THE END: BLACK SABBATH @ Genting Arena, Birmingham, 04.02.2017

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Ti rendi conto subito di essere arrivato in un paese malato, precisamente nel momento in cui all’aeroporto raccogli tra le mani il classico tabloid inglese con le femminazze nude offerto gratuitamente insieme ad altri quotidiani più seriosi. E’ come se a Malpensa venissero offerti ai turisti, che so, Il Corriere della Sera e Cronaca Vera nello stesso dispenser. Una sensazione di insanità che sarà nostra costante compagna di viaggio e soggiorno, foraggiata da: 1) scene di massive sbornie collettive dei giovini del venerdì sera; 2) la perpetua puzza di rancido, di vomito e alcol rovesciato a terra che pervade la squallidissima Birmingham in ognidove; 3) sbirri, sbirri everywhere. Fai due più due e capisci subito come qui, e solo qui, da questo disagiatissimo retroterra culturale e sociale, sia potuto nascere il fiore dei Black Sabbath. Ma facciamo un rapido flashback. Ci incontriamo il venerdì sera a Fiumicino, con indosso ancora gli abiti da lavoro, in anticipo troppo ampio rispetto ai nostri standard. Bene, decidiamo di mettere il fegato in temperatura disponendoci alla ricerca di una birra e di qualcosa di buono da buttare giù, perché sappiamo che la peggior merda che potrà offrirci Aeroporti di Roma S.p.A. sarà mille volte più gustosa del più succulento pasto gourmet che la Perfida Albione sta tenendo in caldo per i prossimi due giorni di olocausto gastroesofageo. Io, Ciccio ed Enrico optiamo per un cuoppo di fritti e una bella pizza. Purtroppo la Bufalina di Enrico tarderà ad arrivare ed il largo anticipo nel quale muovevamo le nostre decisioni si ridurrà ad uno strettissimo margine di pochi secondi dalla chiusura del gate. Ebbene sì, amici del metallo, per una volta abbiamo ricoperto noi il ruolo dei classici stronzi italiani che vengono chiamati con l’altoparlante in tutto l’aeroporto e che rischiano di compromettere le coincidenze di tutti i passeggeri dell’aereo. Cionondiméno saliamo sullo stesso con la classica noncurante spocchia di difesa di coloro che sanno di non avere nessuna scusante di fronte a un centinaio di persone che sta mandandoti a fare in culo contemporaneamente e che vorrebbe spellarti vivo e gettare i tuoi resti ai molossi.

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Per nostra fortuna, il pollo dei Grecos era andato ancora più lungo della nostra pizza, cosicché quando i rimanenti membri della potente Metal Skunk Crew sale sull’aereo, abbiamo anche la faccia tosta di insultarli davanti all’incredulità generale delle famigliole lì presenti. Mi spiace per gli altri ma siamo metallari. All’aeroporto di Birmingham incontriamo l’imbattibile bevitore Tola, per il cui sostentamento serale (e per farlo stare calmo) erano stati preventivamente acquistati al duty free due litri di Johnnie Walker Red Label. Dopo un rapido e intirizzito passeggio per le vie della città, scansando donnine troppo nude e troppo ubriache per i nostri gusti (oh, siamo in missione per conto di Satana, mica per socializzare con la fauna locale), sbirri, cinesi, negri, altri sbirri, decidiamo di trascorrere la serata nel miglior modo possibile: tirare tardi bevendo copiose pinte di birra, parlando di quanto sono immensi i Black Sabbath, di quanto ci mancheranno e giocando a biliardino. Il giorno dopo trascorre sereno ma con quell’ansia di fondo del condannato al patibolo. Sai che sta per accadere qualcosa di definitivo e da cui non si torna indietro per cui cerchi di distrarti facendo le cose più banali possibili, tipo ingurgitare mostruose quantità di fish&chips e liberare il Kraken dello shopping compulsivo. A tal fine ci rechiamo in un luogo storico di Birmingham, lo Swordfish Records al 66 di Dalton Street. Nonostante fosse la storica label di Godflesh e un botto di altri gruppi, scopriamo che di metal non vendeva nulla, per questo motivo acquisto una quarantina di cd di roba random anni ’80/’90, famosissima e strasentita, che però mancava nella mia discografia. Dopo una preghierina di fronte al The Crown, il pub degli esordi live dei Sabs, ci chiudiamo per l’ultima serie di pinte in un pub puzzolente per soli metallari lì affianco, in cui vengo accolto dalla War Pigs rifatta dai Faith No More in The Real Thing. Ed è subito casa. I presupposti affinché questo pellegrinaggio in Terra Santa fosse memorabile c’erano tutti. Carichi a molla, andiamo alla Genting Arena, pronti ad assistere all’inizio della Fine.

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Fino a qui è stato tutto abbastanza leggero e divertente ma adesso le cose si fanno dannatamente serie e ho già gli occhi lucidi. Non voglio menarla troppo, né fare il sentimentale, ma credetemi, durante il concerto ho versato un paio di lacrime e sono sicuro di essere stato in ottima compagnia. Il mare di sensazioni è proprio quello proverbialmente indescrivibile. Tutto è stato perfetto, meraviglioso e triste allo stesso tempo. Una decina di riflessioni dal sapore agrodolce mi ruotava per la testa e le condivido qui così come vengono, poi, mi perdonerete ma chiudo, che non ho ancora assorbito la botta e penso mi ci vorrà un bel po’ per capire cosa è successo:

  1. SONO QUI.
  2. Purtroppo è tutto vero.
  3. Sto assistendo a qualcosa di storico.
  4. SONO PROPRIO DOVE DOVREI ESSERE.
  5. Domani ci sveglieremo in un mondo senza Black Sabbath.
  6. Che giganti!
  7. Bestemmie random.
  8. Ma perché deve finire qui, adesso?
  9. Non ci sarà nessuno come loro.
  10. SONO QUI.

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