Avere vent’anni: LOS NATAS – Corsario Negro

Ecco un altro pezzo di adolescenza che compie vent’anni. In realtà lo faceva a febbraio, ma non me ne ero accorto. Ora, potrei fare come il Barg con gli Agalloch e dirvi che in realtà volevo parlarvi della mia passione per Contemplando la Niebla, pezzo psych maestoso contenuto qui, mentre inizia la stagione delle brume qui in Val Padana. Ma no, non reggerebbe, la bassa lodigiana non assomiglia manco per niente alla pampa argentina, in realtà. Per lo meno per come me la immagino io, la pampa. Però la nebbia è suggestiva pure qua, nasconde parecchio dell’uomo e dello schifo che ha realizzato. Non divaghiamo. Corsario Negro è il primo disco dei Natas da quando hanno preso a firmarsi Los Natas, per omonimia credo con dei rapper americani. Ed è anche il primo disco con cui si scrollano di dosso l’eredità dei Kyuss, quasi del tutto. E dire che col disco prima, Ciudad de Brahman, sono stati forse quelli più vicini di tutti allo svelare il segreto della bellezza della musica di Homme, Garcia e Co. Poi, pure loro, il fallimento Man’s Ruin, nuova casa alla Small Stone e stavolta, al posto di Dale Crover dei Melvins, dietro al banco della regia c’è nientemeno che Billy Anderson in persona. Copertina di impatto assicurato. Dal titolo pensi a Salgari e Kabir Bedi e invece ti ritrovi davanti un indio che è un fascio di muscoli e gli occhi iniettati di sangue. Che poi Salgari ha scritto storie ambientate un po’ ovunque. Io ho letto solo qualcosina, ma immagino che un suo eroe indio, un Tremal Naik del Rio della Plata, se lo sarebbe immaginato proprio così.

La prima sorpresa, che dura almeno una buona metà del disco, è il suono. Oddio, sorpresa, abbiamo detto che c’è Anderson. Semmai la sorpresa era come Crover avesse essere potuto essere così gentile nei suoni da mille e una notte della città di Brahman. Quindi Anderson ci mette un suono nitido, da presa diretta, i dettagli della batteria sono perfetti, così come la chitarra pulita, nitida, sì, ma profumata e oscura. Il distorto si discosta abbastanza nettamente dai vecchi Natas, quelli senza articolo. Ora Chotsourian usa una specie di crunch terroso, meno riverberato, più sporco. Più del suono, lo stile. Broide abbandona quasi totalmente la pista del flusso di Brant Bjork e lavora di dettagli, fratture, figure meno prevedibili. Tranne ovviamente quando c’è da lasciare la briglia sciolta, ma sono pochi momenti. E la voce ora è più aspra, adulta, meno musicale e anche questa più terrosa. Ancora più ispanica di prima. Su questo ci torniamo.

Tutta la prima parte del disco, si diceva, è un susseguirsi di scenari e paesaggi lussuriosi, tra il fantascientifico (l’intro è 2002, chiaro no?) e una forma musicale che mette in scena forze naturali, lussureggianti. Ritmi lenti, pachidermici (Patas de Elefante) e qualche fuga liberatoria che sfoga appunto l’inquietudine che si prova di fronte a paesaggi naturali tanto affascinanti quanto non dominabili. La chiave è un po’ tutta qui. I Kyuss sono riusciti a far fiutare il deserto anche ad un ragazzino nel cemento dell’entroterra romano. I Natas hanno voluto fare lo stesso con suoni, profumi e luci della loro terra e quindi hanno dovuto cercare una formula che fosse la loro. Ma avevano dei riferimenti da cui partire per riuscirci.

In quegli anni c’era una fioritura di suoni stoner dall’Argentina e su Rumore se ne parlava assai. Poseidótica, Dragonauta, Humo del Cairo e via. I Natas avevano aperto la strada e da lì si cominciava a citare cosa fosse successo da quelle parti venti e passa anni prima, in tempi un po’ più tenebrosi. Il rock argentino dei ’70 era stato incredibilmente fertile grazie a qualche figura di carisma e capacità particolare. Pappo, Luis Alberto Spinetta, Miguel Abuelo. Ora, per la seconda volta mi riprometto, la prossima volta che non ho un cazzo di disco nuovo di cui parlarvi vedo di tirare via due appunti su quella scena. C’è di che stupirsi. Intanto torniamo ai Natas, che da qui, dal corsaro nero, non sono più una band epigone (particolarmente brillante) dello stoner californiano e diventano l’incarnazione contemporanea, all’epoca, dello spirito libero del rock argentino. Da qui il dare libero sfogo al loro istinto, immagino sicuramente influenzato da anni di ascolto di quei personaggi che, se non potevano essere liberi di esprimere il loro pensiero con le parole in sicurezza, durante una dittatura, lo facevano con le chitarre.

E comunque sto contestualizzando troppo. Cazzo ne sapevo io venti anni fa dell’Argentina e della libertà. Cazzo ne so ancora ora, poi. Corsario Negro potete godervelo anche così, come viene. Ma non aspettatevi uno stoner lineare, da cartolina o alla Fu Manchu. Che poi i Natas con i due Toba Trance avrebbero approfondito tutto quel discorso epico, etico, etnico legato alla loro terra con suoni più ambient, lo avremmo scoperto presto. Qui il discorso è ancora fuso con la voglia di fare rock e alzare un muro di watt. E appunto, il brano migliore, per fotografare gli argentini nell’anno nuovo 2002 è proprio Contemplando la Niebla. Un pigro andamento marziale, sbadigli al wah wah e un’esplosione psych controllata, romantica, malinconica, profumata. E basterebbe questa per rendere un disco come questo una perla da riscoprire. Per voi, ché io non me la sono mai scordata. (Lorenzo Centini)

8 commenti

  • Un saluto dalla Bassa Lodigiana, un tempo sì suggestiva con le marcite, i pioppi a perdita d’occhio, e i fossi che facevano salire l’umidità in forma di nebbiolina, da perdercisi girando a vuoto con il Motron. Ora terra di logistiche, e disperati con il monopattino. Qua e là, qualche costruzione abbandonata e fatiscente provoca ancora brividi e spleen psych/sludge

    Piace a 1 persona

    • Lorenzo Centini

      Io Cornegliano Laudense. Tu?

      "Mi piace"

      • Lorenzo Centini

        Sono relativamente nuovo dei posti, vorrei saperne di più di costruzioni abbandonate…

        "Mi piace"

      • aldilà di qualsiasi “incursione urbex” , spettacolare o meno, pericolosa o meno (ci sarebbero discoteche abbandonate, fabbriche dismesse, mulini diroccati, ecc…), ti consiglio il canale navigabile che avrebbe dovuto collegare il fiume Adda con il Po, portando la navigazione da Milano al mare, un sogno tecnologico di sapore Leonardesco e Cavouriano, mai portato a termine, lo puoi trovare poco dopo Pizzighettone in direzione Cremona, e puoi passeggiare o pedalare per un bel pezzo godendoti le chiuse, i ponti, l’orizzonte da non-luogo che si perde in curve di cemento, acque ferme, troooppo stoner…..

        "Mi piace"

      • Lorenzo Centini

        Ottima dritta, per ora ho esplorato la Muzza e fatta una irruzione in un sanatorio abbandonato vicino San Colombano. Segno quest’altro canale dopo Pizzighettone. Sara la continuità di quelli sempre sull’Adda, andando verso Trezzo…

        "Mi piace"

  • Dalle mie parti invece confiniamo con il vecellese, terra nella quale non è raro non vedere il sole per settimane e contemplare solo nebbia e brina… Comunque i Natas erano (sono?) molto fighi.

    Piace a 1 persona

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...