I Paradise Lost celebrano il proprio passato col progetto HOST

One Second aveva un sacco di pezzi che ti rimanevano stampati in testa. Host no. Host andava bevuto tutto d’un fiato ed esigeva un ascolto immersivo per andare al di là di ciò che emergeva dalla superficie: un momento di difficoltà. E pure, mentre il giudizio immediato per One Second poteva giustificare quel manicheismo post-adolescenziale in cui ognuno, nessuno escluso, è incappato almeno una volta nella vita, il giudizio per Host non poteva proprio essere immediato. Troppe cose “diverse” da digerire. Doveva sedimentare. Motivo per cui mi sono astenuto per anni dal darne uno. Oggi mi sento di affermare serenamente che Host era un disco eccezionale, come lo erano One Second e, in modi completamente diversi, altri dischi usciti prima e dopo quel periodo a cavallo del nuovo millennio. Ma non finisce qui: per dire, in questi giorni mi sono reso conto di come abbia sottovalutato In Requiem. Chissà quante altre volte avrò peccato di superficialità.

Quello lì deve essere stato veramente un momento di difficoltà per Holmes e Mackintosh: un attimo prima eri lì a fare tape trading con Øystein Aarseth e Per Yngve Ohlin (curiosità scoperta da poco) ed eri riconosciuto come uno dei cinque/dieci gruppi di metal estremo più importanti del momento, e un attimo dopo vieni assalito da accuse di tradimento. I metallari sanno essere le persone migliori del mondo ma anche dei grandissimi figli di puttana. Sarà per una avversione allo zelotismo che il mio approccio ai Paradise Lost è sempre stato improntato alla comprensione, al limite della accondiscendenza, pur non annoverandoli tra i miei gruppi preferiti di ogni tempo. E io ero uno di quelli che al concerto per il venticinquennale di Gothic stava comunque davanti alle transenne, quindi non mi dovete rompere troppo le palle.

Date le premesse in somma sintesi, il mio giudizio sugli Host e su IX non può che essere estremamente positivo. In recenti dichiarazioni i nostri ammettono che con la scelta di questo nome hanno voluto esternare una precisa dichiarazione di intenti: ripercorrere quelle sensazioni che da alcuni anni avevano tralasciato, come pure certe influenze musicali degli anni ’80 (non solo Ultra, dunque) che erano state alla base del fiorire di un disco come Host e dei successivi. In realtà, dunque, Host (il gruppo) non ci azzecca moltissimo con Host (il disco): non è un sequel, non si muove in continuità, non prende le mosse da esso, ma ritraccia una via che parte da un più ampio contesto di riferimento e ingloba concettualmente gli ultimi dischi dei Paradise Lost, fase pre-ritorno al metallo, dei quali, pur calcando palesemente la mano sulla quota elettronico-depechemodiana di tutta la faccenda, è un po’ la summa. (Charles)

3 commenti

  • Discone, la cosa migliore partorita dal dinamico duo Holmes/Mackintosh almeno dai tempi di Symbol of Life. La produzione poi è spettacolare, complimenti ad Arellano; tra l’altro ottimo alla batteria su Hiding from Tomorrow, dove ha un tocco che mi ha ricordato il migliore Lee Morris. Per me disco dell’anno senza se e senza ma

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  • Ho ascoltato un paio di volte il primo singolo, ma non mi aveva catturato. Proverò a dare un’altra possibilità….al disco intendo.
    Detto questo i Paradise Lost, sono stati il mio gruppo preferito fino a One Second, poi hanno cominciato a non stupirmi più, cosa che ci può stare dopo anni di onorata carriera. Aggiungo anche che, a mio parere, sono comunque un gruppo “superiore” incapace di far un disco brutto e quindi li ascolto sempre volentieri anche senza più la passione di un tempo.

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