Avere vent’anni: AGALLOCH – Of Stone, Wind and Pillor

Barg: Gli Agalloch sono uno dei miei gruppi preferiti, soprattutto a causa del capolavoro immane The Mantle, di cui si parlerà più approfonditamente l’anno prossimo per il ventennale. Nonostante abbiano composto tre dischi sovrumani (seguiti da uno brutto e uno caruccio), per quanto riguarda i loro EP c’è da fare un discorso a parte. In questi formati ridotti John Haughm e soci hanno sempre dato sfogo alla sperimentazione, tirando fuori dischetti che a volte non sembravano neanche essere firmati dai medesimi autori di Pale Folklore o Ashes Against the Grain; e, nonostante tutto, ognuno di essi fa storia a sé. Questo Of Stone, Wind and Pillor è il primo (e migliore) della lunga serie di EP degli Agalloch ed in questo senso è emblematico. Cinque pezzi: tre risalenti a fine anni ‘90 e due registrati poco tempo prima. Andando più nel dettaglio, solo l’eponima in apertura è un pezzo vero e proprio, con quel riff che anticipa l’andamento di In the Shadow of our Pale Companion (da The Mantle dell’anno successivo). Poi tre strumentali e una cover dei Sol Invictus. Tra le tre strumentali spicca Foliorum Viridium, già presente nel primo demo From Which of this Oak, una specie di dungeon synth evocativo e bucolico; poi Haunting Birds è un gradevole intermezzo di chitarra, mentre A Poem by Yeats è poco più che un outro di circa 4 minuti (più altrettanti di silenzio). La cover di Kneel to the Cross, resa grossomodo in modo abbastanza simile all’originale, suppongo sia stata scelta più che altro per vicinanza spirituale a quel panteismo magico alla buona tipico dei Sol Invictus.

Quello che rimane davvero di questo EP sono dunque le prime due: l’eponima, un bel pezzo che si pone esattamente a metà tra i primi due album, e Foliorum Viridium: in totale neanche dieci minuti di musica. Probabilmente pochino, ma in quel periodo gli Agalloch erano in stato di grazia e ogni briciola che cadeva dal tavolo valeva la pena di essere raccolta.

Agalloch - Of Stone, Wind and Pillor

Griffar: Infilato in mezzo ai due loro capolavori assoluti Pale Folklore e The Mantle, l’EP Of Stone, Wind and Pillor è a tutti gli effetti il secondo episodio della discografia di una band ancora in divenire, che ha avuto una enorme influenza su molta della musica estrema composta in tempi successivi.

Trai i primi assieme agli Empyrium a capire che il black metal aveva potenzialità diverse al di fuori dello spaccare culi e basta, gli Agalloch, assieme ai succitati Empyrium, di fatto si inventarono un genere nuovo, mischiando folk, ambient atmosferico, doom, death, depressive black e black metal classico tutto in un unico calderone, ottenendo infine un ibrido che non possedeva una definizione precisa, ma semplicemente un coacervo di decine e decine di combinazioni come un cubo di Rubik musicale. La title track è un lungo, lento pezzo di pura atmosfera nel quale si possono trovare tutte le influenze di cui sopra, molto vicina a quanto fatto in Pale Folklore però rivisto in modo più attuale, nel senso che avrebbe fatto la sua figurona anche su The Mantle. Un ibrido dunque, come molto spesso è stato per questa band americana precorritrice di un intero genere musicale quale il post-black metal, visto che a loro dischi si sono ispirati centinaia di gruppi con alterne fortune.

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Foliorium Viridium e Haunting Birds sono due tracce strumentali più scarne e brevi, impostate la prima su tastiere maestose e la seconda su chitarre acustiche, questa volta di totale direzione folk. Il quarto pezzo è una cover dei Sol Invictus, un brano ipnotico, che inizia con un mantra ripetitivo e si sviluppa in contesti doom, con backing vocals impostate su temi tipici del black metal. Definirlo strano non è un azzardo, e specialmente per l’epoca era un bel passo avanti verso una direzione praticamente mai tentata da nessuno prima. Chiude l’EP la dolcissima, struggente A Poem by Yeats, un intenso brano che si basa sulla sovrapposizione e l’intercalarsi di molteplici tracce di tastiere e che ricorda molto i momenti più poetici dei Sun of the Sleepless, side project pazzesco di Schwadorf, il mentore di Empyrium. Fermate pure l’ascolto quando le ultime dolci note di pianoforte svaniscono, perché dopo ci sono solo quattro minuti di silenzio seguite da una ventina di secondi di rumori vari.

Cos’altro aggiungere? È un EP di cinque brani, tre dei quali la leggenda vuole esclusi dal disco d’esordio per le solite banali problematiche di minutaggio effettivo e qui rivisti in modo più moderno, in linea con la direzione che i ragazzi volevano intraprendere. La cover di un pezzo di una band distante dal mondo metallico e la conclusiva ode molto teatrale fanno intendere quanto fosse eclettica e futuristica questa band, che in seguito ha tirato fuori della musica impareggiabile, credo unica e mai imitata in modo smaccato. Ci hanno provato gli Alcest, ma ci sono veramente riusciti?

Sicuramente è un acquisto per completisti, perché non è che aggiunga chissà quali chicche imperdibili rispetto ai loro full lenght, ma se siete fan degli Agalloch e non l’avete mai ascoltato potreste dargli un ascolto, specialmente se in quel momento siete incazzati marci con il mondo intero. Of Stone, Wind and Pillor vi rilasserà, e vi farà vedere le cose in modo meno tremendo.

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