SUFFOCATION – Pinnacle Of Bedlam (Nuclear Blast)

A ben 4 anni di distanza dal precedente (e a mio parere non eccelso) Blood Oath, i Suffocation tornano sulle scene con un album a titolo Pinnacle Of Bedlam. In un’epoca in cui band seminali si sciolgono e anche i mostri sacri non se la passano bene c’è un bisogno spasmodico di tornare all’essenza delle cose, la musica, che conta sopra ogni altra cosa per noi capelluti adoratori del Bafometto. E ,nonostante gli stessi Suffocation abbiano passato un periodo non propriamente roseo (prima con l’abbandono di Mike Smith sostituito dall’ex Malevolent Creation Dave Culross e poi con l’addio di Frank Mullen alla vita on-tour della band), sono riusciti a totalizzare un altro successo dimostrando di possedere la stoffa dei maestri.

Pinnacle Of Bedlam è una bomba: potrei benissimo chiudere qui la recensione ed esortarvi a comprare l’album primm’e mò come diceva un mio amico di Afragola, ma voglio spendere alcune parole per farvi capire come la classe non si possa comprare al Carrefour, ma vada guadagnata con anni di dedizione e sudore lasciati sui palchi e in sala prove. Questo lavoro ha tutto quello che si possa desiderare in un album death metal: cattiveria, songwriting eccelso, groove (perché no?), tecnica al servizio delle canzoni e non viceversa e soprattutto a-t-t-i-t-u-d-i-n-e. Il marchio di fabbrica dei Suffo c’è tutto anche se innegabilmente alcune cose sono cambiate: Pinnacle Of Bedlam si viene a trovare a metà strada tra la ritrovata maturità di Souls To Deny e l’urgenza di comunicare di Despise The Sun. Un album che forse non avrà nulla a che spartire con i primi lavori della band ma che dimostra comunque un carisma distante anni luce dal 90% dei gruppi tanto blasonati oggigiorno; la coppia Marchais-Hobbes alle chitarre tesse un arazzo di desolazione e apocalisse, supportato dal growl inconfondibile di un Frank Mullen ispiratissimo e in piena forma. Una delle soprese più gradevoli (almeno per me) è stato poi il ritorno dietro le pelli di Dave Culross (già presente su Despise The Sun) che ha portato una leggera virata in quello che era il tipico drumming di Smith: più doppia cassa, un po’ meno blast beat, ma altrettanta cattiveria (d’altronde non parliamo del primo stronzo venuto giusto?). Un disco solido, compatto, una certezza a cui affidarsi nei periodi più bui dell’esistenza, quando anche i Vomitory si sciolgono e i Bolt Thrower non pubblicano un’ostia dal 2005, meno male che ci sono i nostri ragazzoni di New York a sostenerci. (Luca Bonetta)

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