Musica di un certo livello #33: YEAR OF THE GOAT, INSOMNIUM
Disclaimer: se vi stanno sulle palle i Ghost lasciate perdere e passate alla recensione più sotto. Se invece vi piacciono allora il nuovo degli Year Of The Goat potrebbe essere il vostro disco dell’anno.
È così, ci sono vari elementi che necessariamente mi portano ad accostare le due band. Ad esempio, la coincidenza geografica (entrambe svedesi), temporale (entrambe attive dal 2006), di genere (entrambe dedite al rock occulto), di immagine (i più famosi avevano il Papa Emeritus alla voce, questi hanno il Pope al mellotron) anche se – e qui un elemento distintivo importante – mentre i Ghost sono ascesi alle cronache anche grazie alla mascherata, gli YEAR OF THE GOAT hanno quantomeno il buon gusto di suonare a viso scoperto, risparmiandoci tutte quelle pantomime dei nameless ghoul.
Li aveva incrociati un giovane Stefano Greco in apertura del Roadburn 2012 e anche se non li aveva mai sentiti nominare prima (e per forza, Angels’ Necropolis, full di esordio, non era ancora uscito), si convinse della bontà della band per il semplice fatto di avere un caprone non sulla copertina ma nel nome stesso e alle volte questo può bastare. Li citò anche Ciccio definendoli un grazioso giocattolo passatista barcollante tra estetica freak e satanismo vintage. Insomma, non ne abbiamo mai parlato approfonditamente. Io, che spesso sono distratto sulle nuove uscite, li ho scoperti solo ora e li trovo sublimi. Ho fatto i compiti a casa e devo dire che rispetto al primo full mi sento abbastanza in linea con la definizione data, anche se trattasi di un bel dischetto quindi non lo liquiderei con troppa fretta. In quel periodo, però, era già alle stampe Opus Eponymous da un po’ ed è anche normale che l’attenzione fosse catalizzata su di esso. Il secondo full del 2015, The Unspeakable, non mi ha entusiasmato. Un gothic rock fuori tempo massimo e al limite della piacioneria. Nell’ultimo disco, invece, si sente il Gran Capro belare.
Novis Orbis Terrarum Ordinis è un capolavoro, amici. Concept sui sette vizi capitali e titolone ambiziosissimo sostenuto da un rock oscuro e lussuoso. Sarete d’accordo con me, fidatevi, a patto che, come detto all’inizio, non vi stiano sulle palle i Ghost. Potrei pure fare riferimenti più “acculturati” per indorare la pillola e far vedere che ne so (tipo Jacula, Blue Oyster Cult, Lucifer) e invece un cazzo, amici. Questi viaggiano paralleli ai Ghost proprio come dei binari, con la piccola differenza che i più famosi sono ora in fase calante, questi altri stanno finalmente esplodendo. Fate un po’ voi.
Si passa oltre e dalla Svezia si va in un paese geograficamente attiguo ma musicalmente agli antipodi: in Finlandia dagli INSOMNIUM. Come diciamo sempre: ‘sti qui spaccano, peccato solo che quando vennero fuori in giro c’erano gruppi molto più fighi di loro. Non mi hanno mai deluso e faccio fatica a individuare un disco veramente brutto. Faccio anche fatica a menzionarne uno memorabile. Ogni volta che mi passa per le mani un nuovo album mi ripeto sempre la stessa frase “ma *** cane, questi sono troppo sottovalutati”, poi mi distraggo e passo ad altro.
Ho la netta sensazione che l’album di esordio, In the Halls of Awaiting, fosse bello assai. E pure One for Sorrow immagino che spaccasse. Forse una mezza delusione la ebbi con Shadows of the Dying Sun (ma prendete con le pinze quello che dico). Insomma, Heart like a Grave è il disco nuovo e suona esattamente come dovrebbe suonare un disco degli Insomnium, con la piccola particolarità che è molto meglio riuscito dei precedenti (che non è che ricordi benissimo). Insomma, fico davvero. Ma che dico fico, bellissimo. Questa volta ci hanno veramente preso e sono sicuro che ‘sto disco lo ricorderò per parecchio. Almeno per una settimana ancora. (Charles)
Concordo, il disco dei year of the goat è stupendo
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Io gli insomnium li porto in playlist 2019.
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