Dieci dischi per gli anni dieci: Stefano Greco

In retrospettiva gli anni ’10, oltre ad avere un buon numero di ottimi dischi, hanno avuto anche diversi grandissimi gruppi, alcuni fra i quali hanno definito in maniera ampia tutte le mie fisse del decennio. Per alcune delle band citate (almeno le prime quattro della mia lista) è abbastanza difficile scegliere in maniera inequivocabile quale sia davvero il disco migliore; la scelta (per loro come per tutti gli altri elencati), oltre ai soliti sentimentalismi, è stata dettata dall’unico criterio che alla fine reputo davvero indicativo: il numero di ascolti. Quindi alla fine la selezione qui sotto comprende gli album che credo di avere ascoltato di più; certo, è devastante dover lasciare fuori cose come High On Fire, Mogwai, Voivod, White Hills, Doomraiser, Arctic Monkeys, l’insperato 13 o The Terror dei Flaming Lips, ma le regole del gioco sono spietate e quindi alla fine la lista è questa qui.
BLOOD CEREMONY – Living with the Ancients (2011)
Con questi su ogni album si casca bene. Vado con Living with the Ancients in quanto quello per me più rivelatorio, emblema massimo dell’ardore per tutto l’occultismo da salotto che avrebbe monopolizzato i mei ascolti per vari anni e che ha portato anche i miei compagni di merende ad affibbiarmi l’ottimo titolo di “stregone fumogeno” (onorificenza della quale vado, ovviamente, piuttosto fiero). Una tracklist disumana e un concerto epico (quelli a seguire non da meno) ne hanno fatto il primo nome che mi è venuto in mente quando è stato il momento di mettere giù questi dieci titoli.
UNCLE ACID & THE DEADBEATS – Blood Lust (2011)
“Idem con patate” come amava dire la mia maestra delle elementari. Lo stesso quasi identico discorso fatto per il gruppo di sopra vale anche per questa loro controparte inglese. Oltre alla band di Alia O’Brien sono gli Uncle Acid a rappresentare il vertice qualitativo assoluto del doom marca Rise Above del periodo in questione. Anche qui difficile scegliere un titolo piuttosto che un altro, la scelta cade su Blood Lust non certo perché sia davvero superiore ma soprattutto perché degli altri si era parlato in maniera abbastanza approfondita, mentre di questo no. Per alcuni versi un po’ più semplice e rozzo, ha però una sequenza incredibile di inni svitacapoccia. Sogno ad occhi aperti il giorno in cui ritornerò a perdere controllo e dignità nel cantare 13 Candles sotto a un palco.
CLUTCH – Earth Rocker (2013)
La tristezza è un sentimento bello e nobile, e la seconda parte della lista sarà in buona parte occupata alle amarezze che la vita ci sa offrire in maniera così copiosa. Però ogni tanto anche basta. Tra le cose che spero di non perdere mai c’è anche l’istinto indomabile/dovere morale che mi impone di girare la testa ogni volta che mi passa davanti una bella fica. Earth Rocker è il rock and roll poco cervello e tutto pisello. Quando il mio assopito italiano medio interiore urla “SCOPAREEE” trovo sempre i Clutch a darmi manforte. Il tempo di farsi un piantarello c’è sempre, quello per spaccare tutto un po’ meno. Carpe diem.
GOAT – World Music (2012)
Ogni tanto tocca cambiare aria, farsi prendere da cose diverse equivale anche un po’ a fuggire dai sé stessi e capire che siamo anche altro rispetto alle nostre certezze. Roba strana per anni strani. In senso assoluto il MIO gruppo del decennio.
ARCADE FIRE – The Suburbs (2010)
Il bello delle discussioni a sfondo musicale è che non portano assolutamente a nulla. Nessuna conclusione è realmente possibile, perché il punto resta inafferrabile e chi cerca di farne una questione scientifica è chiaramente un coglione, uno che non ha proprio capito come funziona. A tutti capita di imbattersi in dischi che sembrano parlarci in maniera esclusiva, provare a raccontarlo è un impossibile tentativo di razionalizzare un qualcosa di inafferrabile che fa appello a una nostra sensibilità specifica e non è semplicisticamente riconducibile al solo gusto. Ho affrontato l’argomento The Suburbs con un tizio con il quale in genere vado d’accordo, ma non c’è stato modo di convergere. Alla fine, dimostrando una comprensione della materia che alle volte mi sembra sfuggire, ha chiosato con un semplice “e vabbè ma alcune cose in qualche maniera toccano solo te in maniera precisa, il bello è quello”. E già, è vero, il bello è quello. The Suburbs racconta di ore sprecate, rumori nella conchiglia, bande di ragazzini che vivono ipotetiche guerre ideologiche e quel senso di smarrimento che ti assale quando tutte le mattine ti metti in fila per entrare e uscire dalla metro. Perché la nostra esistenza, piaccia o meno, è fatta anche di questo.
DEFTONES – Diamond Eyes (2010)
Capita spesso che l’impressione del momento non venga poi confermata dalla prova del tempo. Ardori momentanei tendono a finire ridimensionati con il passare degli anni. L’impressione all’uscita di Diamond Eyes fu che quello fosse il miglior album dei Deftones (solito cavallino escluso), e a distanza di dieci anni l’impressione non è cambiata, anzi il tempo ha contribuito a confermare quelle sensazioni. Proprio come White Pony dieci anni prima, ha funzionato da chiusura/apertura tra varie fasi di vita, accompagnandomi nel passaggio fra periodi differenti, con tutti i dovuti smarrimenti del caso.
RED FANG – Murder the Mountains (2011)
Qualche anno fa ho sviluppato un’ottima tradizione familiare: la “maschiata“. Si tratta di una settimana o poco più in cui io e mio figlio da soli ce ne andiamo in un posto di mare all’estero, e il cui programma in genere prevede: sport acquatici, gite/escursioni mirate, camera d’albergo in disordine, rutto libero e qualche ora in cui ognuno fa un po’ come gli pare (penniche pomeridiane, piscina, calcio e/o Spongebob alla tv, ping pong, biliardino, videogiochi ecc). Se vogliamo lo considero una sorta di “programma educativo” volto all’apprezzamento di quel piacere supremo che è l’avere un po’ di tempo senza donne tra le palle. In una di queste occasioni eravamo in Portogallo e controllando i concerti vedo una data dei Red Fang a Lisbona. Non solo i Red Fang mi piacciono parecchio ma non posso pensare ad un gruppo migliore per portare un ragazzino al suo primo “concerto rock”. Sono rumorosi ma hanno i ritornelli, sul palco hanno un bell’atteggiamento cazzone da festa e il pubblico ai loro concerti è sempre molto esagitato ma in maniera benevola e per nulla minacciosa. Quando, tutto contento, gli ho comunicato il programma, la sua eccitazione era sotto lo zero e ad un certo punto mi ha addirittura proposto che io andassi da solo e lui se ne restasse in albergo da solo a giocare alla Nintendo. Ovviamente non ho voluto sentire ragioni e il concerto è divenuto anche la scusa anche per una gita a Lisbona. Quindi, dopo una giornata passata a visitare la Torre di Belem e alcuni degli altri siti più noti della città, verso sera, dopo aver mangiato bacalhau (io) e gli immancabili pollo e patatine fritte (lui), siamo andati alla ricerca di questo locale in zona porto. Quelli che erano i suoi timori e resistenze iniziali si sono dissolti circa 30 secondi dopo aver messo piede nella sala. La band stava già suonando e il pubblico faceva casino. Abbiamo dato un’occhiata al merch (dove più tardi avremmo prese delle ottime magliette del gruppo raffiguranti degli scimmioni), al bar abbiamo ordinato rispettivamente birra Super Bock e Fanta e poi siamo saliti sulla balconata, da dove lui (ma anche io, per una volta) ha potuto vedere benissimo sia quello che succedeva sul palco che tutto il tipico marasma in platea fatto di pogo, stage diving ecc. I tappi per le orecchie che gli avevo dato come precauzione gli davano fastidio e dopo un po’ gli ho detto che poteva buttarli di sotto. Finito il concerto siamo andati a farci un paio di foto sotto al palco, dove in molti gli hanno dato il cinque e fatto un sacco di domande e “complimenti” per questo suo primo concerto. È stato talmente un successo che poi ha mandato le foto nella chat dei suoi compagni di classe. In macchina al ritorno si è abbioccato esausto dopo cinque minuti. Ma se lui era contento io lo ero di più. È stata una serata meravigliosa e per il resto della vacanza abbiamo sentito solo i Red Fang.
AFGHAN WHIGS – Do to the Beast (2014)
Nel corso di dieci anni i periodi buoni si alternano a quelli meno buoni, e Greg Dulli ha un tempismo invidiabile per essere presente in quelli peggiori . Perfetto compendio per una sessione di autoflagellazione.
LANA DEL REY – Honeymoon (2015)
Va a braccetto con il precedente, ma totalmente inaspettato. Nella presa a male generale resta il più fortunato degli incidenti di percorso: mai avrei pensato che un album scaricato quasi per caso e completamente al di fuori dei miei percorsi abituali sarebbe divenuto un culto personale di tale livello. La signorina Lizzy Grant in arte Lana Del Rey è la prova di come la natura sia profondamente ingiusta nell’elargire qualità e talenti. Lei è bella, scrive canzoni meravigliose e canta come una dea, e tutti noi al confronto siamo solo delle merde. Honeymoon sembra una raccolta di canzoni d’amore, ma in realtà è come andare a un funerale, e il naufragar m’è dolce in questo mare.
DAX RIGGS – Say Goodnight to the World (2010)
Questo tizio e il suo album di dieci anni fa li ho scoperti solo lo scorso anno grazie ai mirabolanti suggerimenti di Spotify. Nonostante abbia avuto relativamente poco tempo per farlo sedimentare, ho deciso che salta la fila ed entra direttamente nel privé dedicato ai VIP. Alcune cose ci piacciono perché ci comunicano qualcosa a livello emozionale ed epidermico in maniera incosciente, altre perché sembrano riferirsi a noi in maniera diretta, altre ancora ci affascinano in quanto parlano nella stessa maniera in cui vorremmo parlare noi. Say Goodnight to the World cade in questa terza categoria, e se fossi un artista di qualsiasi tipo vorrei dire e raccontare le stesse cose che dice Dax Riggs in questo disco. Se fossi un pittore vorrei raffigurare la luce della luna riflessa sulla lingua umida di un’amante o dipingere un tizio che nel giorno del giudizio esce dalla propria tomba cavalcando dei vermi. Se fossi uno scrittore vorrei parlare dello straniero che viaggia solitario sul quel treno o raccontare di Satana che si aggira silenzioso nei sotterranei del Pentagono. Se fossi un musicista vorrei scrivere esattamente le sue canzoni. (Stefano Greco)
Dax Riggs era il cantante degli Acid Bath!
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