Il carbone nella calza: 5 dischi del 2020 da dimenticare

A leggere i recuperoni e le poll dei miei esimi colleghi mi verrebbe da pensare che non mi sia reso conto che quest’anno di roba formidabile ne sia uscita assai. Può darsi. L’anno prossimo mi incollo al Griffar ed a Belardi e non me ne perdo una, giuro. Magari quest’anno mi sono solo demoralizzato per qualche uscita più sottotono di alcuni dei miei beniamini. E dire che sono una buona forchetta, eh, a me è sinceramente piaciuto pure Telemark, inclusa la cover di Lenny Kravitz. Chiudiamo questo anno fenomenale, dunque, ricordando cinque band/cantanti che troveranno il carbone nella calza della Befana. Non di tutte delusioni parliamo, perché in alcuni casi le aspettative erano basse o sottozero. Però veder associare certi nomi a certe sconcezze fa sempre effetto. Calderone eterogeneo quindi, e personalissimo. Non includo alla lista Enslaved e Motorpsycho non solo per fedeltà alla Linea e perché già comunque trattati ed elogiati qui da noi, ma anche perché a dire il vero sono di quelli che portano sempre i tre punti a casa con un gol di rapina al novantesimo, anche se hanno vivacchiato durante tutta la partita.

Iniziamo questa mesta parata con un feticcio personale, i greci Hail Spirit Noir, che con Eden In Reverse hanno deciso di mandare al macero tutte le buone idee avute fino ad ora per tirare fuori 42 minuti di lagna kraut prog triste (evviva il kraut prog, in principio). Cristo, il vocoder no. E manco certe linee vocali, che non siete mica il Banco del Mutuo Soccorso. Ho capito che, dopo tre dischi, basta aspettarsi Jim Morrison col face painting, però dai. il black metal (in passato, più nell’intenzionalità che nell’ortodossia del suono) non c’è più. Il metal nemmeno. Noia invece a pacchi. Ho capito che giocano più sul sicuro gli Orannsi Pazuzu che fanno il cazzo che gli pare ma almeno sopra mettono lo scream così più o meno ci sentiamo tutti a casa, però se vuoi fare un disco di voci pulite devi avere canzoni belle e saperle cantare. Cosa che tra l’altro in passato con Lost in Satan’s Charm e Satan is Time ai nostri tessalonicesi era riuscito benissimo. Quasi quasi gli scrivo una lettera anche io, consigliandogli di scrivere più canzoni con “Satan” nel titolo.

Ok, prima di parlare di Thomas Gabriel Warrior mi sciacquo la bocca, e prima di scriverne mi igienizzo le mani. Lui può permettersi tutto perché è solo un pelino meno fondamentale dei Black Sabbath, per cui potrebbe venirsene fuori con un duetto satan-natalizio con Katy Perry, altra nota emissaria di Lucifero, e noi saremmo insinceri solo per metà a riconoscerne rilevanza e rivoluzionarietà. Però ecco, da uno che ha rifiutato di intascare cento testoni per rimettere su palco i Celtic Frost continuavo ad aspettarmi integrità artistica sempre e comunque. Poi vero, piuttosto che pensarlo disperato e senza soldi per le bollette, preferisco vederlo fare il marpione sul palco con Mia Wallace facendo le cover di sé stesso (ovvero degli Hellhammer). Nel 2020 ha dato alla luce coi Triptykon l’album live Requiem, registrato nel 2019 al Roadburn, composto ancora da due cover di sé stesso (i Celtic Frost stavolta, ma occhio, una delle due, Winter, è solo archi) e una lunga suite con orchestra composta per l’occasione che ricomporrebbe un immaginifico progetto di trittico o messa, appunto, da Requiem. E no, non è quello che speravo. Non si può dire sia brutta, questa Grave Eternal , ma nemmeno che sia qualcosa di memorabile. Anzi, te la scordi come niente appena finita. L’attesa per il vero nuovo disco dei Triptykon comincia a farsi scomposta.

Chi, ben più di Fischer, ha un rapporto col suo passato che è più materia da psicanalisi che da critica musicale è Billy Corgan, che fino a poco fa girava con una formazione degli Smashing Pumpkins nuova di zecca, con un moro alla batteria, una donna al basso e uno con occhi vagamente orientali alla chitarra. Ora si è ripreso Iha e pure Chamberlain, ma credo in qualità di spacciatore, dato che tira fuori ormai porcate synth pop come l’ultimo, mirabolante CYR. Roba indisponente che mette una tristezza infinita, ma non quella lì. Vertice surreale il titolo di Anno Satana, che se è latino si ascrive alla illustre tradizione di titoli ad minchiam, mentre se è italiano, per lo meno nelle intenzioni, è quello di un recente immigrato non ancora, giustamente, a suo agio con l’uso delle preposizioni. Il pezzo fa schifo, comunque. Come tutto il resto del disco. Credo, perché comunque non sono riuscito ad arrivare alla fine. Impossibile credere che sia lo stesso autore e interprete di una Thru the Eyes of Ruby. Di questo passo andrà a finire che un giorno ci ricorderemo di lui come di uno che “ha fatto anche cose buone”. Per quanto ancora abuserai della nostra pazienza, Billy?

Con ulteriore scarto centripeto rispetto a ciò che sta maggiormente a cuore ai numerosi lettori di questo blog, a parte la gnugna, troviamo un altro reduce dei ’90 che ha deciso, per partito preso, di fare schifo come scelta consapevole e politica in questi miseri tempi di decadenza morale. Dei primi sei dischi solisti di Mark Lanegan non si butta via nemmeno una nota. Dei secondi sei se ne riesce invece a malapena a selezionare le canzoni per farne uno buono per davvero. Ma stavolta s’è esagerato. E dire che a lui basterebbe davvero pochissimo, un giro blues, un arrangiamento scuro e minimale, e noi saremmo contentissimi. Straight Songs of Sorrow è appunto il dodicesimo album, ultimo della serie prolificissima da quando il nostro cowboy triste ha scoperto i synth (a riecchice…) ed i New Order. Paradossale che nel 2020 il disco à la Lanegan l’ha fatto invece uscire Phil Anselmo. Di questo SSS non ho molto da dire, tranne che il mio beniamino canta più sguaiato del solito e penso davvero che per la prima volta non sia riuscito a piazzare nemmeno un pezzo di classe sulla quindicina che ha snocciolato. Nemmeno uno. Onestamente, continuerò ad andare a vederlo dal vivo, peste nera permettendo, perché farà magari qualche cover dei Joy Division e sarò ubriaco a sufficienza da scoppiare in lacrime matte e disperatissime. Ma anche la scaletta dal vivo comincia ormai anche ad essere un blando ricordo del vecchio repertorio.

Chiudo questa triste carrellata dandovi la misura della mia etica giornalistica parlandovi di un disco che non ho ascoltato e che non ho alcuna intenzione di ascoltare. A ventun anni dall’ignominioso predecessore è uscito S&M2 dei Metallica di cui vi ha già parlato il Barg quando se l’è andato a vedere al cinema, con un giudizio fin troppo equilibrato a causa del menscevismo che ormai lo contraddistingue. Il motivo per cui ci torno su, senza cognizione di causa alcuna, è che ancora una volta si apre con l’Estasi dell’Oro di Ennio Morricone. Ora basta, amici miei: essere stati maestri negli ’80 e ricchi pagliacci da quel momento in poi non li giustifica più ad essere parassiti senza dignità ancora oggi. E non mi interessa che in quarant’anni non abbiano trovato nulla di meglio per aprire i loro show. Viale Trastevere non è il Sunset Boulevard ed il loro è un caso di appropriazione culturale imperialista e tracotante dei più palesi ed odiosi. Non so se avete visto il bellissimo documentario Sad Hill Unhearted su quei tre sociopatici spagnoli che hanno sacrificato amicizie ed affetti per ricostruire il cimitero de Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo nel tempo libero. Tra le interviste a quel manipolo di artigiani che hanno contribuito fattivamente ai film di Leone, c’è insistentemente quella faccia da schiaffi di Hetfield che gigioneggia come se Morricone fosse lui. Anzi, se non sbaglio il documentario si apre proprio coi Metallica, capito? Non con un’intervista a Leone con l’aria incazzata, o Eastwood con l’aria… vabbè, quell’aria lì. No, Hetfield. Ma andate al diavolo. Nell’anno sciagurato che ci ha portato via anche il grande Maestro romano, ecco, facessero finalmente il piacere di cambiare intro dei loro concerti con qualcosa di più appropriato alla loro statura.

Coraggio, 2021, fare di meglio è come segnare a porta vuota. (Lorenzo Centini)

 

4 commenti

  • Come non essere d’accordo sui metallica, praticamente si sono appropriati di un capolavoro….pure a me fa incazzare parecchio…sui motorpsycho ti capisco, li ho adorati da demoni box a let them eat cake, poi secondo me si sono persi per strada, erano l’unico gruppo a fondere in modo spettacolare suoni pesanti, basso motorheadiano, ambient-noise e melodie pop scandinave…oggi a volte mi sembrano un qualsiasi gruppo Stoner con la smania di strafare che hanno i diciottenni…boh…Enslaved pure non mi hanno entusiasmato….Oranssi Pazuzu a me sono piaciuti nonostante non ami le melodie troppo sghembe (in quel genere mi piacciono però molto gli Emptiness). Su Billy Corgan poco da dire, la sua voce per me è il migliore emetico di sempre, immagino che con gli anni siano diminuite le qualità ed aumentate a dismisura spocchia e autostima.

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  • ahahahaha Bonanza TOP
    mi hai spaccato

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  • Sono d’accordo su tutto. Solo di Lanegan… “Blues funeral” penso sia bellissimo, e anche “Gargoyle” lo ascolto volentieri, il resto una gran fatica, compreso (purtroppo l’ultimo). L’autobiografia invece è cruda, onesta e sincera, un bel libro di cui esiste anche la versione audio letta dal protagonista, se si riesce a comprendere la lingua (e piace il personaggio) vale la pena.

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  • il disco di Lanegan non ho avuto modo di sentirlo, ma d’altronde come dici te, la sua discografia ogni tanto sale sulle montagne russe, alternando cose ottime ad altre inascoltabili. Sugli Smashing, di solito sono abbastanza di bocca buona, visto che Oceania ed il successivo mi erano piaciuti parecchio, mentre Oh Shine non mi aveva detto nulla. Questo nuovo l’ho ascoltato in macchina il giorno di Natale mentre andavo da dei parenti fuori Roma, e non mi è sembrato male. Solo che non capisco questa follia di ficcarci dentro tutti quei brani, la gran parte dotati della stessa medesima atmosfera, e poi ti sei ripreso Iha e Chamberlain e sembra che utilizzi strumenti campionati…boh, spero che non sia vera la notizia che abbia intenzione di fare un Mellon Collie pt. 2

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