La rivincita del formato piccolo: NECRODEATH – Neraka
Come ho già scritto in precedenza, sono piuttosto sospettoso nei confronti del formato piccolo. La sensazione ricorrente è che possa uscirne fuori qualcosa di talmente azzeccato e irripetibile da pretenderne quantità maggiori. La spiegazione fisica di questo concetto si chiama Despise The Sun e l’hanno messa in atto i Suffocation nel 1998. Oggi sto iniziando a convivere con gli EP, dato che corrispondono alle richieste di un mercato sempre più decentrato su Spotify e piattaforme simili, e dunque sulla singola canzone piuttosto che sulla vera e propria “raccolta”.
E così, dopo aver scritto dell’ultimo singoletto a titolo Kreator resterò in orbita thrash metal e, stavolta, pure in territorio nazionale: tocca ai Necrodeath, che dal 2018 stanno mantenendo una frequenza di pubblicazioni spaventosa. Neraka segue Defragments of Insanity e i suoi contenuti mi hanno incuriosito ben più del predecessore, dal momento che si strutturano lungo cinque tracce ripescando dal passato la sola Flame of Malignance, eseguita dal vivo. Non intendo dilungarmi troppo sugli inediti ma Inferno e Succubus Rises sono quelle che vi acchiapperanno con maggior facilità; la prima è una bordata di tremolo picking supportata da un’introduzione orrorifica, che, a sua volta, mi ha fatto ripensare all’occasione sprecata da Draculea e dal suo calcare la mano sull’atmosfera e sui rallentamenti, piuttosto che sulla velocità. Fu un’ottima idea, ma purtroppo non funzionò.
La seconda, Succubus Rises, gioca nello stesso campo di The Age of Dead Christ pur palesando una maggior ricerca dell’arrangiamento rispetto alle composizioni recenti. Petrify è il pezzo più strutturato dei tre, quello che sembra lievitare maggiormente con gli ascolti a dispetto di uno scarso impatto iniziale. Le due note più liete riguardano Pier Gonella, che contrariamente al ritorno all’aggressività e al minimalismo che seguì Idiosyncrasy mi sembra sempre più a suo agio, oltre che libero e capace di prendersi degli spazi senza con ciò interferire, e infine, la cover finale di California Uber Alles. E quindi Flegias su Jello Biafra, quelli di Mater of all Evil su Fresh Fruit for Rotting Vegetables dei Dead Kennedys (dove venne pubblicata per la seconda volta, nella versione che ad oggi ricordo più piacevolmente): e direi che funziona benissimo, perché ci hanno messo mano e non si sono limitati a rischiare il minimo sindacale. Avrei soltanto preferito una batteria mixata leggermente più alta: prediligo il modo di produrre il thrash metal in voga intorno al 1990, e cioè, un rullante fracassone come da manuale (leggasi Beneath the Remains), ed un suono asciutto e non saturato dai bassi di cui si abusò negli anni seguenti. The Age of Dead Christ, è appurato, ha risollevato i Necrodeath da una relativa anemia che ancora in The 7 Deadly Sins li riguardava: un approccio differente e più consono alla produzione, probabilmente, finirebbe col mettere le cose definitivamente a posto. (Marco Belardi)
A me i pezzi punk in chiave thrash non mi hanno mai entusiasmato ( escluso undisputed attitude degli slayer), non ascolto mai punk e metal nella stessa giornata. Comunque i Necrodeath sono sempre in forma, ormai mi accompagnano in cuffia da decenni.
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Certo che la copertina è parecchio brutta e anche l’anteprima del video. Pensavo che certe cose tipo Dimmu Borgir e Cradle Of Filth avessero fatto il loro tempo a livello grafico.
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Cazzo siamo nel terzo millennio e c’è ancora gente che che sventolano croci rovesciate e pseudocorna?ma imparate a suonare …ridicoli…rockin in the free world
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