Que bonito es un entierro: si sono sciolti gli AGALLOCH

agalloch

Dalla pagina facebook del gruppo:

Following 20 years, 5 full length albums, many tours around the world, and numerous other recordings, John Haughm and the rest of the band (Don Anderson, Jason Walton, and Aesop Dekker) have parted ways. What the future holds for the separate parties remains undetermined. We collectively thank all of our fans across the world. There are also way too many other people to thank who made this band possible. You know who you are.

E insomma, la vita è una puttana. Ho adorato, come inevitabile, i primi tre dischi degli Agalloch, colonna sonora di tanti simposi alla birra del Tuodì sui destini del mondo con Roberto quando eravamo ancora coinquilini. Marrow of the Spirit non mi era piaciuto per niente. Non ne avevo capito il senso e ancora oggi è difficile scacciare l’impressione, magari sbagliata, di un tentativo di andare dietro ai rigurgiti burzumiani di quella moda depressive che cinque o sei anni fa era sì creativamente moribonda ma, nei numeri, ancora ben viva. Gli Agalloch dovevano essere leaders not followers, che diamine. The Serpent & the Sphere non sarà stato The Mantle ma mi aveva riconciliato con la band di Portland, che quantomeno era tornata a fare quello che sapeva fare meglio. Ok, era un disco di routine ma se si fossero adagiati su quella routine mica mi sarei lamentato. I primi tre album erano già sufficienti a consegnare John Haughm e compagni alla storia recente del genere. Se di genere si può parlare, se non in riferimento a loro stessi. Il motivo per cui noi trentenni siamo usciti pazzi per gli Agalloch e i ventenni li hanno eletti a loro totem esistenziale come facevamo noi da ragazzi con, per dire, i Katatonia e i My Dying Bride è che partivano da riferimenti riconoscibilissimi per chi era cresciuto con il gothic/doom degli anni ’90 e, nondimeno, erano riusciti a creare una miscela talmente personale da diventare canone per decine di imitatori.

La ragione principale per cui lo scioglimento degli Agalloch è una iattura per l’intera scena è che sono stati tra i pochissimi gruppi nati negli ultimi vent’anni a costruirsi un seguito e una credibilità tali da poter sfidare nei cartelloni dei festival le vecchie glorie anni ’80 e ’90, che prima o poi in pensione dovranno andare. Da questo punto di vista (ci abbiamo riflettuto più volte), la situazione è deprimente sia sul fronte mainstream che su quello relativamente underground (di paragonabile agli Agalloch, nello stesso circuito, mi vengono in mente solo gli Alcest, che sono però figli dei loro tempi, imbevuti come sono di shoegaze). Ci piaccia o no ammetterlo, ad aver mantenuto vivo, in termini di pubblico e rilevanza, l’heavy metal dopo il 2000 è stato l’abbattimento dei confini stilistici con post-hardcore e post-rock, che ha aperto il nostro giro a un’udienza che prima se ne teneva lontana, a volte con sprezzo. Pensate all’infatuazione per il black metal di tanti ascoltatori di estrazione indie. Gli Agalloch svettavano sulle homepage di tutti i siti alla moda pur conservando l’eredità di ciò che era stato e stava imparando a rivivere. Per questo ci mancheranno così tanto. (Ciccio Russo)

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