La mensa di Odino #21

Cominciamo questo nuovo pasto al desco dell’Alfather con il nuovo STRATOVARIUS, che erano sette anni che non entravano in studio per un full. L’ultimo era stato Eternal (2015) ma soprattutto il penultimo era stato Nemesis (2013), il disco truzzo per eccellenza di un gruppo che, già di suo, un po’ truzzo lo è più o meno sempre stato. Quest’ultimo lavoro di Kotipelto e compari si chiama Survive, ha una copertina in linea con gli ultimi incoraggianti sviluppi della politica mondiale ed è grossomodo come ce lo si aspettava: liscio, lineare, brioso e in definitiva molto gradevole all’ascolto. Come già ebbi occasione di specificare, il motivo per il quale gli Stratovarius post-Tolkki sono riusciti a trovare una seconda giovinezza è che appaiono consapevoli di come le cose siano cambiate e di quale sia il proprio ruolo all’interno del nuovo mondo. Quindi profilo mediamente basso, andamento frizzante, poca seriosità e tanta attitudine al karaoke birraiolo. Persino la voce di Kotipelto ha assunto quella sfumatura sardonica che contribuisce a rendere tutto più lieve. E l’aver aspettato sette anni per comporre un nuovo album alla fine ha pagato: Survive è un disco senza eccessivi cali di tensione che suona ragionato e ben strutturato. Onore a loro, non era semplice rinascere dopo aver toccato il fondo a quel modo.
Diamo testimonianza del nuovo disco dal vivo dei MOONSPELL, chiamato From Down Below – Live 80 Meters Deep, titolo che riporta alla mente i Dethklok e la loro idea di registrare un album nelle profondità dell’oceano. Fernando Ribeiro e soci devono essere particolarmente orgogliosi del loro ultimo Hermitage, dato che il presente live album lo ripropone per intero. Avete capito bene: hanno rifatto l’ultimo disco per intero dal vivo, manco fosse Irreligious. Io spesi parole moderatamente gentili per il suddetto album, scrivendo che, dopo tanta monnezza, quantomeno questo si lasciava sentire in sottofondo senza dare fastidio. Però una roba del genere mi sembra esagerata, onesto. Con la crisi energetica e i pregiati consigli del Corsera su come risparmiare elettricità e gas, consumare così tanto per un disco sinceramente inutile mi sembra un controsenso. Perché dovremmo cuocere la pasta a fuoco spento quando i Moonspell mettono sul mercato la versione live dell’ottimo massimo Hermitage? E meno male che c’era la crisi del mercato discografico. Complimenti per l’idea, no davvero, complimenti.
Vi ricordate di GABRIELS? Chi ha la memoria corta sappia solo che GABRIELS non è l’eroe che ci meritiamo ma quello di cui abbiamo bisogno. In assenza di un Giuseppe Garibaldi, è GABRIELS l’unico che può unire i cuori dell’emisfero occidentale e portarli verso il trionfo. GABRIELS, lo stallone italiano, eccellenza del made in Italy, la cui titanica sagoma si staglia imperiosa sulle generazioni a venire. Sì, perché GABRIELS fu colui che ebbe l’idea di scrivere una serie di album sulla storia di Ken il Guerriero, il cui ultimo Fist of the Seven Stars – Act 3: Nanto Chaos (che seguiva il primo Fist of Steel e il secondo Hokuto Brothers) era uscito nel 2020. Grande la mia sorpresa quindi nello scoprire che il suo ultimo album non è l’attesissimo quarto capitolo della saga dell’erede della divina scuola di Hokuto ma un altro concept, stavolta su Dracula. Il disco si chiama Dragonblood (Damned Melodies) e, come i precedenti, è cantato e suonato da una varietà di cantanti e musicisti con il nostro eroe GABRIELS fisso alle tastiere. Mi piacerebbe dire che il disco fa schifo e che quindi bisogna tornare di corsa a continuare la saga di Kenshiro, ma non posso proprio, perché il disco è piuttosto carino. Forse anche meglio di Nanto Chaos, e lo dico a bassissima voce. Certo, i testi sulle imprese del Salvatore di fine secolo erano un notevole vantaggio, mentre dell’ennesima trasposizione di Dracula frega sinceramente poco, ma bisogna essere onesti. Se il prossimo disco su Kenshiro sarà in linea con questo miglioramento sarà una bella bombetta: l’ultima volta si era arrivati al ciclo di Souther, quindi il prossimo dovrebbe parlare delle cinque forze di Nanto e della lotta fratricida tra Raoul, Ken e Toki. Dai cazzo che poi c’è la scuola di Cento, l’isola dei Demoni, l’armata di Hokuto e Kaioh che distrugge tutto. Attendiamo con ansiosa impazienza.
Qualche mese fa è uscito Rescue, il nuovo disco degli SHAMAN a distanza di dodici anni dal precedente Origins. Normale storcere la bocca all’inizio: questo era il gruppo fondato da Andre Matos, scomparso nel 2019, che a un certo punto andò via e poi, dopo che gli Shaman fecero uscire un paio di dischi trascurabili con un altro tizio dietro al microfono, tornò riformando la band nella sua formazione originale poco prima di morire. In questi casi si rischia però di finire a discutere all’infinito della legittimità di far sopravvivere il gruppo al suo fondatore senza mai parlare poi effettivamente del disco, quindi parliamo del disco. Rescue è una bella prova di power metal raffinato e caldo, nello stile a cui gli Shaman e gli stessi Angra ci hanno abituato. Qualitativamente non è omogeneo per tutti i suoi cinquanta e rotti minuti di durata, ma resta comunque molto gradevole anche ad un ascolto approfondito, per merito della cura degli arrangiamenti e della produzione attenta ed esperta. Il nuovo cantante Alirio Netto si rivela inoltre un’ottima scelta: non è Andre Matos né cerca di imitarlo, ma ha un proprio stile definito che ben si addice al tipo di musica suonata dal gruppo brasiliano, grazie al suo timbro caldo e alle spiccate doti interpretative. Se vi piace il genere provate ad ascoltare Rescue: potrebbe essere una bella sorpresa. (barg)
COMPLIMENTI PER LA DESCRIZIONE DEL “PROPRIO RUOLO ALL’INTERNO DEL NUOVO MONDO”, MI CALZA A PENNELLO…
"Mi piace""Mi piace"