A PALE HORSE NAMED DEATH – When the World Becomes Undone
In attesa di capire se RAI Fiction svilupperà o meno L’esorcismo di Virginia Raffaele, straight-to-video in tre puntate destinato a ridursi a sole due per l’intervento della censura, parleremo qui di un qualcosa che, pur essendo a tutti gli effetti pertinente al Diavolo, lo è in una maniera sufficientemente annacquata da consentirvi di superare gli shock morali che queste terremotanti e controverse serate di televisione italiana hanno perpetrato verso tutti voi.
Si tratta degli A Pale Horse Named Death, un doom metal che definirei abbastanza depresso per essere ritenuto tale, ma non così suicidal da farvi prendere le Gillette per farci qualcosa di orribile. Il gruppo appartiene all’ex batterista dei Type 0 Negative e Life Of Agony, Sal Abbruscato, qui nel bene e nel male responsabile della voce oltre che delle chitarre. Una sorta di Dave Grohl del doom/gothic o chiamatelo come preferite, cosicché inizierò a temere siano tutti in fuga dalla batteria per attrarre più topa, o per impedirmi di scrivere quell’articolo che – tempo addietro – mi suggerì di imbastire il buon Charles. Il caso vuole che al tempo dell’uscita avessi sentito i loro primi due album, ma in maniera piuttosto distratta: mi erano piaciuti e nemmeno poco, ma mi suonavano come una sorta di vorrei ma non posso. Il terzo capitolo a mio parere va perfino oltre di essi, poiché vi aggiunge un pizzico di sana paraculaggine forzando più che può sulla componente rock, il che li farà risultare un definitivo finalmente posso, ma ora ho qualche altro problema. Tutto sommato, When The World Becomes Undone è comunque un disco piuttosto bello.
Il suo problema principale è quello di svegliarsi un po’ tardi: inizia con un brano tosto ma che non sa di preciso a chi strizzare l’occhio, dopodiché ne troviamo uno pericolosamente ai limiti del gothic/rock, bello ritmato, e con i passaggi sul rullante a cui manca solo il clap clap con le mani, cosa molto ricorrente nel circuito rock e che detesto almeno dai tempi di Starlight dei Muse. A proposito, alla batteria c’è Johnny Kelly, quello di October Rust. Superata la “parentesi” con cui non avrei mai inaugurato un prodotto del genere, ecco che When The World Becomes Undone ricomincia, ma a quel punto uno sano di mente potrebbe avere già mollato tutto e messo su qualcos’altro. Tipo il thrash metal, che è sempre un ottimo anestetico naturale.
Il disco ha un nemmeno troppo sottile piglio ereditato dalle band che in passato coinvolsero Sal Abbruscato; il groove dei Life Of Agony unito quindi ai riffoni doom ed alle tetre atmosfere tipiche della band di Bloody Kisses. Il punto di riferimento principale sono però gli Alice In Chains odierni dei brani più orientati al metal, quindi cose come So Far Under, Pretty Done o Last Of My Kind. Lo si nota soprattutto da un punto di vista vocale: ci sono le sovra-incisioni, e in un pezzo come End Of Days Sal arriva a tirare in causa pure i momenti più celebri del sottovalutato Degradation Trip di Jerry Cantrell. In particolar modo lo fa con la bellissima Anger Rising: provate a risentirle di seguito. L’inghippo di fondo è che se Jerry Cantrell dietro al microfono risulta assai prezioso in coppia con DuVall, ma sostanzialmente si tratta comunque di un buon mestierante, Abbruscato compone musiche che meriterebbero un’ugola devota al blues come il Danzig dei bei tempi, o sufficientemente giocata su toni bassi come fu uso e dote di Peter Steele. Il Sal Abbruscato cantante è uno dei principali limiti degli A Pale Horse Named Death, che già certi ammiccamenti al radio-friendly – più arma a doppio taglio che vera e propria palla al piede – tendono a rendere la loro una versione ripulita di un modo di concepire il doom metal che in mezzo ai Novanta fu semplicemente pazzesco. Il carattere di quella musica era oscuro, opprimente, ed oggi ne ritroviamo perlopiù la pesantezza mentre i suoi concetti negativi aleggiano sui Festival in prima serata: riprendiamoci ciò che è nostro, maremma maiala.
Comunque sia, da Fell In My Hole in poi l’album cresce esponenzialmente e regala ottimi momenti come Splinters o Lay With The Wicked. A proposito di quest’ultima, i suoi primi sessanta secondi vi saranno piuttosto esplicativi su quanta sia l’influenza, e in che proporzioni, da parte di Alice In Chains e Type 0 Negative. Oltre alla band di Peter Steele menzionerei in ultima battuta i Paradise Lost di Faith Divides Us – Death Unites Us (maiuscolo perché è un album veramente clamoroso) e della progressiva ricomparsa degli elementi di stampo doom/Death all’interno del loro comparto sonoro. Non manca qualche raro momento in fase calante, ad esempio la prima metà abbondante di We All Break Down trasformerà le vostre sofferenti palle in un qualcosa di grosso quanto le bombshells di Mia Khalifa: ma sono dettagli. When The World Becomes Undone è un buonissimo album, e spero di non riuscire ad inserirlo nella prossima poll solo per abbondanza di alternative. (Marco Belardi)
I primi due mi erano piaciuti abbastanza, quindi vedrò di recuperare anche questo. Certo che hanno una fantasia per le copertine…
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