Viaggio ai confini del mondo: MANOWAR @Longyearbyen, isole Svalbard, 16/04/2019

Ciccio Russo: Come sapete, qua a Metal Skunk conserviamo la sana abitudine di andare a vedere i Manowar all’estero almeno una volta all’anno. Non sappiamo se e quanto questo The Final Battle, sulla carta l’ultima tour dei Signori del Vero Metal, si prolungherà oltre i concerti già annunciati. Fatto sta che avevamo atteso con ansia la comunicazione, avvenuta un po’ alla spicciolata, delle date europee. Dove andare questa volta? In Russia? Oppure a Minsk, per goderci un po’ di socialismo reale? Mentre ponzavamo, Joey DeMaio pubblica un video che vede la sua possente figura stagliarsi di fronte a un cartello con un orso polare. Dice che, per l’occasione, suoneranno per la prima volta a Longyearbyen, nelle isole Svalbard. Ma dove sta Longyearbyen? Al settantottesimo parallelo, molto oltre il Circolo Polare Artico, sull’isola Spitsbergen. Per darvi un’idea, la distanza da Oslo è la stessa che separa la capitale norvegese da Roma. L’insediamento umano più a Nord del mondo. Praticamente il Valhalla.

Oh, dobbiamo andare a vedere i Manowar alle Svalbard, mi fa Charles. E per forza, gli rispondo. Guarda che io voglio andare sul serio a vedere i Manowar alle Svalbard, mi scrive il giorno dopo. Perché, pensi che stessi cazzeggiando? gli replico. Si comprano i biglietti e si prenotano i voli. Tutto questo sette mesi fa. Perché il tour d’addio dei Signori del Vero Metal richiedeva uno sforzo supremo. Che mica il Valhalla ce lo si guadagna con poco.

WHALE, WHALE, WHALE AND SEAL

Dato il notevole afflusso di turisti, a Longyearbyen ci sono parecchi ristoranti per un centro di poco più di duemila abitanti. Il più celebrato è alla fine della strada che attraversa il paese, dalla parte opposta rispetto a dove stiamo noi e più o meno presso il punto che non si può oltrepassare senza essere armati perché ci stanno gli orsi polari, i veri padroni di casa. Sono pochi chilometri a piedi ma fatti sul ghiaccio non sono proprio una passeggiata di salute, considerando che solo il primo giorno sono scivolato e caduto tre volte. Quindi accettiamo per due sere su tre il suggerimento della vezzosa concierge del Mary Ann’s Polarigg, ovvero cenare al ristorante dell’albergo, che sarebbe “l’unico della città dove si mangia la vera cucina artica”. Ovviamente sarà un suggerimento teso a scongiurare che i clienti si rivolgano alla concorrenza ma, siccome ci pesa il culo, lo accettiamo. Ma cos’è la vera cucina artica? Il menu propone cinque portate. Salmone, manzo, renna, balena e foca. E basta.

Pelli di foca appese come Odino all’Yggdrasil

Io vado di filetto di renna, tenero che si scioglie in bocca. Carlo azzarda una bistecca di balena della quale assaggio un pezzetto sentendomi tantissimo in colpa. Vabbé, mo’ la balena ti fa pena e la renna no. Beh, la balena viene praticamente squartata viva in mare mentre annega nel suo stesso sangue dopo essere stata straziata da un rampone esplosivo. Alla renna una pallottola e via. Due giorni dopo, durante la crociera nel fiordo, chiedo ai thailandesi che preparano il barbecue (per qualche motivo a Longyearbyen è pieno di thailandesi) cosa stessero cucinando. Manzo, mi dicono. Ma solo le costine erano di manzo. La fettina ultramarinata che mi viene messa sul piatto ha un sapore particolare. Azz, è balena. Di cosa sa la balena? Beh, di balena. È una carne aspra, pesante e quasi subito stucchevole. Insomma, se non sei un eschimese, è ancora più giusto lasciarla in mare. Ci sarà un motivo se l’uomo quasi ovunque evita la carne degli altri predatori, che ha un ph più acido. Stessa cosa per la terribile foca alla borgognona che Charles ordinerà l’ultima sera e della quale, sempre sentendomi tantissimo in colpa, assaggio un pezzetto. Si ripresenta, come la pecora, ti perseguita nelle viscere mentre nella mente rievoca le immagini più macabre che hai visto sul canale YouTube di Greenpeace. C’è solo una cosa che può salvare la tua digestione…

LE GIUSTE GRAPPE

A Longyearbyen si beve benissimo, va detto. C’è la cantina più fornita di tutta la Scandinavia; c’è un supermercato con un’offerta di vini pazzesca e dai costi ragionevolissimi, grazie all’assenza di tasse, per bottiglie che in Italia costano un occhio; la birra artigianale prodotta in loco e servita nel pub in centro è eccellente (a me Ipa e Apa stuccano molto presto e sono andato di lager e pils ma i miei compari mi hanno assicurato che pure quelle meritavano) e le acquaviti sono la tua salvezza quando si tratta di fare i conti con la vera cucina artica. In una conversazione sul gruppo Facebook del blog, Giuliano una volta ci magnificò lo squalo putrefatto che là in Norvegia sarebbe una prelibata pietanza tipica e, ai nostri lazzi, rispose che bisognava mangiarlo con le giuste grappe. Ora abbiamo compreso. Non è che le giuste grappe ti consentono di apprezzare meglio il sapore di queste squisitezze. È che sono l’unica cosa che ti rimette in sesto lo stomaco e ti ripulisce la bocca dopo che hai pasteggiato con la stramaledetta vera cucina artica.

L’impressionante offerta di whisky del pub Karlsberger

IL CONCERTO

La Kulturhus è un capannone che ospita tutte le manifestazioni culturali che si svolgono a Longyearbyen, dai concerti di musica da camera alle performance teatrali. Dall’interno, con le poltroncine rimosse, sembra più grande di quanto non ci fosse apparsa dai video che avevamo visto su internet nei lunghi mesi di attesa. Ma comunque contiene poche centinaia di persone e a rendere il concerto di stasera indimenticabile è proprio l’aver visto una band da arena in un contesto da club. Insomma, quando Eric Adams canta I can see by the look that you have in your eyes you came here for metal to fight and to die lui ti sta guardando davvero negli occhi. Soprattutto se, come noi, sei riuscito a guadagnare la seconda fila, dalla quale rovineremo la visuale ai malcapitati dietro di noi innalzando le nostre enormi bandiere dell’Italia con il logo di Metal Skunk stampato al centro. E la profusione di stendardi nazionali mostra che stavolta davvero here our brothers stand from all around the world. C’è chi è arrivato dagli Stati Uniti, chi dal Giappone, chi dal Brasile, chi dal Perù. Per rendere omaggio agli dei del Metal ove più si confà, alle porte del Valhalla. Letteralmente.

Dopo le note, squallide vicende giudiziarie che hanno coinvolto Karl Logan, al suo posto c’è E. V. Martel, il chitarrista della cover band brasiliana Kings of Steel, la stessa dalla quale proveniva il batterista Marcus Castellani, che aveva preso il posto di Donnie Hamzik un paio d’anni fa. Castellani, però, non c’è più. Al suo posto un veterano consumato come Anders Johansson, già visto negli Hammerfall e a fianco del Malmsteen dei tempi d’oro, quello di Marching Out, Trilogy e Odyssey. Martel somiglia a un Logan più giovane e senza baffi. E un po’ una zappa e sbaglia qualche attacco. Qualche cappella la piglia pure Johansson, segno che l’amalgama non è ancora perfetto (niente da dire, invece, sulla performance di Adams, che davvero non si capisce perché debba andare in pensione). Anche la resa sonora dei primi pezzi lascia a desiderare, data l’amplificazione un po’ di fortuna, date le dimensioni del locale che non permettono di erigere le torri di Marshall alle quali siamo abituati. Ma non ce ne frega niente, È TUTTO BELLISSIMO.

Cantiamo invasati ogni singolo verso di una scaletta votata dai fan che privilegia Warriors of the World, dal quale vengono estratti ben cinque pezzi. Il che ci può stare, perché è il primo disco dei Manowar che la generazione di fan immediatamente successiva alla mia (diciamo chi ha trent’anni o poco più) ha visto uscire; pure io ci sono molto legato. Dove perdo però davvero la brocca è su The Power of Thy Sword, dal mai troppo esaltato The Triumph of Steel, e soprattutto su Thor, la mia canzone preferita dei Manowar. Dato il contesto geografico sarebbe stato peraltro inconcepibile non suonarla. Quando Black Wind, Fire and Steel chiude le danze è come ogni volta: ti sembra sia durato tutto pochi minuti, li vedresti per altre cinque o sei ore e speri davvero che questo ultimo tour duri il più possibile o sia l’ennesimo ultimo tour che poi si rivela penultimo, terzultimo o quartultimo. Non la si può dar vinta così ai nemici del vero metal e ci sono ancora tanti palchi sotto i quali sventolare il nostro potente vessillo.

VALHALLA

Charles: Perché? È la domanda che mi ha fatto parecchia gente. Va da sé che, nel bene e nel male, ancora una volta, mi sono trovato costretto a dividere le persone in due categorie: quelli che ti chiedono il perché e quelli che non hanno bisogno di spiegazioni, essendo la ragione talmente intrinseca e palese da non meritare alcuna risposta. Allo stesso tempo è impossibile darne a chi ha delle categorie mentali talmente distanti dalle tue. Quindi mi rivolgo solo a quelli che non hanno bisogno di spiegazione alcuna. Voglio credere che voi non eravate con noi perché non avete potuto materialmente o perché vi è mancata la stessa prontezza di riflessi nell’accettare la sfida che i Manowar ci hanno posto di fronte, una sfida talmente stupida, folle e coraggiosa che non era possibile tirarsi indietro. Sì, perché organizzare un concerto nel posto civilizzato più a nord del mondo ha un portato di follia e stupidità (intesa come il contrario di pragmatismo, efficacia, razionalità, comodità, funzionalità etc.) che va oltre ogni concezione di ciò che è giusto o sbagliato.

Where the eagles fly I will soon be there, if you want to come along with me my friend, say the words and you’ll be free, from the mountains to the sea: la libertà è il concetto che è alla base di tutto, la libertà di fare ciò che si ritiene giusto e dovuto. Oltre al dover essere un po’ stupidi, folli e coraggiosi, bisogna essere intrinsecamente liberi per fare una cosa del genere, liberi non solo materialmente ma soprattutto liberi di testa e la libertà vale molto più del denaro, questo lo sperimento su me stesso ogni giorno. La libertà ha sempre un prezzo e di solito il conto che ti serve è salatissimo, quindi il bilancio non andrà mai in pari. Mi si perdoni se queste parole possono suonare vanagloriose ma la vita è troppo breve ed effimera per lasciarsi scappare occasioni così.

E dopo questi due centesimi sulle motivazioni, altri due sul contesto che è fatto di persone e di ghiaccio. Abbiamo incontrato soggetti umani agli antipodi, dall’enorme brasiliano un po’ tardo, ma eroicamente sempre in prima fila, che era venuto fino a lì accompagnato dalla mamma che parlava solo portoghese e che sicuramente non si rendeva affatto conto di quello che le stesse accadendo intorno, come del perché un gruppo di ragazzi e ragazze provenienti da tutto il mondo si era riunito in quel posto dimenticato da dio a cantare le loro canzoni di vero metal a -3°, imbracciando i loro stereo e le loro bandiere per sfilare avanti e indietro lungo le strade ghiacciate del paese di fronte ai sorrisi sardonici e di superiorità della gente del luogo e dei turisti che per un giorno si sono visti costretti a rasentare i muri come dei sorci per far largo all’armata manowariana che incedeva potente. Poi ci stavano anche persone dalla evidente consapevolezza, come Riccardo, bassista e voce dei romani Hammer, nuovo amico e maestro di vita, che è partito dall’Italia da solo per rendere onore alla più grande band di tutti i tempi e poter dire con orgoglio e fierezza il fatidico: io c’ero. Hail ai presenti!

Infine, le Svalbard. Già che andiamo lì, ci siamo detti io e Ciccio, facciamo anche un po’ i turisti, tanto questi sono posti dove ci vai una volta nella vita, tanto vale approfittarne. Nulla di più sbagliato. Il giorno prima della partenza già sentivamo la mancanza di quei ghiacci perenni e facevamo progetti per tornarvi anche a prescindere dal metallo (se poi l’anno prossimo qualcuno prende spunto dall’epica impresa dei Manowar e organizza un, che so, festival black metal durante la notte polare, che fai, non ci torni a maggior ragione?). Al mio ritorno, ovviamente, amici e parenti mi hanno chiesto come fossero le Svalbard e credetemi non sono stato in grado di spiegare, come non lo sono adesso e non mi avventurerò nell’impresa.

Due tipi di persone vanno alle Svalbard, leggevo in Operazione Fritham di Monica Kristensen: chi ama l’avventura e la natura estrema o chi ha qualcosa da nascondere e dimenticare (o chi va a vedere i Manowar, aggiungerei a questo punto). Secondo me, forse, chi decide di andare in quel posto è un mix delle due persone. Ognuno tragga le sue personali conclusioni. Sempre in quel libro si cita il “virus delle Svalbard” che è il corrispettivo nordico del mal d’Africa, quella nostalgia che ti prende dopo aver vissuto un periodo in un luogo remoto o desertico. Ecco, solo così posso vagamente rendere l’idea. Ovviamente ritorneremo al Valhalla.

Scaletta:

Manowar
Call to Arms
Brothers of Metal Pt.1
Thor (The Powerhead)
Blood of My Enemies
The Gods Made Heavy Metal
Hand of Doom
Swords in the Wind
House of Death
Sons of Odin
Bass Solo/ Sting of the Bumblebee
Fighting the World
The Power of Thy Sword
Kings of Metal
Warriors of the World United

Discorso di Joey
Hail and Kill
Black Wind, Fire and Steel

5 commenti

  • sergente kabukiman

    Un’altra tradizione di questo blog è che continuo a fregarmene dei manowar ma godo sempre quando ci stanno questi report. Sempre un brivido lungo la schiena.

    Piace a 1 persona

    • Bravissimo. Sono stati la mia band preferita per 15 anni. Adesso, da Louder than hell in avanti, dosi costanti e crescenti di dolore. Possono andare a cagare, ma mi inchino davanti ai fratelli del blog.

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  • A monaco Joey ha detto apertamente che la storia del ritiro alla fine del Final Battle Tour è una fake news (?) ma che lui ai tempi disse semplicemente che si sarebbero presi una pausa (cosa che stanno già facendo, semre a detta sua). Quindi non abbiamo più alcun motivo di temere i nemici del vero Metal, in quanto Joey, Eric e gli altri due pupazzi non ci abbandoneranno mai.
    Purtroppo non ho potuto venire alle Svalbard, ma ho guadagnato comunque un sacco di punti Valhalla andando da solo a Monaco a vederli. E mi so pure trombato la host di Airbnb, che mi ha pure rimborsato il soggiorno. Gran Weekend.

    Piace a 3 people

  • @ciccio russo una domanda: ma su the Power of Thy Sword Johannson ha eseguito la rullata assurda all’inizio ed a metà della canzone?
    Non capisco perchè i Manowar non abbiano mai richiamato Rhino alla batteria…

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