Polenfeldzug: MGŁA // MARDUK @Progresja, Varsavia, 27.11.2021

Charles: Questa di Varsavia è stata per me la prima spedizione punitiva all’estero con le truppe cammellate di Metal Skunk dopo quella del lontano aprile 2019, in quella lontanissima landa ghiacciata chiamata Svalbard. Nel frattempo i nemici del vero metal hanno provato a eliminarci in tutti i modi, ma noi, che conserviamo il segreto dell’acciaio, abbiamo resistito e usato questi due anni di esilio per affilare le nostre asce bipenne e le nostre spade al solo fine di farci trovare pronti alla chiamata alle armi che, questa volta, è provenuta dall’ugola maligna di Mortuus. L’occasione era perfetta sia per ritrovarci con l’amico polosardo Tola, che non vedevo, se la memoria non mi inganna, dall’ultima data dei Black Sabbath a Birmingham, sia per tornare in quella Varsavia che, per colpa degli eccessivi rigori dell’inverno e della vodka polacca, non ricordavo minimamente come fossa fatta. Con Enrico, Ciccio e Mighi, dunque, prendiamo il volo carichi di buonissime intenzioni: quella di invadere la Polonia per la seconda volta.

Il nostro blitzkrieg (la trasferta è durata solo 48 misere ma intense ore) prevedeva prima l’acquartieramento presso una centralissima sistemazione chiamata Kanonia, che abbiamo ovviamente rinominato Katatonia, questo ancor prima di aver visto davanti al nostro appartamento un piccione spiaccicato che ci ha portato alla mente la copertina di Brave Murder Day: l’aruspicina, arte che insegniamo come corso di formazione obbligatorio a tutti i neoassunti del blog, ci ha permesso di interpretare i segni divini che ci stavano dicendo che eravamo esattamente nel posto giusto al momento giusto. Il secondo movimento tattico da compiere prima che la Panzer Division Metal Skunk invadesse il Progresja era recarsi presso il Podwale 25, un locale tipico polono ove mangiare cose tipiche polone. Visto che, si sa, una birra tira l’altra e uno stinco tira l’altro, ci siamo attardati parecchio perdendoci i quattro gruppi di apertura (Doodswens, Martwa Aura, Valkyrja, Medico Peste), come da buona tradizione metalskunkiana. Dunque ne approfitteremo per parlarvi delle cose buone che abbiamo mangiato.

pirogi

DOODSWENS (Pirogi)

Charles: I pirogi, o pierogi (la “gi” si pronuncia “ghi”), sono, per capirsi, tipo dei ravioli che vengono riempiti in vario modo e cucinati in almeno due versioni, come abbiamo potuto sperimentare di persona, ed è un tipico primo piatto polacchio. In due giorni penso che abbiamo ordinato una trentina di pirogi però come antipasto. Abbiamo preso quelli coi funghi (i nostri favoriti) e quelli con le patate (anche molto buoni) e una volta erano cotti sulla piastra, un’altra al vapore, credo (non sono andato a chiedere allo chef e nemmeno ho avuto il tempo di fargli una foto perché sparivano subito). Geniale l’idea del nostro winterdemon Michele quella di farci portare anche della panna acida, che ci stava benissimo. Venivano serviti con una salsetta sopra o con dei crauti che ci stavano ancora meglio.

golonka

MARTWA AURA (Golonka)

Charles: Il golonka sarebbe lo stinco di maiale. A tal proposito, il primo giorno abbiamo avuto un problema non da poco perché, a parte Ciccio che è un intellettuale e si deve sempre distinguere da noi buzzurri metallari e che dunque aveva ordinato un involtino di verza con la carne macinata dentro (anche molto buono, a onor del vero), insomma a parte lui, noialtri uomini avevamo ordinato quattro stinchi al forno con i crauti e invece, mortacci della carinissima cameriera che ha preso la comanda a capocchia (evidentemente stordita dal nostro indiscutibile fascino), ci hanno portato quattro stinchi in umido col sugo e una poltiglia di barbabietola. Era buono anche quello, per carità (la barbabietola, invece, ve la potete tenere), però che rosicata. Così, la domenica a pranzo ce ne siamo andati in un posto ancora più caratteristico e con una cameriera ancora più carinissima ed abbiamo finalmente mangiato la golonka che dicevamo noi.

kielbasa

VALKYRJA (Kiełbasa)

Enrico: Un aspetto che mi ha colpito particolarmente dei polacchi è la loro serietà: se sul menù scrivono “mezzo metro di salsiccia” e tu lo ordini, poi ti arriva davvero MEZZO METRO di salsiccia. Tendenzialmente in un piatto non entrerebbe tutta intera, quindi i polacchi tendono a dividerla in due parti (così almeno una la mangi, direbbe il simpatico Charles) e ad appoggiare un troncone sopra l’altro formando una croce rovesciata, o almeno in questo modo l’ho intesa io forse suggestionato dalla qualità della scena black metal locale. Qui la salsiccia è una faccenda serissima, deve rispettare rigorosi standard governativi per dirsi tale e viene servita insieme agli immancabili crauti e a delle frittelle di patate immerse nello stesso olio da decenni: ne assaggi un pezzo e vieni subito assalito da un senso di sazietà che cozza drammaticamente con la voglia di finire il mezzo metro di salsiccia dall’altra parte del piatto. Voglia che diventa obbligo morale qualora si intendano evitare gli sguardi di commiserazione delle avvenenti cameriere indigene, sempre pronte a dileggiare gli stranieri in difficoltà coi piatti del posto.

bigos

MEDICO PESTE (Bigos)

Enrico: È da quando ho letto il running order della serata che mi sono fissato coi Medico Peste. Non ne ho mai sentito neanche una nota e so solo che vengono da Cracovia, ma sono assolutamente convinto che un gruppo con un nome del genere debba essere per principio fenomenale. D’altronde cosa può esserci di più fenomenale di un polacco che chiama la sua band MEDICO PESTE? Forse soltanto il polacco che ha inventato il bigos. Siamo tutti intorno al tavolo a fissare questa specie di enorme panino intagliato al suo interno come fosse una ciotola e riempito di crauti, verza, carne di vitello e di maiale, salsiccia, pancetta, funghi, cipolla, prugne secche, pomodoro e una marea di spezie non meglio identificate, tutto bollito e mischiato a creare una poltiglia divina. Incute quasi soggezione per il profumo ancestrale che emana. I minuti passano, l’ora dei Medico Peste si avvicina e noi siamo ancora intenti a divorare questa meraviglia della cucina polacca, usando il fondo di pane come posata e spazzolandone il contenuto a fameliche boccate. I sodali sono insensibili alla mia voglia di scoprire chi sono i Medico Peste e a dire il vero dopo un po’ lo divento anch’io, per lo meno finché il piatto non è finito. Solo a quel punto riesco a recuperare la loro attenzione e li convinco a prendere un taxi al volo, tentando l’impresa disperata di raggiungere il locale in tempo per vedere anche soltanto uno spezzone dei Medico Peste. Ci si mette pure il maledetto traffico di Varsavia a rallentare la marcia, facendoci perdere minuti preziosi. Mentre il nordafricano alla guida accelera e inchioda a ripetizione per evitare incidenti e arrivare il prima possibile, sento che il mio stomaco ha già cominciato ad assimilare le quintalate di carne e crauti ingurgitate poco prima. Sudo, sbuffo, tento con tutte le mie forze di trattenere dentro di me l’onda energetica che sta montando, siamo in quattro in una macchina e non vorrei uccidere nessuno, mi aggrappo alla maniglia, cerco di cambiare posizione ma niente, il tornado monta sempre più potente. A un certo punto non ce la faccio più e approfitto dell’ennesima clacsonata dell’amico taxista per coprire il rumore della deflagrazione e lasciare che il fungo atomico si dipani liberamente. Per un attimo il tempo e lo spazio sono sospesi, l’intero universo sembra immobile. Mi giro lentamente alla mia destra e vedo Ciccio imperturbabile con la mascherina su naso e bocca, il berretto dei Saint Vitus calato in fronte e gli occhiali da vista completamente appannati. Michele sul sedile anteriore è immerso nel glaciale silenzio dei demoni nordici. Sospiro sollevato, nessuno ha sentito nulla, sono salvo, fiuuu. Finalmente mi rilasso. Tempo dieci secondi e davanti a me l’autista, nella serata gelida di Varsavia, incurante del vento sferzante e della pioggerellina fastidiosa che arriva dall’esterno, abbassa silenziosamente il finestrino. Mi sa che è lui l’unico di noi stasera ad aver visto i Medico Peste.

mgla

MGŁA

Michele Romani: I MGŁA sono il primo gruppo della serata a cui dedichiamo la giusta attenzione, visto che, dopo un pranzo interminabile e tassisti che non si trovano, ci perdiamo i Medico Peste (con un Enrico distrutto per questo) e arriviamo alla immensa location del Progresja (a proposito, mai vista tanta gente ad un concerto black in vita mia) giusto per sentire qualche pezzo dei Valkyrja. In realtà di questi ultimi si sente un pastone indefinibile di cui riusciamo a capire poco o nulla, quindi optiamo per fare rifornimento al bar e gustarci dalle prime file i MGŁA, senza dubbio i più attesi della serata. Piccola polemica personale: se fossi stata l’organizzazione dell’evento avrei invertito l’ordine in scaletta con i Marduk; non voglio con questo mostrarmi irrispettoso con un pezzo di storia del black metal come Morgan e soci, ma era piuttosto prevedibile che molta gente se ne sarebbe andata dopo i polacchi (come infatti è successo), con un Mortuus sempre più spazientito man mano che la sala si svuotava inesorabilmente. Tornando a bomba coi MGŁA, devo dire che dal vivo sono sempre una garanzia assoluta: personalmente li avevo già visti ad un Brutal Assault di due anni orsono, ma in questa occasione, fomentati poi dal fatto di giocare in casa, hanno spazzato via tutto e tutti senza un attimo di respiro. Si parte subito col secondo e terzo estratto dell’ultimo Age of Excuse, e subito si nota come la band sia pesantemente sul pezzo, con il cantante chitarrista M. che, coadiuvato da The Fall alle backing vocals, declamano le liriche ultranichiliste, da sempre caratteristica del gruppo di Cracovia. Seguono a ruota gli episodi II e VI di quel disco della madonna che risponde al nome di Exercises in Futility, risuonate praticamente come su disco, con una pulizia e precisione che raramente si denotano in una band black metal dal vivo. Dopo un altro paio di pezzi dall’ultimo si arriva ad un altro highlight assoluto della serata, Exercise in Futility V, con un Darkside assolutamente disumano dietro le pelli, o forse per meglio dire dietro i piatti, visto che ne fa un uso continuo. La parte dal sesto minuto circa in poi è una roba difficilmente descrivibile a parole. Se proprio vogliamo trovare una pecca, avrei gradito qualche pezzo in più dei primi due mini e due full invece che la sola With Hearts Towards None part I, più che altro per variare un po’ il tutto: essendo gli ultimi due stilisticamente molto simili, in alcuni frangenti c’è il rischio di dar vita momenti di stanca e ripetitività, che non hanno riguardato il sottoscritto ma che posso capire possano capitare a chi non è proprio un die hard fan della band polacca. Age of Excuse VI pone il sigillo finale ad un concerto per quanto mi riguarda grandioso: zero intro, zero parole, ma solo ed esclusivamente un’ora di superlativo black metal come Satana comanda.

marduk

MARDUK

Ciccio Russo: Confesso di non condividere l’entusiasmo dei miei sodali per la prestazione dei Mgla, band che apprezzo su disco ma che dal vivo dopo un po’, pur di fronte a una prestazione impeccabile, ha iniziato ad annoiarmi un pochino. Di parere opposto è apparsa quella non trascurabile parte della platea che ha lasciato la sala prima dell’inizio dello show dei Marduk. Mi spiace per loro perché ho perso il conto delle volte che ho visto gli svedesi dal vivo e quella di stasera è la loro migliore prestazione alla quale abbia mai assistito. Saranno stati i suoni ben bilanciati, che esaltavano a dovere il riffing infernale di Morgan Hakansson, sarà stato un ennesimo nuovo batterista particolarmente in palla (il tedesco Simon Schilling, già nei Panzerchrist e ora coinvolto nella reunion degli Eucharist, che pubblicheranno un nuovo album tra pochi giorni), sarà stato il semplice fomento suscitato dal ritrovarsi di nuovo, dopo tanto tempo, in mezzo a una ressa lercia e sudata di fronte a un palco, ma dopo un paio di pezzi mi sono sentito un autentico stronzo a non aver partecipato anche alla data di Roma perché tanto li vedo a Varsavia.

La scaletta celebra i trent’anni di carriera di una band che ha sbagliato pochissimo e, dato il tempo limitato a disposizione, sacrifica tutto l’arco della discografia che va da Rom: 5.12 a Serpent Sermon. Spiace perché il materiale migliore con Mortuus è in buona parte là, non certo negli ultimi due album, nei quali – e qua concordo con la diagnosi fornita da Roberto ai tempi della recensione di Frontschwein – hanno preteso di tornare a essere qualcosa che non sono più da un pezzo. Uno dei picchi della serata è invece proprio la ferale doppietta The Hangman of Prague/ Seven Angels, Seven Trumpets, dall’album che segnò il debutto del cantante dei Funeral Mist dietro il microfono. Largo spazio alla nostalgia, invece, con una fantastica versione di Materialized in Stone tra i momenti migliori. Si conclude con due estratti da Panzer Division Marduk e non ne ho ancora abbastanza, vorrei che lo suonassero tutto due volte di seguito. Si torna nella città vecchia a orario non troppo antelucano ma non ci sono posti aperti dove elevare ulteriormente il tasso alcolico. L’unica luce che illumina la Vistola e quella del McDonald’s. Ci adeguiamo. Lo sapevo che bisognava farsi fare un pacchetto con gli avanzi dello stinco che i compari avevano con onta lasciato nel piatto dopo aver sopravvalutato l’impatto dei troppi giri di ravioli polacchi.

panzer division metal skunk

La Panzer Division Metal Skunk intenta a definire le sue priorità

3 commenti

  • Che invidia. Inconcepibile che una sala si svuoti per un concerto dei Marduk.

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    • I quali peraltro, e mi accodo a Ciccio, hanno fatto il concerto migliore che gli ho visto fare negli ultimi 10 anni. A Mortuus dovevano girare le palle perché gli è successa la stessa cosa, nella stessa location, qualche anno prima coi Vader, altri eroi locali. Purtroppo capita a volte che alcuni personaggi inqualificabili rimangano solo per le glorie locali e poi se ne vanno…

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  • Mi è venuta fame.

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