TRUE NORTH: una storia norvegese
Due ragazzi, uno di Bergen e l’altro di Oslo, finiscono un po’ casualmente in classe insieme. In età giovanile hanno entrambi l’aria trasandata di chi ancora deve scoprire la fica e il panno scamosciato per finire di pulire l’auto. In sostanza sembrano molto affini, e così iniziano a giocare insieme a calcetto, a vedersi dopo cena per una birra e cose del genere. Sono molto contenti nel raccontarsi l’un l’altro quelli che potrebbero essere descritti come i primi successi della vita: la sega rimediata in bagno da una nave scuola, oppure l’auto di seconda mano regalata dai genitori e subito spinta a centosessanta in autostrada. Cose un po’ diverse dall’aver finito Street Fighter II con tutti i personaggi, e così ci riflettono su e gli sembra d’esser diventati grandi.
Un giorno, sempre in classe, uno viene palesemente ignorato dall’altro. Lo intercetta mezz’ora dopo durante la ricreazione e abbozza un discorso, ottenendo stavolta una risposta da telegramma. Poco più tardi viene a sapere che il suo amico di Oslo ha fatto il botto: s’è messo insieme alla più bella cicala di tutto l’istituto. Capelli lisci, corvini, e uno sguardo gelido che bucherebbe un muro. Il suo nome è Daenerys Tagtgrenyen. I compagni di classe sono tutti lì che lo elogiano, mentre l’altro, solitario, rimane a guardare l’ennesima nevicata fuori dalla finestra in un interminabile inverno norvegese. Daenerys è il classico tipo di ragazzina che tutti prendevano in giro per via di quegli occhioni sproporzionati, ma da qualche tempo sembrano andare tutti da lei. Quello di Oslo la tiene in pugno. L’altro, di Bergen, cambia sezione per ripartire da zero con amicizie e frequentazioni. Gli anni scolastici passano, interminabili pure quelli come le stagioni più ostili.
Si ritrovano in corridoio il mattino di un lunedì qualunque. Quasi non si riconoscono ed è forse per questo che il vincitore amorale, Oslo, per un attimo apparirà come incuriosito dall’altro ragazzo. Gli sguardi si distolgono subito, ma si sono inquadrati benissimo. Il primo si è dato una generale ripulita, anche se non ha l’aria né del commercialista né tantomeno del religioso porta a porta. Ha un cardigan e altra roba un po’ da trentenne avanzato, ma l’ha saputa abbinare molto bene. Il suo vecchio amico porta un vergognoso mocassino sabot, cioè una scarpa aperta tipo quelle dei farmacisti, soltanto elegante e costosa. Sopra di essa troneggia un pantalone vistosamente gessato che introduce la parte alta dell’outfit, composta da una camicia hawaiana e una collana d’oro da gangster appena ammazzato. I capelli sono pieni di gelatina, e se solo si azzardasse a mettere il casco per tornare in scooter non riuscirebbe più a toglierselo. Fortunatamente è in auto, ma si è comprato una cadillac coupé DeVille con vernice cangiante e l’ha parcheggiata in uno dei posti riservati ai professori. All’uscita la ritrova tutta rigata, ma non è stato né il suo amico, che avrebbe di che invidiarlo e oltre, né un professore. Per la prima volta nella sua vita capisce di avere qualche detrattore. Incazzato nero per la fiancata sfregiata, se ne va mettendo una musica insopportabile tutta tastiere pompose e suoni impastati, con i volumi tenuti al massimo. Di tanto in tanto lo vedono in giro con l’amante, che di cognome fa Vortex. Il suo nome assomiglia invece alla sigla di una banca.
Il ragazzo che si è dato una ripulita a quel punto va sul sicuro: ha terminato la scuola e si trova un lavoro noioso ma redditizio. Cadillac, invece, ha il suo puttanone da mostrare a tutta Oslo, con gli occhi scavati da eroinomane e i capelli unti, e nonostante i rigori invernali i due girano a tetto scoperto sotto le nevicate tipiche del periodo. La musica all’autoradio si fa sempre più insopportabile, ora anche piuttosto orientata alle orchestrazioni. Le quali abbondano, strabordano, hanno rotto il cazzo. Un tale a un semaforo si volta verso la loro auto dal disgusto, lo riconosce subito e si domanda come cazzo si siano conciati e perché ascoltino quella roba. Lui pensa che stia fissando la sua Daenerys Tagtgrenyen, così scende e inizia a spaccargli la portiera a colpi di mazza. Lo sconosciuto a sua volta esce dall’abitacolo e gli urla in faccia che non avrebbe mai e poi mai perso un secondo della sua vita per fissare quell’alcolizzata che si portava appresso, aumentata di venti chili per le birre e per eccessi d’ogni tipo. Dall’altra parte non c’è reazione. La voce gira, Cadillac è uno stronzo e iniziano a dirlo un po’ tutti: nei pub, nei locali rock, nelle recensioni di Roberto Bargone. Ma non il suo vecchio amico, lui è soddisfatto di quello che sta facendo e non ha il tempo di andare a commentare la sua biblica disfatta. Inoltre, si è messo insieme alla sua ex amante, Ignacia Consuelo Segunda Vortex: chioma castana, personalità un po’ acqua e sapone e una voce cristallina che farà girare i passanti almeno quanto il suo culo.
Passano gli anni e ogni cosa che Cadillac abbia fatto automaticamente vengono a saperla tutti, incluso il suo vecchio compagno di sbornie, dribbling e pescate al luccio. La sua donna assomiglia a un maiale per colpa degli interventi chirurgici suggeriti dal manager che ha ingaggiato, che è tedesco, ma lei ha una marea di follower su Instagram e scarrozzarsela appresso gli fornisce comunque un tornaconto. Una sera decide di prendere la Cadillac, la terza della sua collezione, una moderna Escalade, per andare al pub con la tossicodipendente che ancora chiama tesoro. Chi sarebbe mai stato senza di lei? Viene riconosciuto da un tizio che siede due tavolini più in là, è sicuro che abbia notato gli sbuffi e i mezzi conati emessi dal rifiuto ambulante che sta già al quarto Negroni, e se ne vergogna. Il buon senso suggerirebbe a chiunque di far finta di nulla, ma lui diventa protettivo e irascibile allo stesso tempo: si alza di scatto per menarlo con il boccale di Lervig già frantumato e tagliente, ma la figura seduta all’ombra di una grossa mensola piena di stendardi e trofei reagisce e lo butta giù con un gancio destro. La gente attorno urla, divide, chiama aiuto urgente poichè Cadillac il Grande è svenuto. La bruttura al suo fianco grida qualcosa sugli alieni e fugge all’esterno, rincorsa da niente e nessuno.
I due si ritrovano un paio d’ore più tardi al commissariato, seduti uno di fianco all’altro a una scrivania disadorna, in manette per motivi cautelari. Dietro di loro, un manipolo di agenti in servizio e testimoni, con gli uni che faticano a zittire gli altri. Il poliziotto che è in dovere di interrogarli esordisce:
“Come ti chiami?”
“Dimmu Borgir”
“E tu?”
“Borknagar”
“Borknagar, lo hai colpito perchè fa parte del clan dei tedeschi chiamato Nuclear Blast?”
“No, l’ho colpito per legittima difesa”
“Dimmu Borgir, è vero quello che sostiene Borknagar?”
“Il nostro nuovo album sarà il più melodico, estremo, sinfonico, potente e old school fra tutti, si chiamerà Abysmal Monumental Transmigration e durerà cinque ore e mezzo, doppio cd con artwork catarifrangente, con un’orchestra di trentasei elementi che ha suonato per noi sul pack in deriva nel mare di Barents, e sono morti tutti. Inoltre, Galder vi mostrerà le sue espressioni più buffe e malvagie di sempre”
Lo sbirro, inquietato da una dichiarazione del genere, ordina subito un esame tossicologico con esito a comunicazione immediata. Timoroso di ricevere una similare risposta dall’altro, semplicemente lo osserva, e con un cenno d’intesa gli lascia intendere di proseguire.
“Faccio in linea di massima lo stesso album da quindici, forse vent’anni”, sostiene con sincerità Borknagar. “Sono andato in vacanza in Italia con la mia morosa e un certo Gabriele Traversa mi ha suggerito come iniziare una canzone e di intitolarla Up North. Pensavo che ce l’avesse con Rebel Extravaganza. Non sapevo che mi stesse trollando, e mi sono accorto a lavori fatti che era uguale a Dreamside Dominions. Poco importa, e finalmente, grazie a quella similitudine potrete sentire come sarebbe stato Spiritual Black Dimensions se non l’avesse inciso una band sotto acidi. Penso di essere stato aggredito per quel motivo, e in ogni caso dubito che verrò accusato di plagio, poiché nessuno intenderebbe plagiare ciò che il mio amico suona dal 1999.”
“Può andare, figliolo.”
Borknagar si asciuga la fronte e inizia a camminare spedito verso l’uscita, dove la fedele Ignacia Consuelo Segunda Vortex già lo attendeva nonostante la nottata in bianco. Sta sbagliando comunque qualcosa, ha trascurato un qualche dettaglio che potrebbe non sfuggire a tutti quegli agenti. Si irrigidisce, è nervoso come se la sua innocenza sia sul punto di rivelarsi altro. Una voce ferma lo sta chiamando alle spalle: è il commissario.
“Borknagar, le ho detto che può andare, ma se si azzarda a ridare un titolo così tamarro a un album la sbatto in gabbia col suo amico e con il tipo con gli occhioni che suona negli Hypocrisy. Sono stato chiaro? Non si metta a fare il tamarro soltanto perchè ha tirato fuori una delle cose più gradevoli dai tempi di Empiricism.” (Marco Belardi)

A TRUE STORY.
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Queste storie mi fanno morire. Sto sghignazzando da solo sull’Italo all’altezza di Firenze SMN
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Cazzo Belardi l’hai fatto di nuovo. E di nuovo, i dettagli. Il mocassino sabot, mannaggia al clero.. Ormai leggo tutti i tuoi storytelling anche se degli album e del gruppo non me ne fotte una mazza. Mi associo ad aijanai. Troppe risate. In redazione dovresti pretendere di farti chiamare Mastro Belardi, perché alcune cose esigono che la gente mostri del fottutissimo rispetto. Un saluto, come al solito.
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carrozzi direbbe che ho troppo tempo libero!
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