Escluso il (messi)cane: HEAVEN SHALL BURN – Of Truth and Sacrifice

Nel suo recente pezzo su Verminous, l’arcigno Carrozzi ha confessato come non si fosse mai filato in precedenza i The Black Dahlia Murder perché riteneva (complice l’endorsement del semibrutal di Piazza del Popolo) che suonassero la solita schifezza metalcore per ragazzini con l’estensore. È interessante constatare come più di un gruppo analogo soffra dello stesso stigma. Prendete gli Heaven Shall Burn. Sono, insieme agli Insomnium, tra i migliori gruppi di death melodico usciti dagli anni 2000. Eppure i finlandesi godono di vasti consensi anche presso le fasce più ‘true’ del pubblico, mentre i tedeschi, quando sono venuti l’ultima volta in Italia con gli Unearth di spalla, hanno richiamato udienze piuttosto risicate, sebbene ormai di hardcore conservino più che altro i testi politicizzati, non abbiano nessuno dei cliché più stucchevoli del genere e siano oggi rubricabili, di fatto, come eccellenti epigoni dei Dark Tranquillity. E a chi non piacciono i Dark Tranquillity? A parte il Messicano, dico.
L’ottimo esordio Asunder, che ho rispolverato da poco per Avere vent’anni, era ancora un disco hardcore con pesanti influenze death. E se mentalmente state già facendo l’associazione “deathcore = merda”, vi invito ad accantonare un attimo i pregiudizi legati a quel dannato suffisso. I lavori successivi, transizione troppo lenta verso una formula più elaborata ma nondimeno più acchiappona, non mi hanno mai appassionato. È nel 2008 con Iconoclast e, soprattutto, con il successivo Veto, del 2013, che raggiungono la maturità definitiva e iniziano a fare, per quanto mi riguarda, davvero sul serio.
Of Truth and Sacrifice esce a quattro anni di distanza dal precedente Wanderer e ripropone un formato che pensavamo sepolto da tempo, quello del doppio album, soluzione abbastanza coraggiosa in tempi in cui è lo stesso concetto di disco a essere messo in discussione e sempre più musicisti sostengono che ormai tanto vale buttare un brano nuovo su Spotify quando lo si ha e pace. La buona notizia è che questi cento minuti scorrono con inaspettata scioltezza, consentendo agli Heaven Shall Burn di esplorare lati del loro suono che finora erano rimasti a livello di suggestioni sporadiche, dalle influenze elettroniche (e Übermacht e La Résistance non sono affatto il tanzmetall rammsteiniano che ci si potrebbe aspettare) ai toni più cupi e cerebrali che emergono soprattutto nella seconda parte dell’opera, laddove nella prima i fan vengono rassicurati con pezzi più diretti ma altresì ricchi di sfumature (Eradicate concilia con sorprendente fluidità ritmiche spezzate da HC evoluto a linee melodiche fulminanti che più che svedesi sono tout-court maideniane).
Il punto debole degli Heaven Shall Burn, a volerlo trovare, rimane intrinseco alla loro germanicità. È tutto formalmente perfetto, è tutto al suo posto, non c’è un pezzo brutto ma spesso manca la scintilla. Ciò detto, Of Truth and Sacrifice è all’altezza delle ambizioni e della durata spropositata. E ve lo dice uno che ormai in una recensione sì e una no si lamenta dei dischi di un’ora che sarebbero stati fantastici con quattro o cinque canzoni in meno. Se li avete sempre disdegnati per lo stesso motivo per cui il Carrozzi snobbava i The Black Dahlia Murder, forse è il momento di ricredervi.
Solo a me l’attacco di Stateless ricorda Collection By Blood dei Dismember? (Ciccio Russo)
oh finalmente un po’ di giustizia per gli HSB! anche io li seguo dai primi anni 2000, anni in cui forse erano appunto più pesanti e meno influenzati dai dark tranquillity. Ennesimo ottimo disco (anche se per me wanderer gli era superiore) che finirà in top 2020.
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