ENSLAVED – Utgard

È da un po’ che Utgard gira nei miei amplificatori e durante questo ascolto continuo ho avuto modo di ragionare su alcune cose riguardo gli Enslaved. Loro mi sono sempre piaciuti parecchio, e non ho mai fatto a meno di ribadirlo nelle tantissime recensioni che gli ho dedicato negli ultimi vent’anni, da Metal Shock a Metal Skunk: di fatto non esistono dischi degli Enslaved che non mi piacciano, e nel frattempo ho fatto anche in tempo a rivalutarne alcuni che consideravo giusto carini, o comunque minori. Per questo motivo li ho sempre considerati un gruppo di primissima fascia, diciamo così, uno dei portabandiera di un certo tipo di concepire l’approccio ad un certo tipo di musica nonché uno dei gruppi usciti meglio da quell’epoca d’oro del black metal norvegese della prima metà degli anni Novanta. Lo penso ancora, e a pensarci a freddo sono convintissimo di questi concetti. Ma ascoltare l’ennesimo loro disco, come dicevo, mi ha fatto pensare ad alcune cose.

Il fatto è che, ogni volta che voglio sentire un disco degli Enslaved, nella maggior parte dei casi ascolto Eld, Vikingligr Veldi o al limite Isa; è difficile che rimetta su Monumension, In Times o Ruun, per dirne tre a caso. Questo però non toglie che, quando riascolto uno qualsiasi dei loro album, non posso fare a meno di pensarne esclusivamente cose positive. Anche ora, che sto ascoltando Utgard per la trentesima volta, non mi pesa rimetterlo su dall’inizio, e non c’è assolutamente nulla che non vada nei suoi tre quarti d’ora di durata (a parte quel minutino elettronico scemo all’inizio di Urjotun). Ma già so che sarà difficile che mi venga voglia di riascoltarlo una volta finita di scrivere la recensione. Perché?

In primo luogo perché gli Enslaved sono diventati molto freddi. Non solo come immaginario, essendo uno dei gruppi che più di ogni altro riesce a rendere il gelido paesaggio norvegese: intendo dire che compongono e suonano in maniera fredda. Questo non è avvenuto ex abrupto, piuttosto è stato un processo lento e continuo che li ha portati, lentamente ma inesorabilmente, a diventare così come sono adesso. Ciò è probabilmente collegato al fatto che per certi versi sono diventati pericolosamente accostabili al progressive, il che non è un male in sé ma stona parecchio con alcune loro caratteristiche stilistiche. Ad esempio, avrete notato che Grutle Kjelsson non ha mai cambiato modo di cantare. Ha sempre lo screaming che aveva ai tempi di Frost. L’evoluzione degli Enslaved ha coinvolto ogni singolo atomo del gruppo, tranne che la sua voce. Col risultato che i pezzi degli Enslaved hanno sempre queste fratture stranianti tra parti in pulito e parti in screaming, e conseguentemente l’atmosfera che si riesce a creare viene interrotta bruscamente e spesso senza motivazione plausibile. Prendete Homebound, il pezzo migliore dell’album: se Grutle non ci fosse, o se quantomeno quest’ultimo si riuscisse ad adattare al mood, sarebbe stato meglio per tutti. Oppure, per citare la prima che mi viene in mente, Building with Fire da In Times, stesso discorso. Così come, allo stesso modo, certi pezzi sarebbero più compiuti se ci fosse solo Grutle a cantare.

Un altro elemento che parzialmente deriva dalla riflessione precedente è la grande verità che gli ultimi Enslaved sfiorano spessissimo il Sublime, ma lo raggiungono molto di rado. Questo, come dicevo, è collegato anche ai frequenti cambi di tempo e di tono all’interno dei pezzi, ma non solo: molto spesso hanno buonissimi spunti, ma non riescono a tenere il punto per troppo tempo, affannandosi a cambiare qualcosa, qualsiasi cosa, in maniera masochistica. Tutto questo ha come conseguenza primaria il fatto che, per l’appunto, quando ascolti uno dei loro ultimi album ti sembra tutto bellissimo ma poi difficilmente te ne ricordi un passaggio, e soprattutto difficilmente ti viene da riascoltarlo di nuovo a distanza di qualche tempo. Io ho recensito personalmente tutti i loro album dai tempi di Below the Lights (2003) ma faccio comunque fatica a distinguerli l’uno dall’altro, o anche solo a metterli in ordine cronologico. Converrete che non è tanto normale, considerando che mi sono piaciuti tutti.

Quindi, anche questa volta, stessa cosa: il disco è molto bello, raggiunge dei picchi elevati (specie nella suddetta Homebound e in Jettegryta) e, se vi piacciono gli ultimi Enslaved, andrete sul sicuro anche con questo. Penso sia troppo tardi per sperare che possano modificare i loro difetti, quindi prendiamoli per quello che sono, che comunque non è poco. (barg)

4 commenti

  • Finalmente un’osservazione sul cantato di Grutle, che anch’io mi stupisco di trovare tale e quale da vent’anni, anche quando la deriva pink-floydiana è definitivamente compiuta. Trovo che c’entri sempre meno, e aspetto il disco della svolta in cui andranno full-Opeth e abbandoneranno per sempre il growl-scream. Non è tanto la sua voce a dispiacermi, quanto il fatto che spesso si intreccia con quella pulita in maniera molto banale. La struttura strofa growl – ritornello pulito è vecchia ormai dai tempi di Projector dei Dark Tranquillity, è un peccato che una band così innovativa e sperimentale come gli Enslaved continui a usarla. Comunque Utgard altro ottimo disco, una band che non ha mai fatto due dischi identici e continua a non sbagliare quasi mai (tranne In Times che a me non ha detto granché).

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  • Lo scream glaciale di Kjelsson è un ancoraggio alle origini, una costante tenuta volutamente ferma per dare un senso di continuità alla loro contrastante variabilità. Una questione identitaria, a mio modo di vedere, alla quale non rinunceranno mai.
    Il disco è un capolavoro di sintesi e integrazione creativa, riesce a tenersi miracolosamente insieme, con una grandissima efficacia. Ti inchioda e ti stupisce volta per volta.
    Se poi volete ricordarvi i pezzi dopo mezzo ascolto virate su Gianni Togni e guardate il mondo da un oblò.
    P.S. il disco precedente a me continua a non piacere per nulla. Ma se è servito ad arrivare sin qui, ha un senso.

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  • caro Trainspotting, sono pienamente d’accordo con te, e grazie per questa disanima che ha messo a nudo una sensazione che mi ronzava in testa da tempo, anche se l’unico disco a cui torno è praticamente solo ELD. E’ praticamente vero…Tutto sempre molto bello, anche se “In Times” non è che mi avesse fatto impazzire chissà quanto, ma non ti spinge a ritornarci su. Cmq, questo nuovo ho iniziato a pasturarlo, e per il momento il commento è da pollice in su, vediamo quanto dura.

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  • Per conto io, tra tutti i gruppi che si son messi a fare prog (Katatonia, Opeth, Anathema, Elder, Mastodon etc…), sono gli unici ad avere un minimo di credibilità e a fare ancora di dischi ammirevoli. Gli altri mi fanno solo due palle tante.

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