pure l’effetto orrorifico delle tastiere. Non si sente abbastanza Satana, insomma, come suoliamo dire da queste parti. Sono venuti a mancare quegli sbrocchi black metal che, a tratti, avevano reso Satanae Tenebris Infinita irresistibile. Troppi assoli. Troppi mid-tempo. Prendete una Beasts of the Infernal Void, con quello stacco melodico, per capire cosa intendo. Il pezzo è pure carino, per carità. Il problema non è quello che viene suonato ma come viene suonato. C’entreranno gli input dei ragazzi nuovi, chissà, ma un maggiore coefficiente di ignoranza sarebbe stato salutare.
E da un lungo silenzio riemergono anche i MYSTIFIER, formazione di culto dell’underground estremo sudamericano dei primi anni ’90 che, dopo due classici assoluti come Wicca e Goetia, usciti nel ’92 e nel ’93, scivolò con il terzo disco, dal titolo wertmulleriano The World Is So Good That Who Made It Doesn’t Live Here, la classica sperimentazione troppo svaccata che a metà decennio mandò in malora decine di band. Un nuovo album, Profanus, che confesso di non avere mai ascoltato, arriva solo nel 2001. Seguono altri 18 anni di pausa discografica dalla quale i brasiliani emergono solo oggi con questo Protogoni Mavri Magiki Dynasteia, preceduto da un tour che ha toccato anche la mia città e mi sono, ahimè, perso per cause di forza maggiore. Della line-up originale è rimasto il solo chitarrista Beelzebubth ma, in questo caso, l’innesto di carne fresca non ha snaturato troppo la filosofia originaria, al netto di suoni più nitidi e pezzi strutturati in maniera più complessa ed eclettica.
L’accostamento più immediato è quello con il black metal di scuola greca, Rotting Christ in primis. Parlare di influenza diretta potrebbe essere forzato (la genesi delle due band è più o meno contemporanea, per quanto i Mystifier abbiano partecipato a un tributo al gruppo ellenico) ma le atmosfere torride e inquietanti, il gioco di alternanza tra cavalcate in doppia cassa e lunghe parentesi rallentate sono accostabili ai colleghi mediterranei sotto molteplici punti di vista. Colpisce in particolare come i brasiliani siano, in qualche modo, giunti a uno sbocco evolutivo non troppo distante da quello delle ultime produzioni di Sakis e compagni, con brani che prendono sovente la forma di cupe invocazioni ritualistiche, in coerenza con quel sostrato occultistico, elaborato e con pretese pure piuttosto serie, che i Mystifier hanno portato avanti sin dagli esordi. Il risultato è suggestivo e convincente anche nei momenti più incongrui (come il giro blues che fa da riff portante a Thanatopraxy). E Chiesa dei bambini molestati è decisamente il titolo dell’anno. (Ciccio Russo)
Ottimo album per i mitici Mystifier!
L’innesto di Diego DoUrden è stato provvidenziale.
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