FIRENZE METAL @Viper Theatre – 15.04.2023

I giorni che precedono un concerto al quale parteciperò mi riservano spesso sorprese. Certe volte mi viene la febbre, o, quantomeno, si presentano sintomi che generalmente associamo ad essa; in altri casi più semplicemente mi passa la voglia, perché ho quarant’anni e la prospettiva di una sveglia alle 5:30 non è mai piacevole.

A ventiquattro ore dal Firenze Metal ero però carico a pallettoni. Avendo in previsione di scriverne il report e di fotografare tutt’e sei le band, mi son messo a fare il meticoloso. Ho ricaricato la batteria di riserva della Sony Alpha, dato una pulita alla lente frontale dell’amato 35mm e messo tutto nella borsa verde militare che solitamente mi porto appresso. Poi ho aperto Apple Music ed è partita la rassegna di quei gruppi in scaletta che conoscevo poco o non conoscevo per niente, se non di nomea. E ho fatto un brutto pensiero.

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Sexual Hurricane

M’è passato per la testa che tutta quella gente ci incastrasse così poco con un pubblico accorso per acclamare i Necrodeath. Non c’era una sola band il cui stile combaciasse, almeno parzialmente, con quello di Flegias e Peso. Eppure il Firenze Metal mi ha smentito nell’istante in cui sono uscito dall’orrenda Brozzi, ho messo piede in via Pistoiese e mi si è parato davanti il tunnel che conduce all’ingresso del Viper Theatre.

Già sede di numerosi concerti di livello, leggasi Amorphis, il Viper Theatre è considerato dai fiorentini l’erede del Tenax e dell’Auditorium Flog, storiche location che un tempo condussero lungo l’Arno i Death e i Deicide, i Blind Guardian e i Cannibal Corpse spalleggiati, pensate un po’, dai Kreator. Il Viper Theatre è una roccaforte laddove i locali su cui contavamo sono caduti come mosche d’innanzi ad occhi impotenti.

La data del quindici aprile seguiva inoltre due eventi di una certa portata mostranti la medesima firma: Furor Gallico e Domine in gennaio, con un locale pieno di gente, e, ad autunno inoltrato nel 2022, Forgotten Tomb e Destrage. Il bill del Firenze Metal odierno era di gran lunga il più eterogeneo e vario che si potesse immaginare.

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Masarra

Il tempo di bere una birra e prendere posizione alle transenne e attaccano i SEXUAL HURRICANE, che, per inciso, fanno glam. Moon boot rosa pelosi, tacchi, calze a rete. Poi una performer e una lap dancer. La prima la stendono su un tavolino mimando una sala parto; in mezzo a quelle cosce, o meglio da sotto il tavolino, nasce il cantante. Fanno uno show che è un’eresia dietro l’altra, fra crocifissioni e sangue bevuto da una roba comprata su Wish. Divertono come mai avrei immaginato che un gruppo d’apertura potesse divertire, e, a fine scaletta, mi rendo conto che ho fotografato come un delinquente e che, se mi terrò su quella media, con certezza esaurirò la prima batteria della Sony. Becco Damiano, affezionatissimo lettore, davanti al mixer e mi offre una birra: sono tre se sommo queste al Viper e quella presa pasteggiando a Calenzano, dove, alle diciotto in punto, mi ero ingozzato con quattro grossi tranci di pizza al taglio.

La digestione mi sta rendendo un vegetale incapace di sostenere una conversazione; in questo momento ricordo a malapena i titoli dei brani di Show no Mercy, ma più tardi la cosa mi tornerà comoda. Salgono sul palco i MASARRA. Il compito più arduo per i fiorentini era salire su un palco dopo che i Sexual Hurricane avevano ridicolizzato lo standard stesso di esibizione live, combinando il cazzo che gli pareva per una mezz’ora scarsa. Il loro metal è particolarmente moderno e contaminato dall’elettronica, che anticipa i brani con le consuete basi e apre a ritornelli di sicuro impatto. Debbo dire che non fa per me, ma partono in sordina e pian piano il loro cantante si prende il pubblico, ci parla, lo coinvolge.

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Silence is Spoken

Comincio a realizzare che il festival per come è stato strutturato sta funzionando; è ora di cena, il Viper non è certamente pieno ma i numeri sono già buoni. Mi tengo debitamente al largo dal bancone del bar, due in tutto, e fra i presenti noto gente conosciuta che suona con band del panorama regionale: Sabotage, Speed Kills, Subhuman, Runover.

Comincia il giochino dei sosia. In breve esce fuori fra il pubblico un tale fomentatissimo che pare Enrico Mentana; un altro, in teoria più plausibile, assomiglia ad Araya e complice la presenza della fidanzata se ne sta tutto tranquillo. Salgono sul palco i SILENCE IS SPOKEN e da lontano mi pare che uno di loro abbia un che di Franco Baresi. Devo tornare lì davanti per verificare e sono subito smentito. Il loro concerto mi piace, molto. Il batterista ha la barbetta stretta e lunga tipo l’Hetfield di un decennio fa; la musica gira intorno ai Tool e l’approccio generale è molto più orientato al rock che al metal. Il gruppo è particolarmente preparato e l’ascolto preventivo di 11 non mi aveva dato lo stesso effetto ottenuto sotto al palco. I brani dal vivo sono rivitalizzati, così come accaduto coi Masarra, la cui elettronica prorompente su disco mi aveva quasi intimorito. Per ora in un certo senso han fatto tutti centro.

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Logical Terror

Con i LOGICAL TERROR l’asticella si alza, anche se, per la quarta volta su quattro, ho la sensazione che ascolterò un gruppo che suona qualcosa che non mi fa affatto impazzire. Noto da principio che sono degli animali da palco, e penso che non reggeranno tutta la scaletta tenendo i giri del motore così in alto. Hanno due cantanti, una stravaganza. Il primo sarà quello che strilla, penso; l’altro farà i ritornelli puliti. E invece è l’esatto opposto di come li ho inquadrati. Colui che si occupa del cantato pulito sta fra Devin Townsend e certe atmosfere più soffici, quasi alla Linkin Park. Ma in linea di massima il timbro assomiglia a Burton C. Bell. I Fear Factory stanno dappertutto se ne analizziamo le musiche, in qualcosina sento anche i Lamb of God ma le ritmiche e le dissonanze tendono molto al metal dei giorni nostri. Badate bene, gli headliner di questo festival sono i Necrodeath e mi sto sforzando come un animale di non nominare la parola djent una seconda volta, ma avrei potuto farlo anche in precedenza. Nessuno di loro, però, suona strettamente quella cosa lì. A fine scaletta i Logical Terror stanno ancora distruggendo tutto. Il grado di energia sprigionato dai modenesi sarà il più elevato dell’intera serata; quanto a tecnica strumentale ho apprezzato molto loro e i Silence is Spoken, seppur in ambiti del tutto differenti. Il pubblico, soprattutto, è sempre più numeroso e gradisce. Mentana ha sempre le corna alte in direzione del palco.

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Deathless Legacy

I DEATHLESS LEGACY li avevo ascoltati con molta attenzione. Trovo che Mater Larvarum non renda loro completa giustizia per via della produzione, più moderna del necessario in relazione a quel che suonano. I pezzi in realtà non gli mancano e non gli sono mai mancati. Il concerto attacca con Ora Pro Nobis e infatti la riconosco subito; successivamente ne riconoscerò altre tre o quattro, una mi pare si chiami Absolution sempre dal catalogo più recente. I Deathless Legacy hanno questa capacità straordinaria: non li segui eppure ne conosci le canzoni. E hanno un magnetismo che prescinde dal forte atteggiamento teatrale su cui tutto lo show si regge. Steva è assistita da una performer con cui duetta e duella tutto il tempo. A metà esibizione ho realizzato che il senso di occulto che ci trasmettono sia equivalente al teatrino imbastito dai primissimi Ghost, con cui condividono il fatto di non dialogare incessantemente col pubblico fra un brano e l’altro. Dal momento in cui Tobias Forge ha cominciato a fare la rockstar, quel senso di teatralità negli show dei Ghost è come improvvisamente decaduto. Steva questo lo sa, e rivolge appassionatamente la parola al pubblico al termine dell’esibizione. Manca un pizzico di sale alle parti strumentali, come mi fa notare Matteo, con cui scrivevo su MetalManiacs; al contrario, quando fotografo generalmente individuo una figura carismatica, fotogenica, e cerco di trarre il massimo da quella per due terzi della scaletta. Con i Deathless Legacy sto dietro un po’ a tutti (eccetto il batterista, complice il 35mm che ho dietro) perché non c’è un personaggio che visivamente non funzioni ai fini dello spettacolo imbastito. Ruotano di posizione, interagiscono con Steva, che è la protagonista assoluta e ha un approccio ai pezzi che adoro. La stessa importanza che i comprimari hanno a livello di immagine dovrebbero pian piano cominciare a riversarla sulle composizioni, che talvolta sono un po’ scarne. Ad ogni modo, altro show senza cali di tono, questi qua incarnano perfettamente ciò che ai Death SS oltre Panic non è riuscito se non a singhiozzo: intrattenimento, oscurità, ottime canzoni senza che nessuno di questi tre fattori escludesse gli altri. E in principio nacquero come loro cover band.

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Deathless Legacy

La prima volta che ho assistito a un concerto dei NECRODEATH era il tour di Mater of all Evil. Fu un macello. Le uniche volte che posso affermare di non essermeli goduti è stato in occasione di grossi festival in stadi o palazzetti, dove li ho trovati dei pesci fuor d’acqua. Ma in locali al chiuso di dimensioni medie e piccole sono una garanzia assoluta. In totale ho visto i Necrodeath nove volte, se ben ricordo. Nel passato recente ebbero anche l’idea di escludere gran parte dei classici e concentrarsi su una scaletta esclusiva che ci presentava sorprese come Last Tones of Hate. Stavolta, almeno in quel senso, è andato tutto per il verso sbagliato.

I Necrodeath paradossalmente hanno suonato meno dei Deathless Legacy. Non solo, si sono ritrovati a castrare classici come Necrosadist (la mia preferita al pari di Graveyard of the Innocents) inserendola in uno di quei banali medley coi quali i Metallica e i Sepultura ci hanno distrutto palle e orgoglio per tutti gli anni Novanta. La scaletta è stata inoltre accorciata e privata di riferimenti al nuovo album Singin’ in the Pain, di cui ero curioso di sentire dal vivo soprattutto Delicious Milk Plus. La buona notizia è che hanno aperto con Tchaikovsky anticipando l’arrivo di The Flag of the Inverted Cross e suonato l’altro gran classico da Into the Macabre, Mater Tenebrarum. Poi Choose your Death dal secondo, e una buona considerazione riservata a due album recenti il cui stile è un po’ opposto. 100% Hell con Forever Slaves e Master of Morphine, e un Pier Gonella in grande spolvero essendo la natura dell’album in questione particolarmente melodica, e il recente The Age of Dead Christ, a mio avviso il migliore dei Necrodeath negli ultimi quindici anni, con The Whore of Salem e Triumph of Pain che a cinque anni dall’uscita non solo reggono bene la botta, ma già fungono da classici.

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Necrodeath

Bene Flegias, solito interagire col pubblico con un’efficacia e un’ironia che sono la sua firma, deciso sulla cover degli Slayer di Black Magic da Show no Mercy ma ahimé penalizzato da volumi un po’ bassi sul microfono. Bene Peso, e bene tutti, con Gianluca Fontana sempre più integrato ed energico e Pier Gonella che mima Hendrix al termine del momento solista a lui riservato. Un buon concerto, non il migliore dei Necrodeath a cui ho assistito; certamente quello su cui ho covato il maggior rammarico circa la scaletta.

Mi sono reso conto che i partecipanti, tanti, tantissimi, hanno dedicato lo stesso impegno e attenzione a band dalle estrazioni musicali assai divergenti. Un po’ di spazi vuoti a centro sala almeno fino ai Silence is Spoken, dopodiché è stato come se ognuno fosse l’headliner. Nessuno ha sostanzialmente deluso le aspettative e l’esperimento può dirsi concluso con successo. Che questo sia un passaggio del testimone da parte di chi ha gettato le basi dell’estremo a metà degli Ottanta verso chi è in grado di intraprendere simili show oggi, non lo sapremo se non col tempo. Fantastici Logical Terror e Deathless Legacy, divertentissimi e irriverenti i Sexual Hurricane. Gli altri se la sono cavata bene. Ci rivediamo a ottobre, Viper, per un’altra puntata del Firenze Metal, con l’augurio che possa ancora una volta andare così. (Marco Belardi)

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