Dieci dischi notevoli dell’anno scorso che ho recuperato durante la reclusione
Sotto molti punti di vista, in tutto ‘sto casino sono un privilegiato, anzi, vorrei che mi lasciassero in telelavoro fino alla pensione. Vivo praticamente in campagna, quindi se esco a farmi una passeggiata in mezzo alle pecore non vengo fermato dalle guardie. Ho abbastanza spazio da potermi isolare senza essere forzato a quel costante contatto col coniuge che, non appena saranno ripristinati i nostri diritti, causerà un’impennata di divorzi in tutta Europa. Ma, soprattutto, il mio lavoro non mi costringe alle estenuanti videoconferenze che stanno funestando la quotidianità di amici e conoscenti, così posso spararmi tutta la musica che voglio per ore e ore. Era forse dai tempi dell’università che non riuscivo a sentire tanta musica. Quindi vi beccate il pezzo che cerco di scrivere ogni anno ma, per motivi di tempo, non riesco mai manco a iniziare: il recuperone dei dischi notevoli dello scorso anno che sono riuscito ad ascoltare solo adesso. Belardi, ammira il mio dono della sintesi:
TOMB MOLD – Planetary Clairvoyance
Nella recente ondata di death metal americano revivalista, i Tomb Mold sono forse quelli che hanno goduto dell’hype maggiore dopo i Blood Incantation. Quando uscì il celebratissimo Manor of Infinite Forms, tutti ci uscirono pazzi ma io lo accolsi con una certa freddezza. Probabilmente il problema era del sottoscritto che aveva raggiunto il livello di saturazione perché, ascoltando questo Planetary Clairvoyance a mente più serena, è evidente che questa roba, a metà tra gli Incantation e i Death dell’epoca Spiritual Healing/Human, saranno pure in troppi a farla ma in pochi la fanno bene come i Tomb Mold. Del resto i canadesi, si sa, hanno sempre una marcia in più.
GATECREEPER – Deserted
E pure questo è considerato uno dei migliori dischi death del 2019. Boh. Scapocciare si scapoccia, per carità, ma la maggiore peculiarità che riesco a trovare nei Gatecreeper è che sono statunitensi ma suonano come europei. Classico tupa tupa ispirato alla scuola di Stoccolma (Grave, Dismember e così via), giusto un filino ripulito e modernizzato, cosa che non è necessariamente un pregio. C’entrerà la buona promozione garantita dalla Relapse, ma davvero non capisco cosa Deserted abbia di speciale per aver suscitato tanto entusiasmo. E mi è piaciuto, sia chiaro. Ci sarebbe da parlare pure di Odious Descent into Decay dei Cerebral Rot ma il Masticatore dice che la recensione è pronta il prossimo weekend. Lo dice da circa sei mesi.
FULL OF HELL – Weeping Choir
Restiamo in casa Relapse con qualcosa di decisamente più interessante: il quarto Lp dei Full Of Hell, prodotto, come il precedente, da Kurt Ballou, che a volte ha un po’ il vizio di far suonare le chitarre… Come la sua. Weeping Choir fa più male quando recupera la vecchia anima powerviolence (Aria of Jeweled Tears) mentre più canonici ibridi tra brutal e post-hc, come Thundering Hammers (gran titolo), convincono un po’ meno. Difficile, però, annoiarsi con un lavoro così variegato, che passa con disinvoltura da clangori industrial ad echi black metal, per quanto non sempre ispiratissimo. Sarei dovuto andarli a vedere a Stoccarda qualche settimana fa approfittando di una tragica trasferta familiare, poi sapete com’è andata. C’erano pure i Primitive Man di spalla, mannaggia.
IDLE HANDS – Mana
Ve lo ricordate il gothic metal? Quello romantico e sensibile, con le chitarre alla Katatonia e gli arpeggini, ispirato a Sisters of Mercy, Fields of the Nephilim e compagnia cavernosa? A quanto pare c’è qualcuno che vuole riportarlo in auge. Questo debutto degli americani Idle Hands è praticamente perfetto e, se fosse uscito vent’anni fa (magari con suoni un po’ meno grezzi), avrebbe fatto sdilinquire legioni di ragazzette fasciate di latex (slurp). Non mi convince giusto la voce, che sulle tonalità alte se la cava ma per il resto lascia un po’ a desiderare. Lo so che dopo i vent’anni certe corde emotive si perdono (per fortuna) ma, se vi piaceva quella roba, non potete perderveli.
STRIGOI – Abandon All Faith
Dopo i disciolti Vallenfyre (fico il primo, du’ palle gli altri due), Greg Mackintosh non ha perso il vizio e ha tirato su un altro progettino dedito a sonorità ben più estreme di quelle dei suoi Paradise Lost. Il disco è ben fatto ma è un po’ noioso: i momenti più interessanti alla fine sono quelli cadenzati (cioè alla Vallenfyre), il resto è l’ennesimo revival entombediano di cui non si sentiva proprio un enorme bisogno. Per chi si accontenta.
DIE CHOKING – IV
Dunque, questi sono molto bravi, hanno inciso uno dei migliori dischi grind che abbia sentito negli ultimi anni (a metà tra Nasum e ultimi Napalm con qualche azzeccato sbrocco industrialoide) ma si chiamano “MUORI SOFFOCATO” e questo loro primo Lp, dopo tre mini non monotematici, è un concept dedicato a questa forma di decesso con titoli da terapia intensiva come “SENZA POLMONI”, “VENTILATORE MECCANICO” e “IPERVENTILAZIONE CRONICA”. Considerato che l’album è di ottobre e loro sono americani di Philadelphia, possiamo concludere che i Die Choking portino una sfiga pazzesca. Da ascoltare, sì, ma con una mano saldamente sui coglioni.
NO ONE KNOWS WHAT THE DEAD THINK – st
A proposito di grind, ve li ricordate i Discordance Axis? Qua troviamo due loro ex membri su tre: Rob Marton e Jon Chang (alla batteria, al posto di Witte, ci sta il giapponese Kyosuke Nakano degli Abort Mastication), che riprendono un po’ il vecchio discorso. Un discorso che 25 anni fa era rivoluzionario ma oggi, giocoforza, lo è un po’ meno. Questi tizi hanno aperto la strada per buona parte del grindcore moderno, quindi pare brutto parlare in termini meno che entusiastici dei No One Knows What The Dead Think ma, come accade a molti ex innovatori, la genialità e stata rimpiazzata dalla cervelloticità, anche perché i pezzi sono un po’ più lunghi (oltre i due minuti, pensate). Se amavate i Discordance Axis, l’ascolto è comunque obbligatorio.
SORCERY – Necessary Excess of Violence
Swedish death vecchia scuola suonato come si deve. Sorprendenti i punti in comune con i Wombbath: pure questi vengono da una città piccola e fuori dal giro svedese grosso e avevano fatto un unico misconosciuto album negli anni ’90 per poi riformarsi nei ’10 del millennio successivo con uno o due membri originali e cacciare tre dischi in pochi anni. La solita zuppa ma cucinata bene.
THE WELL – Death and Consolation
Questo in realtà l’ho sentito tantissimo e mi sa che l’ho pure messo in playlist ma è uno di quegli album talmente classici che diventa quasi impossibile scriverci sopra qualcosa di acuto. Vi basti sapere che, a mio modesto parere, è il disco stoner dell’anno (scorso). Sempre garanzia di qualità la Riding Easy. Il disco stoner del 2020 invece – mi dice Enrico – sarebbe Refractions dei Lowrider. Ovviamente non lo recensirà mai, si capisce.
FRANK CARTER & THE RATTLESNAKES – End of Suffering
Se si ferma l’Inghilterra, si ferma tutto. Per questo accolgo con giubilo l’affermazione mainstream del nuovo progetto dell’ex cantante dei Gallows, che con questo terzo album, pur non tagliando del tutto con le radici punk, alleggerisce ulteriormente il suono e lo apre a suggestioni prese dalla tradizione new wave nazionale e grossomodo da tutto quello che ha fatto classifica ed è finito in rotazione nelle discoteche rock negli ultimi 20 anni, dagli Arctic Monkeys al trip hop, dai Placebo ai Nine Inch Nails. Ogni canzone di End of Suffering è un potenziale singolo, nonché una formidabile macchina del tempo verso tutta la musica non antifregna che quelli della mia generazione ascoltavano da pischelli. Ci voleva.
A breve una seconda puntata, se mi gira. Masticatore pezzo di merda. Enrico imboscato. (Ciccio Russo)
Tutto interessante, ma di un gruppo che si chiama “Abort Mastication” voglio l’ intera discografia a scatola chiusa.
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grazie per i The Well e Low Rider, me li segno…
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Quanto sono meravigliosi i tag a questo articolo.
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io apprezzo e ringrazio per i sorcery e per le ragazzette fasciate di latex.
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Idle Hands gruppone, disco dell’anno per me
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La descrizione del lavoro da casa durante la pandemia di Ciccio mi ha ricordato Fenriz intervistato secoli fa(se non sbaglio dopo uscito Plaguewielder) da Barg su Metal Shock, dove diceva più o meno “smisto la posta da casa, è un lavoro un pò noioso ma mi consente di ascoltare 8-10 dischi al giorno”
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Confermo, mi disse che tutto sommato era il lavoro dei suoi sogni proprio perché gli permetteva di ascoltare musica.
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