Collezione PITTI DJENT 2019, il trionfo dello stile metallaro e dei LEPROUS

Torna Pitti Djent, la kermesse fiorentina più amata nel mondo. Una volta infiltrati tra orde di fotografi e stilisti in fibrillazione, noi di Metal Skunk non avremmo mai potuto perderci la più ghiotta fra le sue edizioni: quella incentrata sull’uscita di Pitfalls dei Leprous, un tempo, vicini di casa d’un filone non di certo amato presso la redazione.

Siamo subito stipati in un’area stampa piuttosto ristretta, dagli spazi ingenerosi e dalle bottigliette d’acqua che, ora dopo ora, scarseggeranno sempre di più. Quello che invece ci accompagna con costanza è la fragranza appena presentata da Nuclear Blast, la Eau de Alcest, le cui note fresche e floreali ci hanno inebriato dal mattino al sopraggiungere della sera. Il tempo di riorganizzare le idee ed è già il turno agli Animal as Leaders: un triangolo equilatero dello stile, con un look ben distinto e contrastante ad ogni suo vertice. Sobria camicia blu e look da elegante nerd per un intonso Javier Reyes, pronto a spalancare le porte del suo appartamento sui Navigli a personalità distinte, servendo un buon tè verde e una corroborante riga di Galatine sbriciolate. Tosin Abasi osa più di lui, esploratore che non deve chiedere mai, dall’outfit color cachi che domina una cravatta dalle fantasie romboidali. Fantasie che chiamano ben altre fantasie, mentre Matt Garstka, il birichino che gioca sul sicuro, opta per un denim essenziale dal quale non è concesso sfuggire. Semplicemente deliziosi.

Il tempo di far cambiare le musiche di sottofondo agli addetti ai lavori, e IV – Hail Stan dei Periphery ci ha avviati con clangore verso la sfilata dei duri del Maryland. Lo scontro con i precedenti protagonisti si è rivelato frontale, ma i dominatori della movida a stelle e strisce hanno probabilmente peccato in esuberanza: barbe d’ogni genere, ciuffi e cuffie per la piscina comunale, felpe con la zip prese con i punti della benzina, e in prima fila una canottiera scollata e tenuta fuori dai pantaloni con arroganza, soffocando così un accessorio indispensabile come la cintura. Questa responsabilità se l’è presa il temerario Spencer Sotelo, la più rischiosa sbandata del giorno sulla passerella dei sogni. Rimandati con qualche rimpianto.

Occhi e pensiero d’ognuno dei presenti, tuttavia, si trovavano già altrove. La scenografia è di colpo sottoposta ad un taglio netto, oserei dire minimale, finché la musica stessa muterà in un qualcosa che potremmo accorpare al contesto djent solo con una certa immaginazione: tranquilli, sarà l’eleganza dei Leprous a fungere da collante universale. Piuttosto stanchi su un paio di dischi di mezzo, ma rigenerati da fanghi e trattamenti termali, i norvegesi hanno giocato il jolly con Malina, e, sempre con esso, tentato una via del tutto inedita. Le cose riuscite per metà debbono però essere portate a compimento. Per questo i Leprous ritornano con Pitfalls, seconda portata del loro rock progressivo, sensibile, e in particolar modo volto a stuzzicare la prostata d’ognuno di noi. Una sottile nebbia da ghiaccio secco invade la passerella, mentre ripiani per libri Ikea vengono adoperati a piedistalli che sosterranno i veri protagonisti di Pitti Djent 2019: il low cost per valorizzare chi già vale! Una luce bianca si accende di spalla ai Divi, è il Paradiso del fashion, è l’ora dell’aperifiordo. Einar Solberg irrompe come un angelo custode, mentre già pretendo il crescendo finale di Alleviate su ogni pubblicità di profumi da qui al 2023.

Yuppie in piena ascesa, giovani uomini al primo appuntamento, gigolò per cinquantenni stanche di vedere che cosa fanno quelle più famose di loro alla TV: il modello polivalente suggeritoci dai Leprous è la via da seguire per il metallaro del futuro. Chiudiamo la cravatta fino all’ultimo bottone al costo di strozzare, e mentre canticchiamo l’irresistibile I Lose Hope, loro sfileranno inarrestabili, imbottiti di dopobarba Dsquared al posto della robaccia che permise a Ozzy Osbourne di comporre Diary of a Madman. I buoni e gli eruditi in trionfale sostituzione dei cattivi d’una volta.

O forse, un giorno, il metal assomiglierà sempre più a un oggetto da museo: inserire un gettone per entrare, oppure, comperare una maglietta dei Metallica di quelle che si mettono addosso le disgraziate che non li hanno mai sentiti. Quel giorno, qualche stronzo come me starà ancora aspettando che qualche figlio amorale dei Blood Incantation abbia ultimato il nuovo, perverso concept su R’lyeh o magari sugli alieni. E nel frattempo, i Leprous e i loro capolavori Malina e Pitfalls saranno già passati di moda, e dovranno solo attendere che i tempi siano maturi per un ultimo giro d’onore. All’ombra di tutto il clamore suscitato da presunti album dell’anno come Pitfalls, l’erba cattiva che avete dato per bollita, o del tutto estirpata, mentre gli eleganti Leprous avanzavano a testa altissima, continuerà a proliferare e a prosperare vedendoli invecchiare uno ad uno. Toccherà ai Soen, seguiti dai norvegesi dal falsetto facile, e dalle rimanenti carrozze attaccate alla locomotiva che vi ha fatto viaggiare attraverso il progresso. E sarà allora che ritornerete su quel prato d’erbaccia velenosa, a brulicare come in preda alla fame chimica.

Attualmente è troppo facile dare a un album come Pitfalls l’abusato appellativo di capolavoro. Destinato in buona parte a un pubblico metal, il rock maturo dei Leprous si scatenerà addosso le bipolari discussioni che sentiamo dai tempi di Host. Da allora, nello stabilire cosa fosse giusto e cos’altro sbagliato, iniziammo a dimenticarci di comprendere quali album fossero belli per davvero. E fu tutto uno svalvolare.

Per svegliarmi dal generale torpore di Pitfalls ho dovuto attendere la sua nona traccia, Foreigner, occasione nella quale il chitarrista si è ricordato di piantare una siringa di adrenalina dritta nello strumento, fino ad allora comatoso. Fermo restando che Pitfalls vive di numerosi buoni momenti, essi sono prevedibilmente costruiti sulle esplosioni volte a valorizzare l’incredibile voce di Einar Solberg, mentre un tempo, quest’ultima duettava e si dava il cambio con corpose sezioni ritmiche che oggi – fatta eccezione per l’ottima suite finale – ci lasciano in mostra giusto un bellissimo suono di basso. Malina vince su Pitfalls poiché è in grado di mantenere le loro peculiarità d’un tempo, e sottolineo tutte, permettendo così ai Leprous di cambiare volto, e allo stesso tempo, di riprendere una boccata d’aria dal senso di stantio che già li accerchiava. I Leprous di Pitfalls sono Einar Solberg al quadrato, tanto quanto i Muse, nel corso degli anni, si sono trasformati nel pericoloso delirio di onnipotenza di Matthew Bellamy. Traendo le somme, che Pitfalls possa rivelarsi l’inizio di una loro definitiva fase di stagnazione e declino, oppure il più grande successo dei Leprous, lo capiremo un po’ più avanti. I miei timori misti a qualche preoccupante certezza ce li ho, e credo che oggi i norvegesi si siano ripresentati col loro talento sopraffino, un sacco di inutili orpelli, e un carico inestimabile di fumo da vendere. (Marco Belardi)

3 commenti

  • I tuoi timori sul post Malina erano fondati, Belardi. Personalmente, come te d’altro canto, non ho apprezzato questo salto definitivo sul carrozzone gay pride. Peccato.

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  • Ma una tanica di benzina ed un accendino no?

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  • Boh…. Ho ascoltato un paio di pezzi di questo pitfalls e personalmente sono felice di avere sempre con me nel telefono l’ultimo dei peste noire split per un pronto ripristino dei padiglioni auricolari. Certo che chi dovesse giudicare un gruppo dalle foto in questo caso non sbaglierebbe a pensare che l’abito il monaco lo fa eccome!

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